Il teatro di Ionesco 

L’11 maggio del 1950, al Théatre des Noctambules di Parigi, veniva rappresentata per la prima volta La Cantatrice chauve di Eugenio Ionesco, con la regia di Nicolas Bataille. Fu un grande avvenimento o, meglio, quella data segnò l’inizio di un teatro nuovo che venne designato con diverse etichette. Noi non entriamo nel merito della questione, perché almeno per il momento non ci interessa o, se ci interesserà, in rapporto a quello che è l’oggetto del nostro discorso. 

La Cantatrice chauve, che ininterrottamente da allora viene rappresentata a Parigi e nel mondo, ha in sé la tematica del teatro di Ionesco, con la conseguente rottura con il teatro tradizionale e con il teatro engagé di Brecht e di Sartre. Ionesco, pur mettendo al centro del suo discorso l’uomo, non presenta dei caratteri o degli eroi, non lancia dei messaggi; egli porta sulla scena ciò che è stato da sempre trascurato e nemmeno minimamente preso in considerazione: la banalità che è nella nostra esistenza, lo spirito di contraddizione che è in noi, la messa in discussione del linguaggio. E su queste linee, anche se con diverse sfumature, si muoveranno i nuovi drammaturghi (Beckett, Schéhadé, Genet, Pichette, lo stesso Adamov). 

Ionesco definì questo suo modo di fare teatro «anti-teatro», volendo rimanere dentro il teatro, sebbene gli altri lo abbiano etichettato come «teatro dell’assurdo» per la novità con cui affronta i problemi esistenziali, difficilmente riconducibili nell’ottica del teatro tradizionale, e per la libertà stessa con cui vengono trattati, rompendo con la staticità di quel teatro. 

Certo, influì sul «nuovo teatro» la situazione creatasi in conseguenza alle due grandi guerre, con le distruzioni e con le assurdità che esse, più che mai, evidenziavano, mentre era facile rendersi conto come le manifestazioni artistiche non solo non rappresentavano la realtà, ma la travisavano, contribuendo così a disorientare ancor più gli uomini che, usciti da quelle catastrofi – siamo negli anni Cinquanta -, erano già entrati nel clima della cosiddetta guerra fredda. E se il disagio era generalizzato, tanto più veniva vissuto dagli intellettuali che volevano pure trovare un modo per esternare la realtà senza falsarla: quella realtà che cadeva sotto i loro occhi e quella che interiormente stavano vivendo. 

Alcuni (Brecht, Sartre, Camus e altri) portavano avanti nelle loro opere un discorso politicamente impegnato, ma, volendo mandare dei messaggi, per forza di cose dovevano risultare di parte, perdendo così di vista, nella sua essenza, l’uomo. Ionesco e i nuovi drammaturghi vanno contro questo tipo di teatro, presentando la realtà com’è, amara, spesso banale, eppure reale specchio dell’umana esistenza. In essi non c’è altra pretesa che questa: dire le cose come stanno. senza alcuna presunzione, non nascondendo niente. Ma, appunto perché sono «verità elementari», scuotono l’uomo in tutto il suo essere e lo fanno riflettere. 

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Il teatro è, per Ionesco, un campo aperto ove tutto è possibile rappresentare, anche ciò che sembra non avere né testa né coda, come avviene nella Cantatrice chauve, dove gli Smith dicono frasi senza senso, ripetitive e contraddittorie. 

La Cantatrice chauve, che Ionesco sottotitola: Anti-pièce. proprio perché si diversifica dal teatro tradizionale. trae la sua linfa da un eserciziario per l’apprendimento della lingua inglese. È l’occasione perché Ionesco vada contro il linguaggio convenzionale, vuoto e insignificante(1). Si accorge che quelle frasi accostate tra loro producono uno strano effetto. come di chi parla tanto per parlare. per cui la comprensione risulta incomprensibile e astratta. Al di là di tutto questo, ecco che subentra. però. il lato comico del discorso: e se il pubblico alla prima rappresentazione rimase frastornato, ne uscì anche divertito per la comicità che involontariamente è alla base della pièce. 

