Ruzar Briffa, un poeta lirico maltese 

Il tormento della vita e della parola 

Nella schiera dei poeti maltesi che hanno svolto la loro attività nella prima metà del Novecento e hanno appena sfogliato la seconda, il nome di Ruzar Briffa (1906-1963) emerge con una sua individualità inconfondibile. Rappresenta soprattutto un filo diretto tra quel presente e un futuro molto diverso. Quel presente è identificabile soprattutto per una gamma di ragioni con le impostazioni più tipiche dell’Ottocento romantico che sotto l’influsso dell’esperienza italiana diede contenuto e forma all’ispirazione dell’isola; quel futuro è caratterizzato da una graduale presa di coscienza alimentata da esigenze di una società trasformata sotto vari profili. 

Non era stata soltanto o maggiormente la volontà di scrivere in lingua maltese, l’idioma antico di origine araba, a condurre questo medico schivo e solitario e sperimentare in forma poetica. La sua vocazione era fondamentalmente quella di dover riflettere sul patire, sulla vita come sofferenza ineluttabile, e non di coltivare, come era di moda, il dialetto che ancora richiedeva l’attenzione scientifica del filologo e il contributo raffinato di validi letterati. 

Il pregio lirico dell’opera di Brilla emana da una coscienza che si trovò in grado di parlare con sé in versi, e poi di mettere questi schizzi personali sulla carta con grande, anche se finalmente superato, tormento. Dal profondo dissidio tra la sofferenza dell’essere e la felicità dello scrivere, anche se il processo della creazione è in ultima analisi una continuazione o addirittura una estensione della prima, nasce il paradosso della lirica del mistero, una parola autentica che vuole presentarsi come alternativa unica e insostituibile al vivere stesso. Il non voler vivere si traduce nel voler scrivere. Dall’infelicità dell’atto umano scaturisce la felicità dell’atto creativo. 

La condizione storica del romanticismo maltese 

Nata come coscienza nazionale in seguito ad una lunga, ininterrotta tradizione di silenzio e di rassegnazione, la letteratura maltese è un fenomeno recente. Mikiel Anton Vassalli (1764-1829), oggi noto come il padre della lingua maltese e conosciuto da tutti come un patriota di stampo romantico, riassume in sé la nuova volontà di affermarsi di una piccola comunità che è arrivata finalmente, quasi nella pienezza dei tempi, alla scoperta del suo essere, alla consapevolezza della sua identità particolare e unica, basata su una lingua, una storia, una religione, una civiltà, tutti elementi che formano un insieme am10nico. L’utilizzazione della lingua maltese diventò presto una presa di coscienza, e non poteva rinchiudersi facilmente nei confini strettissimi di un puro esercizio scientifico. La nascita di una letteratura in dialetto, dunque, significava anche la elaborazione automatica di un ambizioso corpo di principi e di sentimenti contenenti la giustificazione culturale e politica del concetto della nazionalità, e di conseguenza il sostegno su cui posa la pretesa dell’autonomia nazionale. 

Il nazionalismo subentrava letterariamente e finiva col diventare la ragione d’essere delle strutture politiche messe in atto durante l’arco di tempo che va dalla prima metà dell’Ottocento fino all’acquisto dell’indipendenza nel 1964. La poesia e la narrativa dell’Ottocento e del primo Novecento, dunque, costituiscono un deposito eminentemente patriottico, cioè, una rottura “moderna” con il passato indifferente e passivo, ispirato soltanto ai canoni classici dell’imitazione e della attenta, fedelissima continuazione della tradizione e dei suoi sacri modelli. 

Il poeta nazionale di Malta, Dun Karm (1871-1961), scrittore in lingua italiana e dal 1912 maggiormente in lingua maltese, andava scoprendo con decisione e con calma il senso dell’individualità dell’isola. Sperimentando nella lingua incolta, sfruttandone le nascoste potenzialità espressive, Dun Karm andava elaborando una intera, quasi sistematica, sublimazione del concetto romantico della patria, trasformandolo in un culto legato al binomio mazziniano del diritto e del dovere del cittadino libero. L’origine etnica, l’unità popolare evidenziata da una vasta gamma di motivi e di costumi, la funzione storico-culturale, oltre che morale, della fede cristiana lungo i secoli e nel mondo contemporaneo, le qualità distintive del paesaggio e delle forme architettoniche, la ricchezza spontanea e naturale del parlare quotidiano delle masse prive di una propria formazione culturale, il significato democratico delle antiche vicende storiche: sono alcuni dei motivi che trovano nel poeta “politico” la loro trasformazione estetica. 

