Echi biblici in Leopardi 

 La Bibbia esercitò sempre una notevole suggestione sull’animo di Giacomo Leopardi; tale suggestione fu certo dovuta al fascino, tutto romantico, suscitato nell’animo del poeta dalla poesia primitiva. Il mito romantico della popolarità dell’arte non poteva non trovare rispondenza nel Leopardi fin dagli anni della sua fanciullezza. «Mi dicono, scriverà più tardi, che io fanciullino di tre o quattro anni stava sempre dietro a questa o a quella persona perché mi raccontasse delle favole. E mi ricordo ancor io in poco maggiore età era innamorato dei racconti e del meraviglioso che si percepisce con l’udito e con la lettura»1. Da questo gusto del meraviglioso derivò la sua consuetudine con la Bibbia che, più di tutte le grandi opere dell’antichità, stimolava la sua fantasia, colpiva la sua immaginazione di precoce poeta. «Gli episodi della storia sacra nutrivano, accanto all’anima pia, quella fantasiosa del fanciullo e trasformavano il mondo in un altare adatto ai riti dell’immaginazione»2. 

Nello Zibaldone3 il Leopardi insiste nel dire che negli anni della sua fanciullezza ebbe grande predilezione per l’immaginoso, per Omero e per la Bibbia che, «essendo i più antichi libri, sono i più vicini alla natura, sola fonte del bello, del grande, della vita, della verità•. Il fascino della Bibbia, precisa il poeta, sta nella sua capacità di conciliare «l’immaginazione orientale e l’immaginazione antichissima». Tra l’altro c’è da tenere presente anche il fatto che la Bibbia era il testo su cui i figli del conte Monaldo facevano le loro prime esercitazioni letterarie e il conte amava le Sacre Scritture al punto da avere dedicato ad esse un importante settore della sua biblioteca. Nella produzione leopardiana, specie in quella dell’adolescenza, ricorre frequente l’ispirazione biblica, non tanto per profondità di sentire religioso, quanto per la convinzione che «la religione nostra ha moltissimo di quello che somigliando all’illusione è ottimo alla poesia». Il gran numero di canti giovanili ispirati alla Bibbia denota, oltre che un’intima attitudine alla poesia, anche una profonda congenialità tra il pessimismo biblico e quello del giovane poeta già provato dalle prime delusioni. 

Nel 1809 il Leopardi undicenne compone una prosa in latino, Adami creatio4 dove rivela, oltre ad una notevole e sorprendente, per quell’età, capacità di scrivere in latino, una fervida fantasia dominata dalla visione biblica di un Dio giusto e terribile: c’è l’eco di bibliche punizioni, la coscienza dolorosa della fragilità dell’uomo troppo debole di fronte alla grandezza terribile di Dio. 

Anche nel Balaamo5, dove viene ripreso il racconto biblico dell’asina parlante, il gusto, classico ed illuministico insieme, della chiarità degli squarci paesistici si accompagna alla compiacenza che il poeta sente nel rappresentare la natura così come pensava che fosse nei tempi primordiali della storia umana. 

Ne Il Diluvio Universale6 viene rappresentato il diluvio con colori cupi: la coscienza della fragilità dell’uomo è incupita dal sentimento di colpe antiche che debbono essere espiate. 

Ci sono notizie di altri scritti, andati perduti o comunque ancora sconosciuti, ispirati sempre alla Bibbia, come il poemetto Paradiso Perduto e il canto L’incendio di Sodoma, oltre alle prose Il Lamento di Agar su Israele, La sconfitta di Sennacherib, La morte di Jezabel. 

L’Inno ai Patriarchi, che ha la struttura dell’antico inno greco nel quale si raccontavano le vicende degli eroi e degli dei, è una galleria di patriarchi dell’Antico Testamento: Adamo che per primo contemplò «il giorno e le purpuree faci delle rotanti sfere e la novella prole dei campi»; Noè che salvò «dall’etra infesta e dal mugghiante equoreo flutto l’iniquo germe»; Abramo giusto e forte, padre dei pii; tutti rappresentanti di un’età in cui fu «amica un tempo al sangue nostro e dilettosa e cara questa misera piaggia ed aurea corse questa caduca età». Lo stupore di Adamo, la suggestione favolosa dei paesaggi biblici, la pietà di Abramo obbediente sempre alle leggi del Signore sono le immagini più felici, dettate dalla nostalgia dei tempi aurorali della storia dell’uomo: «la verginità aspra del paesaggio e delle forze naturali, vista attraverso gli occhi del primo uomo, ha il fascino di una sbigottita barbarie»7. Questo è il tema di più vera poesia che scaturisce dalla nostalgia del mondo primitivo che l’uomo non aveva ancora contaminato con la sua presenza. 