IL SIGNOR SMITH, sempre col suo giornale: C’è una cosa che non capisco. Perché nella necrologia, che il giornale riporta, si dà sempre l’età della persona deceduta e mai quella dei neonati? È un non senso. 

LA SIGNORA SMITH: Io non me lo sono mai chiesto! Un altro momento di silenzio. L’orologio suona sette volte. Silenzio. L’orologio suona tre volte. Silenzio. L’orologio non suona affatto. 

IL SIGNOR SMITH, sempre col suo giornale: Ecco, è scritto che Bobby Watson è morto. 

LA SIGNORA SMITH: Mio Dio, poveretto, quando è morto? 

IL SIGNOR SMITH: Perché ti meravigli? Lo sapevi bene. È morto due anni fa. Ti ricordi, siamo stati al suo seppellimento, un anno e mezzo fa. 

LA SIGNORA SMITH: Certo che mi ricordo. Mi sono ricordata subito, ma non capisco perché tu stesso sei rimasto meravigliato ad apprenderlo dal giornale.

IL SIGNOR SMITH: Non era sul giornale. Sono già tre anni che si è parlato del suo decesso. Me lo sono ricordato per associazione di idee(2). 

Già questo colloquiare è buffo e insignificante. Così è tutta la pièce che si svolge in un interno, con protagonisti gli Smith, appunto, e un’altra coppia, i Martin, affiancati dalla governante Mary e dal Capitano dei pompieri. 

Niente di particolare nella scenografia, vivificata, però, da un inconsueto movimento che mette in risalto i personaggi e, soprattutto, il loro dialogare e il dialogo in genere, causa continua di malintesi. Sotto accusa è la borghesia emergente negli anni Cinquanta, conformista, ricca soltanto di frasi fatte e di pretese che ne tradiscono le origini e la vuotaggine. 

La pièce, che è un atto unico, consta di undici scene; non narra una storia, ma mette assieme stati d’animo diversi che, intensificati, sfociano nella comicità, come avevamo accennato sopra. Comunque, è una comicità che, se sulle prime fa ridere, lascia subito l’amaro in bocca e i suoi effetti sono altamente drammatici. Questo perché il teatro di Ionesco non è staccato dalla realtà, ma vive di essa. Il senso di angoscia, di insoddisfazione, che è nell’uomo, viene tradito dalle parole che lo intensificano ancora di più, dando a tutto l’insieme una progressione drammatica inaspettata. È, questo, un punto d’arrivo della poetica di Ionesco, ma è anche un punto di contatto con l’arte di Pirandello, che proprio sul comico aveva poggiato le premesse dell’umorismo che sta alla base del suo teatro. 

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Il teatro di Ionesco è una parodia del linguaggio e del modo di fare medio-borghese. 

La Cantatrice chauve è il primo tentativo bene riuscito, anche se all’inizio fece parlare molto di sé. D’altronde, il pubblico e la critica non erano abituati a questo genere di teatro, e dovette passare parecchio tempo prima di uscire fuori dalla tradizionale ottica teatrale. E se qui, in questa prima pièce, il linguaggio, messo sotto accusa per la banalità e per la ripetitività (si veda, ad esempio, la scena IV, dove i coniugi Martin scoprono dopo un lungo scambio di battute di essere marito e moglie) subisce di tanto in tanto un’accelerazione che alla fine esplode con quel .Non di qua, ma di là, non di qua, ma di là, non di qua… “, nelle opere che seguiranno, come ne La Leçon, c’è un’intensificazione dell’azione, anche se poi essa ripresenterà, seguendo una struttura circolare, la scena dell’inizio. Così, a chiusura della Cantatrice, avremo i Martin che ripetono la stessa scena di apertura degli Smith, mentre nella Leçon, il Professore, dopo avere ucciso, si prepara a uccidere ancora. 