Accanto al filo oggettivo, estroverso, che mette in piena evidenza l’identità collettiva e che dà ampio rilievo alla tematica dell’individualità nazionale, cresce anche l’ansia di un io turbato con la propria, singolare, solitaria presenza nel cosmo. 

Insieme al senso “felice” dell’isola nazionale si acquista anche il senso “infelice” dell’isola universale. La elaborazione della poetica della cittadinanza civile non fa dimenticare il bisogno di definire e di conoscere nelle sue più remote e struggenti implicazioni la poetica della cittadinanza cosmica. Con la traduzione dei Sepolcri foscoliani (L-Oqbra, 1936), Dun Karm introduce con sicurezza nella poetica maltese i grandi temi del processo della vita e della morte, e gli interrogativi sul problema della sopravvivenza. 

Sono temi che si insinuano già, anche se ancora privi di una forma letteraria di rilievo e lontani dalle complessità di spiriti veramente inquieti e sofferti,nelle liriche di Gian Antonio Vassallo (1817-1868), Richard Taylor (1818-1868), Guzè Muscat Azzopardi (1853-1927), Anton Muscat Fenech (1854-1910) e di Dwardu Cachia (1858-1907. Ma con Dun Karm assumono pure il carattere di modelli letterari, di archetipi tematico-formali, e sono di una importanza decisiva nel quadro dell’ispirazione maltese dei decenni successivi. Spettava ad altri poeti arrivare anche loro alla scoperta del filone soggettivo, introverso, riflessivo del romanticismo ottocentesco e dei residui neo-romantici ancora vivi nel primo Novecento europeo e continuati in varie sfumature fino ad oggi. Dai confini di una stretta concezione nazionale e sociale la poesia maltese si avviava verso gli spazi della tematica universale. 

La lirica del tormento esistenziale 

Nell’opera di Brilla la causa poetica diventa del tutto autonoma dalla causa linguistica. Comporre lirica non significava più contribuire alla normalizzazione e al recupero dell’incolto idioma antico. La distinzione tra interesse filologico e accademico nella lingua, e necessità psicologica di espressione poetica in quella lingua diventò netta, anche se Briffa stesso si pronunciò del tutto favorevole all’uso del maltese e al suo completo riconoscimento in sede culturale e sociale. 

Con Brilla si ha la figura del poeta integrale, cioè della personalità che riassume nell’atto poetico tutti i vari, multiformi aspetti dell’essere, professionale, sociale, familiare, civile. 

Essere poeta significa investire l’esistenza di un contenuto e di una forma particolare. L’intuizione lirica e non la poesia della letteratura e della rigidità formale, il senso del mistero e non la consapevolezza delle certezza nazionale, la lingua ricostruita con sofferenza dalle rovine di una sensibilità malinconica e non la normalizzazione decisa della sintassi e del lessico: in queste scelte, intimamente legate tra di loro, appare la figura del poeta come essere quasi privato, racchiuso in sé, piegato su se stesso, separato dalle masse, ispirato soltanto ai sussurri che si fanno sentire nel suo intimo angoscioso, del tutto noncurante della problematica storico-culturale. Lo sfondo di Briffa non è l’età contemporanea ma un eterno mondo di solitudine, privazione e tristezza. Le dimensioni del luogo e del tempo, mai evidenze di dati precisi, sono forme archetipiche entro cui quasi tutte le sue brevi meditazioni trovano una cornice per presentarsi come poesia, cioè come parola, sfida al silenzio continuo: 

Il-ferha ta’ bla tarf li jien poeta 
darba hassejt, 
u bkejt 
bil-qalb mim ija 
x’hin l-oghna holm tal-hajja 
ghannejt. 
(Mill-Gdid Poeta, vv. 1-6) 

(Ho provato una volta la felicità infinita di essere poeta, e piansi con un cuore pieno, mentre cantavo i più ricchi sogni della vita). Di nuovo poeta, vv. 1-6. 

