Giovanni Monti – La poetica dell’onirismo
Ecco un nuovo libro di versi di Giovanni Monti. Nulla di nuovo, si potrebbe dire, vista la ponderosa produzione di Monti, i cui esordi letterari risalgono al 1962. E tuttavia, la pubblicazione di questo poemetto (A due voci – Colloquio con il padre, Ila Palma Edizioni) va rimarcata per motivi sia formali che contenutistici, che danno all’opera caratteristiche peculiari e specialissime.
Attraverso stilemi pseudo-narrativi, Giovanni Monti affronta il tema onirico del dialogo col padre morto (di cancro, ma poco importa). Si tratta di un onirismo di specie particolare, il cui compito è di coagulare gli aspetti della realtà attraverso la sua deformaz.ione. Nel quadro onirico prendono sostanza le immagini di una quotidianità filtrata dal ricordo. Tutto ciò consente al poeta di riattraversare il racconto della propria vita e di quella del padre, evitando il rischio dell’elegia e lasciandosi anche imprigionare dal suo mondo tutto kafkiano. Come? Attraverso una serie di espedienti ritmici (il nonario che inframmezza l’endecasillabo), che sostengono i due interlocutori immaginari del poemetto, che monologano quando sembrano dialogare e viceversa. Per questa via, l’autore ottiene un duplice risultato: far prendere alla lettera quello che si dice e dare nello stesso tempo la sensazione che di quello che si dice niente è vero, perché tutto è soltanto visione o follia.
La grande novità di quest’ultimo Monti è la creazione di un verso assolutamente postermetico, colloquiale e teatrale, cantabile e ripetibile, privo di enfasi (o, peggio, di sentimentalismo). Un verso capace di trasformare l’introspezione in figure aggettanti, i grovigli emotivi in ingorghi dialogici e di rovesciare, l’uno nell’altro, il monologo e il dialogo. Eppure, Giovanni Monti è di formazione ermetica. I suoi maestri dichiarati sono Ungaretti e Montale, Verlaine e Rimbaud. Mai un tradimento aveva dato frutti tanto succulenti.
Giovanni Monti appartiene a una generazione di poeti che ha saputo fare dell’amore e della morte i temi dominanti della propria poesia. E la morte è la presenza costante di questo poemetto (ed è davvero aderente la citazione, in prolepsis, da Discussione sul ponte di Giovanni Raboni).
Per non essere complice della realtà, il poeta adotta un’ottica mortuaria. D’altronde, la morte ha sempre reso bene in moneta lirica. Però si guardava alla morte dalla parte dei vivi. Monti la guarda dalla parte dei morti. E fa parlare il padre morto; gli fa narrare le sue angosce e le sue ansie di uomo che forse ha scelto di morire per meglio comprendere le cose del mondo; o forse è morto contro ogni sua volontà perché un dio infame l’ha deciso. Solo Edgar Lee Masters ha saputo fare altrettanto.
Ben vero, non sappiamo se questo A due voci sia una svolta nella produzione poetica di Giovanni Monti a quasi mezzo secolo dal suo debutto e superati i sessant’anni. Ci sembra, comunque di potere affermare che questo poemetto ha un tono tuttaffatto diverso dalle precedenti opere poetiche di Monti (una trentina) e che esso apre la strada a ulteriori, imprevedibili sviluppi.
Luigi Vajola
Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 55-56.
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