L’attenzione dell’autore non è rivolta al carattere dei personaggi, ma al vissuto quotidiano, monotono eppure pieno di imprevisti, vuoto e amaramente deludente, capace solo di farci consapevoli dell’assurdità della nostra esistenza. Per questo acquistano importanza nel suo teatro quegli elementi che erano stati da sempre trascurati: gli oggetti, la luce, il silenzio, le decorazioni. Essi rappresentano la materializzazione e il vuoto dell’uomo moderno, la sua mancanza d’identità. Anche le didascalie, che già in Pirandello avevano assunto un ruolo non indilTerente per la comprensione e per la rappresentazione delle sue commedie, hanno una fondamentale importanza. E se il testo molto spesso è scarno e si limita all’essenziale, esse fanno scendere nel particolare e calare nella realtà che l’autore vuole evidenziare. Dietro questa esigenza c’è la preoccupazione (comune a tutti gli autori, del resto) che la propria opera non venga travisata e rispecchi i sentimenti e le tensioni che sono alle sue origini. 

Con Les Chaises Ionesco rappresenta sulla scena la solitudine, la mancanza di identità, gli oggetti. ricorrendo a una sorta di accelerazione che dice quanto è deprimente la vita. Le sedie che si moltiplicano a dismisura sottolineano la materialità invadente, il vuoto, l’assenza, che sono nell’uomo di oggi. Nei due vecchi protagonisti c’è tanta nostalgia per la vita che fu. ma manca loro lo slancio che li faccia uscire dallo stato di torpore angoscioso in cui sono caduti. 

IL VECCHIO: Sono le 6 del pomeriggio… È già notte. Ti ricordi, un tempo. non era così; era ancora giorno alle 9 di sera. alle lO. a mezzanotte! 

LA VECCHIA: È pur vero. che memoria! 

IL VECCHIO: È cambiato tutto. 

LA VECCHIA: Perché, secondo te? 

IL VECCHIO: Non so, Semiramide, mia cacca… Può darsi, perché più si va, più ci si affonda. A causa della terra che gira, gira, gira, gira… 

LA VECCHIA: Gira, gira. tesoruccio mio… (Silenzio,) Ah! Sì, sei certamente un gran saggio. Sei molto dotato, tesoro. Avresti potuto essere presidente capo, re capo, o anche dottore capo, maresciallo capo, se avessi voluto, se avessi avuto un po’ d’ambizione nella vita… 

IL VECCHIO: A cosa ci sarebbe servito? Avremmo vissuto un po’ meglio… e poi. abbiamo una posizione. sono maresciallo lo stesso. d’alloggio. visto che sono portinaio. 

LA VECCHIA (accarezza il Vecchio come si carezza un bambino): Tesoruccio mio, mio piccolo… 

IL VECCHIO: Mi annoio molto. 

LA VECCHIA: Eri più allegro, quando guardavi l’acqua… Per distrarci, fingi come l’altra sera. 

IL VECCHIO: Fingi tu, tocca a te. 

LA VECCHIA Tocca a te. 

IL VECCHIO: A te. 

LA VECCHIA: A te. 

IL VECCHIO: A te. 

LA VECCHIA: A te. 

IL VECCHIO: Bevi il tuo tè, Semiramide. Non c’è tè, evidentemente (3) 

Un senso di nostalgia che fa cadere nella delusione e nella più stupida banalità. Ora che la parola non è più capace di esprimere la realtà della nostra esistenza, prendono corpo gli oggetti che proliferano, marcando ancor più uno stato di disagio che non solo deprime, ma spinge all’annullamento e alla morte. E i due vecchi si uccideranno nella vana attesa di qualcuno che li avrebbe dovuto sollevare e farli uscire dalla confusione mentale in cui erano caduti. Solo all’ultimo appare il tanto atteso Oratore che, però, è sordo e muto, e non riesce a comunicare dinanzi a quell’assenza-presenza rappresentata dalle sedie vuote. 