I suoi luoghi sono spazi desolati, lontani dalle città della convivenza, distinti dal mondo dell’attualità; ad esempio, cimiteri, cattedrali dimenticate, castelli, vecchie chiese, spiagge lontane, strade disabitate, tombe, chiese demolite, fontane salutarie, città desolate. I suoi tempi e le sue stagioni sono momenti e periodi facilmente identificabili con la sofferenza, ad esempio, l’inverno, la notte, le ore della tempesta. Il passato con le sue ricordanze amaramente nostalgiche è un presente continuo, una “eternità” storica vissuta entro cui l’esperienza diventa psicologica, e il presente perde la sua attualità per diventare momento ambiguo dominato dalla memoria: 

Qatt ma Kien hemm il-bierah, 
m’hemrnx ghada jew pitghada, 
il-bniedem fassal wahdu 
il-jiem tac-civiltà … 
Imm’A1la halaq qablu 
it-tul t’Eternità. 
(Il-Hadd fìlghaxi ja, vv. 13-18) 

(Non c’era mai ieri, non c’è domani e dopodomani, l’uomo disegnò da solo i giorni della civiltà . . . ma Dio creò prima di lui la lunghezza di una Eternità). La sera della domenica. vv. 13-18. 

L’insistenza su vocaboli che evocano limitatezza, tenerezza, introversione, 

timidezza, piccolezza richiede una precisa interpretazione. Il linguaggio poetico di Briffa costituisce già un concentrarsi su un tipo particolare di lessico: è scelto istintivamente. con criteri psicologici, e non letterariamente, con criteri stilistici. Invece di cercare di ampliare il proprio vocabolario e di trovare le parole meno note, più antiche e pure (cioè di origine semitica, siccome il concetto di purezza, ormai da tempo superato, significava l’eliminazione dei vocaboli di origine latina), il poeta riduce il suo dizionario ad un glossario quasi specializzato, ispirato soltanto alla tematica del tormento esistenziale. Non risale mai alla superficie l’ambizione di chi desidera dare evidenza della vastità e dell’efficacia espressiva della lingua tradizionalmente incolta. Passando dalla langue alla parole Brilla arriva ad una lingua scheletrica, scarna e del tutto priva di ogni elemento decorativo. Non c’è un rifacimento della comune lingua parlata: si tratta di una riduzione estrema, evidenza letteraria di un retrocedere psicologico. Anche la poetica della lingua diventa così un documento di una particolare vicenda interiore. 

Dati i limiti entro cui poteva svolgersi l’attività letteraria, e considerando il grave svantaggio storico imposto sull’antico idioma di origine araba, sempre vissuto in condizione di subalternanza culturale e politica rispetto alla tradizione latina dell’isola, una tale scelta “linguistica” (così appare a prima vista, e così è anche, ma non soltanto, nel quadro della vita culturale maltese del primo Novecento) costituisce una importante novità nella storia della poesia del Paese. Significa l’affemlarsi del contenuto sulla forma, il superamento del preconcetto che attività linguistica equivale a attività creativa. Tirando le somme, dunque, ciò significa che il contenuto (l’atto poetico) non doveva dipendere più dalle condizioni del programma di ricostruzione sintattica e lessicale\ oltre che morfologica, della lingua popolare. Poetare ora significava soltanto scoprire la propria metalingua entro la lingua, restringere ancora, tormentare i nuovi modi, ricrearsi una forma espressiva che in ultima analisi non contribuisce in nessun modo all’avanzamento della lingua in termini di standardizzazione scientifica e colta. 

La forma dello spirito 

Trovandosi privo di una propria formazione letteraria, essendo un medico occupatissimo, Briffa aveva paradossalmente il vantaggio di poter distanziarsi senza polemiche dai formalismi, necessari storicamente nell’ambito della breve storia letteraria della lingua maltese, e richiesti dalla condizione difficile dell’idioma non ancora sufficientemente elaborato in sede estetica, dei suoi contemporanei come Anastasio Cuschieri (18761962). Ninu Cremona (1880-1972). Gorg Zammit (n. 1908), Gorg Pisani (n. 1909). Karmenu Vassallo (n. 1913). Guze Chetcuti (n. 1914) e altri. Messo in questa foto di gruppo, Briffa si isola anche come poeta e non soltanto, caratteristicamente, come persona umana. La sua distanza psicologica si traduce presto in distanza linguistica e formale, quasi per mettere in evidenza il fatto che la prima condizione fosse la causa della seconda, e che tra l’uomo e l’artista non potesse esserci alcun spazio. 