La suggestione esercitata dalla Bibbia è dovuta alla sua antichità: «L’antico è un principalissimo ingrediente delle sublimi sensazioni, siano materiali, come una prospettiva, una veduta romantica etc. etc. o solamente spirituali e interiori. Perché ciò? Per la tendenza dell’uomo all’infinito. L’antico non è eterno, e quindi non è infinito, ma il concepire che fa l’anima uno spazio di molti secoli produce una sensazione indefinita, l’idea di un tempo indeterminato dove l’anima si perde»8. Il mondo biblico è bello anche perché è un mondo passato: «Il passato, a ricordarsene, è più bello del presente, come il futuro a immaginarlo. Perché? Perché il solo presente ha la sua vera forma nella concezione umana; è la sola immagine del vero; e tutto il vero è brutto»9.

Il pessimismo biblico – il Leopardi incominciò a leggere la Bibbia nei primissimi anni dell’adolescenza e pervenne presto ad un’ampia preparazione biblico-cristiana – fu congeniale al poeta e divenne, anche allo stato inconscio, parte integrante della sua personalità; per questo i libri dell’Antico Testamento più spesso richeggiati sono l’Ecclesiaste e il Libro di Giobbe. Nel Canto Nottumo soprattutto ricorrono i concetti biblici della vanità del tutto e dell’irrimediabile destino di dolore dell’uomo. Il pastore si chiede il perché dell’adoperarsi continuo degli uomini sulla terra, dell’eterno girare degli astri nel cielo e conclude dicendo di non sapere indovinare alcun uso, alcun frutto di tanto movimento; tutte le cose nascono e periscono, rinascono e svaniscono. Anche la Bibbia a questo interrogativo aveva dato la stessa risposta: «Generatio praeterit et generatio advenit; terra autem in aetemum stat. Oritur sol et occidit et ad locum suum revertitur; ibique renascens gyrat per meridiem etflectitur ad aquilonem. 

Lustrans universa in circuitu pergitur spiritus et in circulos suos revertitur. Omnia flumina intrant in mare, et mare non redundat; ad lacum unde exeuntflumina revertuntur ut iterum fluant»10. La risposta è identica: la ragione umana non sa spiegare niente: le conclusioni del Canto Notturno sono le stesse della Bibbia11; la battuta finale del Canto Notturno è quella di Giobbe che il Leopardi12 diceva esplicitamente di aver fatto sua. 

Ma il sentimento biblico della vanità in Leopardi assume un significato diverso perché viene filtrato attraverso !’ideologia materialistica e le conclusioni scettiche del pensiero settecentesco, mentre nella Bibbia questo sentimento nasce dal paragone tra il transeunte e l’eterno, tra il contingente e Dio. E poi mentre Giobbe conclude dicendo che «militia est vita hominis super terram», il Leopardi, non credente, si ferma alla constatazione che è funesto a chi nasce il dì natale. 

Così i motivi più importanti per i quali la Bibbia ebbe tanta influenza sul Leopardi sono: l’educazione religiosa familiare fondata proprio sul Vecchio Testamento; le moltissime esercitazioni condotte su quel libro fin dagli anni della fanciullezza; !’incontro tra il pessimismo biblico e quello del poeta; la suggestione dell’antico e dei tempi aurorali della storia umana. 

Il pessimismo presente nel pensiero illuminista e del quale, per fare un solo esempio, il Poema sul disastro di Lisbona di Voltaire, che il Leopardi certamente lesse, è una delle espressioni più significative, si arricchisce nel Leopardi di implicazioni bibliche; si realizza così una salda, anche se non appariscente. fusione tra conclusioni illuministico-settecentesche ed echi del Vecchio Testamento: le affermazioni illuministiche si colorano di suggestioni antiche. Il pessimismo del Vecchio Testamento dà al dolore del Leopardi dimensioni più ampie, risonanze più profonde e più antiche, colori più cupi; il dolore del poeta si spoglia delle situazioni contingenti e particolari, si proietta in una sfera atemporale e si assolutizza. Gli elementi filosofici di ascendenza illuministica. la sensibilità romantica del recanatese nelle sue diverse implicazioni, le vicende autobiografiche, tutto acquista un sapore di antichità. di ieraticità e, dunque, di universalità. 

Giacomo Sammartano 

(1) Leopardi, Zib. 28 luglio 182l. 

(2. M.Corti, “La Stampa”, 4 novembre 1971. 

(3) Leopardi, Zib. 11 maggio 1821; 28 luglio 1821; 28 settembre 1823. 

(4) Pubblicata su “La Stampa” di Torino del 4 novembre 1971. 

(5) Pubblicato su “La Stampa” di Torino del 21 ottobre 1971.

(6) Pubblicato su “La Stampa” di Torino del 21 ottobre 1971. 

(7) Giannessi, Letteratura Italiana. I maggiori, Milano. Marzorati II. p. 1049. 

(8) Leopardi, Zib. l agosto 1821. 

(9) Leopardi. Zib. 18 agosto 1821.

(10) Ecclesiaste III. 10. 11. 

(11-12) Leopardi, Zib. 1, 400. 

Da “Spiragli”, anno II, n.2, 1990, pagg. 27-30.