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L’Oratore delle Chaises, atteso dai due vecchi e dalla moltitudine di “invisibili”, non parla perché sordomuto; nella Cantatrice chauve assistiamo a qualcosa di simile: non c’è nella pièce nessuna che sia calva e che canti. Nell’una e nell’altra Ionesco si serve degli oggetti e del linguaggio per provocarci. E ci riesce magnificamente bene, perché spinge chiunque alla riflessione, mette chiunque dinanzi a queste assurdità che, poi, tali non sono, se consideriamo che esse sono la parte meno apparente di noi; quella a cui diamo meno ascolto, eppure reale, anche se si tratta di un realismo che cozza con l’assurdo. 

Dietro all’apparente sperimentalismo teatrale c’è nell’opera di Ionesco un bisogno di ricerca che lo accompagnò per tutta la vita. Questo suo bisogno nasce dalla presa di coscienza dell’uomo che, uscito da due guerre nefaste, ha perso la fiducia nei valori e cerca con disperazione una nuova identità. Adesso l’uomo Ionesco vuole fare piena luce attorno a sé o, per lo meno, vuole attaccarsi a una speranza che gli prospetti l’uscita da questo vicolo cieco. Ionesco che era andato contro il teatro impegnato, ora dà un senso alla sua ricerca, volendo riscoprire i veri sentimenti e aprire un varco in un mondo che non conosca violenze e soprusi(4). 

Già in Jacques ou la Soumission c’è un attacco diretto contro il conformismo dilagante, ma meglio ancora in Rhinocéros, dove l’allusione a ogni tipo di fanatismo è più marcata e il conformismo è paragonato a una sorta di malattia sociale dilagante che contagia persino gli insospettabili. 

BÉRENGER: Riflettete, vediamo, vi rendete ben conto che abbiamo una filosofta che questi animali non hanno, un irreprensibile sistema di valori. Secoli di civiltà l’hanno consolidato… 

JEAN, sempre nel bagno: Demoliamo tutto, staremo meglio. 

BÉRENGER: Non vi prendo sul serio. Scherzate, e fate poesia. 

JEAN: Brrr… Barrisce appena. 

BÉRENGER: Non sapevo che foste poeta. 

JEAN. esce dal bagno: Brrr… Barrisce di nuovo. 

BÉRENGER: Vi conosco molto bene per credere che questo sia il vostro intimo pensiero. Perché, lo sapete molto bene che io, l’uomo… 

JEAN, interrompendolo: L’uomo… Non pronunciate più questa parola! 

BÉRENGER: Voglio dire l’essere umano, l’umanesimo… 

JEAN: L’umanesimo è superato! Siete un vecchio sentimentale ridicolo. Entra nel bagno. 

BÉRENGER: Alla fine, nonostante tutto, lo spirito… 

JEAN, dal bagno: Cliché! Mi raccontate sciocchezze. 

BÉRENGER: Sciocchezze! 

JEAN, dal bagno, con una voce molto rauca difficilmente comprensibile: Assolutamente. 

BÉRENGER: Sono meravigliato di intendervi dire ciò, mio caro Jean. Perdete la testa? Dunque, amereste essere rinoceronte? 

JEAN: Perché no! Non ho i vostri pregiudizi (5) . 

Bérenger, questo personaggio positivo che tante altre volte incontriamo in Ionesco, farà una gran fatica a imporsi e a rimanere integro nella sua personalità. Quando l’aberrazione di alcuni diviene di tanti, l’anormalità entra nella norma, mentre, al contrario, il normale sembrerà agli occhi di tutti un anormale e tale verrà considerato. Come Bérenger e quanti, come lui, vanno contro il conformismo di massa che mortifica l’uomo nella sua dignità. 