La sua lingua ridotta, costituendo un compromesso con il silenzio e con il mutismo, è frammentata, sciolta e sconvolta. Il lessico è scarno e “povero” oggettivamente, fedele alla condizione di privazione e di negazione che l’autore intende proiettare. Le forme si creano nel processo dello scrivere, anche se spesso 

utilizzano le stanze precise della tradizione, particolarmente la quartina. Entro la formalità, comunque, cresce il nervosismo personale di chi non trova facilmente lo spazio adatto allo spirito in cerca di comunicazione. 

Il contrasto con l’impressione che viene fuori dall’opera collettiva dei contemporanei ha condotto Dun Karm, troppo avaro di solito a collaudare i suoi colleghi, a conoscere in Briffa un autentico poeta. In fondo si tratta di un anti-letterato valido che ha prodotto alcune delle liriche più belle scritte in maltese nella prima metà del Novecento. 

È una condizione paradossale. Questa bellezza sta soprattutto nell’informalità, che presto dà prova dell’intraducibilità del testo. 

Tradurre Briffa significa veramente tradirlo, renderlo contrario a se stesso, cioè stereotipato, formale e ovvio, quasi banale. 

La spontaneità risiede soprattutto nella naturalezza istintiva, antiaccademica, con cui ha colto dopo lunghi periodi di riflessione (come lui stesso ha dichiarato in una rarissima lettera di chiarifica, e come mostra la sequenza cronologica delle sue opere, spesso separate l’una dalla seguente con ampi spazi di mesi e di anni) la forma pronta ad essere semplicemente registrata su un pezzettino di carta. Cogliendo il momento opportuno. dovuto alla sua psicologia di sconvolto pensatore, disorganico e deciso sentimentalmente, che sente e che non concepisce, Brilla riesce a creare la forma nell’atto stesso di trascriverla. Scrivere significa qui, dunque, tradurre la poesia interiore in poesia esteriore, arrestare il sentire attraverso lo scrivere. 

I suoi momenti tradotti in lirica costituiscono i primi passi della poesia maltese nel mondo della modernità novecentesca. Il contenuto è ancora quello tipico dei partecipanti ottocenleschi all’angst esistenziale. Da Keats a Leopardi, da Shelley a Foscolo, ci sono voci europee di primo piano che trovano eco, remotamente, nei suoi scritti. Sono tutti, comunque, riecheggiamenti di mediazione culturalmente inevitabile, perché il tormento è rivissuto interamente in prima persona. Le sfortune personali, di carattere sentimentale, e l’indole naturale di uno spirito perfidamente malinconico e depresso fin dalla fanciullezza sono essenzialmente i “modelli” veri e propri che hanno tanto influito sul suo animo. È l’uomo che ha formato il poeta, e non la grande tradizione letteraria, anche se questa non può essere assente come esemplificazione di archetipi in cui partecipa la coscienza del singolo in una data condizione personale. 

Le tensioni rivissute a livello privato, dunque, conducono al bisogno di creare pure le proprie modalità espressive. Il diarismo, la psicologia in cui si riassume tutta la poetica di Briffa, spiega l’intero procedimento: i temi della tradizione sono sofferte dall’individuo, e la trascrizione personale riesce a crearsi le forme “private” che placano di più le esigenze dello spirito. 

La prima lirica, Lacryma e rerum (1924), e l’ultima, Ballatella tal Funtana 

(1962), non sono molto diverse. Si prestano facilmente ad un confronto che le definisce come tappe lontane di un unico ininterrotto procedimento stilistico e formale. esprimente una sola preoccupazione. La monotematicità, una delle conclusioni acquisite attraverso un tale confronto, mette ancora in risalto la condizione da cui parte la poesia di Briffa: l’uomo richiede una sua espressione, ed è l’uomo, al di là della storia letteraria del continente e del proprio Paese, che deve ricostruirsi le forme. Il diario è diventato poesia; è una fortuna per la cultura maltese, ma non è che una necessità che il poeta, se avesse potuto, ne avrebbe presto fatto a meno. È infatti con grande difficoltà, e malgrado la sua indifferenza. che la moglie e un intimo amico lo hanno mosso a raccogliere le sue liriche nel 

1960, tre anni prima della morte. Del resto, la biografia storica non è in nessun modo distante dalla biografia poetica. 

La stessa malinconia esistenziale unisce l’azione dell’uomo con la parola del poeta siccome le due dimensioni nascono entro una sola storia che non separa il fisico dallo spirituale, identificando il vivere con il patire. 

Oliver Friggieri 

 

Da “Spiragli”, anno III, n.2, 1991, pagg. 24-31.