Giustamente Martin Esslin(6) ha colto nel segno il teatro di Ionesco quando dice che l’apparente assurdità della vita gli serve da pretesto per la sua ricerca sull’uomo e sulla società tendente a riscoprire quei valori elementari indispensabili per la nostra esistenza. In effetti Ionesco si indirizza verso questa riscoperta e ricerca la via per ridare all’uomo la serenità perduta. Jean, il protagonista di La Soif et la Faim, tende verso una vita migliore; Bérenger di Le Roi se meurt, dopo tanto soffrire, acquista consapevolezza e si rende finalmente conto del senso vero della vita. 

L’assurdo, di cui molto si parla, a proposito di Ionesco, va contro l’effimero e vuole consolidare certezze durature. Per questo, va scartata l’etichetta di assurdo; meglio parlare di anti-teatro, come Ionesco stesso preferisce, dal momento che, magari in forma diversa e non rinunciando al teatro, affronta la realtà, quella che tocca più da vicino l’uomo e il suo essere profondo. 

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Claude Abastado scrive: «Tutto il suo teatro è una esplorazione dell’inconscio, concepito come la fonte del pensiero e dell’azione e, nello stesso tempo, come la realtà psichica comune a tutti gli individui(7)•. L’affermazione coglie nel segno il teatro di Ionesco che la conferma ne L’Impromptu de l’Alma(8). La morte, l’aspirazione a un mondo migliore nell’aldilà e le relative incertezze sono alla base di questo teatro, anche se con tutta la buona volontà dell’autore la sua ricerca e il tentativo di dare una risposta ai perché rimangono elusi; e l’uomo Ionesco, come Jean di Le Piéton de l’air , perde quello slancio che lo aveva fatto sperare in bene, ma non demorde dal credere in un qualcosa di più duraturo. 

Le Roi se meurt è l’opera in cui Ionesco sviluppa più che in ogni altra sua pièce il tema della morte e, di conseguenza, l’impotenza dell’uomo dinanzi a questa realtà che spesso viene sottovalutata e, addirittura, dimenticata. Il re che muore è l’uomo resosi finalmente consapevole del proprio destino. Ma all’inizio insiste a non dare peso a tutto ciò, e solo quando il senso della morte, e l’idea che tutto è effimero e passeggero, cominciano a impossessarsi di lui, allora capirà che è inutile ribellarsi e che la morte, quando verrà, non chiederà mai il permesso. 

MARGHERITA: Non ne vale la pena. È irreversibile(9) . 

L’uomo che fino ad allora non aveva mostrato alcuna incertezza, adesso, tutto d’un tratto, vede crollare dinanzi a sé il mondo di cartapesta che s’era costruito, e vuole crearsi un varco per uscire da quella morsa che è l’idea ossessionante della morte, vicolo cieco faticoso per chi si accinge a imboccarlo. Alcuni uomini, magari, si arrenderanno sfiduciati a questa triste realtà, altri si rivolgeranno a Dio come ultima salvezza, altri ancora tenteranno di dare, a riprese, una ben più salutare soluzione ai loro problemi. Di questi è Eugenio Ionesco che con coraggio spinge avanti la sua ricerca, tenendo presenti la condizione umana e la futilità del destino. 

Le Roi se meurt è l’amara constatazione della morte dell’uomo, di ogni uomo che erroneamente ha posto la sua speranza nella vita. 

MARGHERITA: È tempo perduto. Sperare, sperare! (Alza le spalle.) Non hanno che questo in bocca e la lacrima all’occhio. Che abitudine (lOl. 

Ma è anche un inno alla vita, quella degna di essere vissuta nella piena consapevolezza delle nostre capacità, in vista di un bene che vada al di là 

della stessa morte. Perché, allora, Ionesco ha scritto questa pièce? Sentiamolo: 

« Sono partito da un’angoscia… Quest’angoscia era molto semplice e chiara. Essa era scaturita da qualcosa di meno irrazionale. di meno viscerale, cioè, di più logico. qualcosa più alla superficie della coscienza […l. Ero stato ammalato e avevo avuto molta paura (11) •• 

Ionesco esprime il timore e lo stato d’animo di chi sta male e si trova fra la vita e la morte. Il tempo che passa, inavvertito e impassibile, acuisce ancora di più il disagio e travolge a poco a poco ogni speranza e ogni desiderio. È allora che l’uomo riconosce i suoi limiti e cade nell’angoscia. 

A ragione, G. Dumar dice: « È questa angoscia fontamentale, esistenziale. che fa da soggetto al Roi se meurt. Mai Ionesco è andato così lontano nella descrizione dell’essere -per-la-morte. come la descrive la filosofia pessimista. da Schopenhauer a Sartre (12) ‘. Ed è questa, in effetti. la constatazione che un lettore attento farebbe, se si soffermasse soltanto su Le Roi se meurt una conclusione sconsolante e logica che è di chi arbitrariamente fa scadere tutto l’essere dell’uomo nell’ “essere-per-il-mondo” che è “essere-per-la- 

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Così come circolare è la struttura di certe pièce, anche la drammaturgia ioneschiana segue una forma circolare. Ionesco era partito parodiando il linguaggio e mettendo in caricatura la società borghese. per condannare con Tueur sans gages e Rhinocéros le aberrazioni del totalitarismo dilagante in quegli anni, specie in Romania, il suo Paese, e per constatare (La Soif et la Faim. Le Roi se meurt) l’impossibilità per l’uomo di uscire dal vicolo cieco della sua esistenza. Deluso. non potendosi elevare perché la ricerca non ha gli sbocchi sperati, l’uomo Ionesco ritorna alla sua fase iniziale, quella pessimista de La Cantatrice chauve. de Les Chaises e de La Leçon. Perché? 

La vita – dice Ionesco, a proposito de La Vase – è un continuo retrocedere. un imbrattarsi di fango. un andare verso il basso(l3). Così. in Jeux de massacre. in Macbeii e in Cefonnidable bordello egli affronta ancora il tema della depravazione collettiva. degli orrori delle guerre. dello spargimento di sangue dettato dal desiderio di prevalere sugli altri e di dominare. 

La disarticolazione del linguaggio. la sua ripetitività. le allusioni e i luoghi comuni rendono ancor più deludente e mortificante l’esistenza che non ha altra alternativa, altro scampo. se non la lucida consapevolezza delle leggi che la sovrastano. del male che incombe su tutto. 

MACBETT: Eccola tutta nuova. (Rimette la spada nel fodero. beve il boccale di vino, mentre l’Attendente esce di scena da sinistra.) No, nessun rimorso, essendo stati traditori. Non ho .fatto che ubbidire agli ordini del mio sovrano. servIZIO imposto. (Posando 11 boccale:) Molto buono, questo vino. Non risento più la stanchezza. Andiamo. 

(Guarda verso il fondo.) Ecco Banco. Hé! Come va?l14) 

Gli orrori, i misfatti delle guerre ancora una volta giustificati e voluti da ordini superiori, come in ogni tempo e in tutte le guerre: e basta la motivazione di un ordine imposto per mettere a tacere la coscienza e affogare nel vino il rimorso! Cambiano i tempi. ma l’uomo è sempre lo stesso! 

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Il teatro di Ionesco, che è un’amara riflessione sulla vita e sull’uomo, a giusta ragione, è teatro totale, nel senso che alla sua base non c’è l’uomo in sé, e inserito in un contesto sociale, ma qual è nel suo intimo, nella sua essenza e, come tale, ha veramente dell’universale. Sta qui, senza bisogno di cercare altrove, la riuscita di questo teatro che, sulle prime non fa avvertire il suo peso, ma a poco a poco attrae a sé e conquista. 

A proposito di Ionesco, si è parlato di nuovo Umanesimo. Il suo teatro valorizza l’uomo e tutto ciò che in bene è capace di fare, allontanando il male che pende sulla sua testa come la spada di Dàmocle. Un nuovo Umanesimo, questo di Ionesco, che, da una parte, mette in guardia l’uomo dagli odierni pericoli (invadente materializzazione che non gli lascia alcuno spazio e lo fa cadere nella più nera solitudine, il prevalere di ideologie che vanificano ogni suo sforzo piuttosto che innalzarlo , per cui è portato ad ammalarsi di rinocerontite – vedi Rhinocéros -, con il conseguente abbandono sfrenato a ogni eccesso), dall’altra, tende verso la ricerca di valori e verità che la dilagante materialità ha fatto dimenticare ( l’amore, il senso dell’amicizia, il dialogo, la spiritualità propria dell’uomo, l’accettazione della vita, l’ineluttabilità della morte). 

Il bello di questo teatro è che il suo autore non indica in qualche modo il suo assunto, ma procede, almeno apparentemente. senza fissi obiettivi, per cui il lettore, o lo spettatore, viene preso alla sprovvista, come quando incosciamente trovatosi immerso in un sogno e, volendone poi tirare le fila, fa difficoltà a raccapezzarsi. Ionesco è consapevole di questo(15), per cui l’azione scenica risulta molto movimentata, ricca di spunti e di contraddizioni che dicono quanto è imprevedibile la vita, mentre i personaggi non sono tutto, perché – come dicevamo – un ruolo determinante lo assolvono le luci, il silenzio, i rumori, la stessa contraddittorietà del dialogo. Quello che conta per Ionesco, e per i nuovi drammaturghi in genere, è comunicare (16), riuscire a comunicare agli altri il mondo di cui siamo un riflesso, non necessariamente ricorrendo alla parola, ma a tutte quelle manifestazioni ed espedienti che avvicinano meglio alla realtà. 

Fuori da ogni convenzionalismo, il teatro di Ionesco è soprattutto un teatro di ricerca , e quello a cui si rivolge è il mondo nel senso lato del termine. Per questo, Ionesco è scrittore di grande umanità e di finissima sensibilità. È auspicabile che molti si accostino alla sua opera, che veramente ha dell’originale e risponde appieno alle esigenze dell’uomo, mai come ora in cerca della sua vera identità. 

Salvatore Vecchio 

1) E. Ionesco, Notes et contre-notes, Paris, Gallirnard, 1966, pag. 253. 
(2) E. Ionesco,. La Cantatrice chauve, in “Théatre complet”, Paris, Gallimard, 1991, pag. 12: 
«MONSIEUR SMITH, toujours avec son journal: il y a une chose que je ne comprends pas. Pourquoi à la rubrique de l’état civil, dans le journal,donne-t-on toyjours l’age des personnes décédées et jamais celui des nouveau-nés? C’est un non-sens. 
Madame SMITH: Je ne me le suis jamais demendé! 
Un autre moment de silence. La pendule sonne sept fois. Silence. La pendule sonne trois fois. Silence. La pendule ne sonne aucune fois. 
MONSIEUR SMITH, toujours dans son journal: Tiens, c’est écrit que Bobby Watson est mort. 
MADAME SMITH: Mon Dieu, le pauvre, quand est-ce qu’il est mort? 
MONSIEUR SMITH: Pourquoi prends-tu cet air étonné? Tu le savais bien. Il est mort il y a deux ans. Tu te rappelles, on a été à son enterrement, il y a un an et demi. 
MADAME SMITH: Bien sùr que je me rappelle. Je me suis rappe/é tout de suite, mais je ne comprends pas pourquoi toi-mème tu as été si étonné de voir ça sur le journal. 
MONSIEUR SMITH: ça n’y était pas sur le Journal. Il y a déjà trois ans qu’on a parlé de son décès. Je m’en suis souvenu par association d’idées! »
(3) Ivi, pagg.142-143: 
 l.E VIEUX: Il est 6 heures de l’après-midL .. Ilfait dejà nuit. Th te rappelles,jadis, ce n’était pas ainsi; ilfaisait encorejour à 9 heures du soir, à lO heures, à minuit. 
IA V1EILLE: C’est pourtant vrai. quelle mémoire! 
LE VIEUX: ça a bien changé. 
IA V1EILLE: Pourquoi done, selon toi? 
LE VIEUX: Je ne sais pas, Sémiramis, ma crotte… Peut-etre parce que plus on va, plus on s’enfonee. C’est à cause de la terre qui toume, toume, toume, toume… 
IA VIEILLE: Toume, tourne, mon petit chau… (Silence,) Ah! ou~ tu es certenement un grand savant. Th es très doué, mon chau. Th aurais pu etre président chef, roi chef, ou mème docteur chef, maréchal chef, si tu avais voulu, si tu avais eu un peu d’ambition dans la vie… 
LE V1EUX: A quoi cela nous aurait-il servi? On n’en aurait pas mieux vécu… et puis, nous avons une situation, je suis maréchal tout de mème, des logis, puL’>que je suis coneierge. 
IA VIEILLE (elle caresse le Vicux comme on caresse un enfant): Mon petit chau, mon mignon… 
LE VIEUX: Je m’ennuie beaucoup. 
IA VIEILLE: Th était plus gai, quand tu regardais l’eau… Pour nous distraire, fais semblant comme l’autre soir. 
LE VIEUX: Fais semblant toi-mème, c’est ton tour. 
IA V1EILLE: C’est ton tour. 
LE VIEUX: Ton tour. 
IA V1EILLE: Ton tour. 
LE VIEUX: Ton tour. 
IA V1EILLE: Ton tour. 
LE VIEUX: Bois ton thé, Sémiramis. Il n’y a pas de thé, évidemment. 
(4) Per una maggiore comprensione di lonesco e del suo teatro, di grande utilità è Notes et contre-notes, citato e, in particolare, il saggio che apre il libro: L’auteur et ses problèmes, pagg. 11-43. 
(5) E. Ionesco, in “Théàtre comp1et”, pag. 601: 
BÉRENGER: Réfléchissez, voyons, vous vous rendez bien compte que nous avons une philosophie que ces animaux n’ont pas, un système de valeurs irremplaçable. Des siècles de civilisation humaine l’ont bati!… 
JEAN: toujours dans la salle de bains: Démolissons tout cela, on s’en portera mieux. 
BÉRENGER: Je ne vous prends pas au sérieux. Vous plaisantez, vous failes de la poesie. 
JEAN: Brrr… Il barrit presque. 
BÉRENGER: Je ne savais pas que vous éliez poète. 
JEAN, il sort de la salle de bains: Brrr. .. Il barrit de nouveau. 
BÉRENGER: Je vous connais lrop bien pour croire que c’est là volre pensée profonde. Car, vous le savez aussi bien que mo~ l’homme… 
JEAN, l’interrompant: L’homme… Ne prononcez plus ce motI 
HÉRENGEH: Je veux dire l’etre humain, l’humanisme… 
JEAN: L’humanisme est. périrné! Vous éles un vieux sentimental ridicule. Il entre dans la salle de bains. ÉRENGER: EnJìn, tout dc meme, l’esprit… 
JEAN, dans la salle dc bains: Des Clichés! Vous me mcontez cles betL’ies! 
HÉRENGER: Des betL’ies! 
JEAN, de la salle dc bains, d’une voix très rauque dilTicilement compréhensible: Absolument. 
HÉRENGEH: Je suL‘i élonné de vous entendre dire cela, mon cherJean! Perdez-vous la let.e? Enfìn. aimeriez-vous elre rhinocéros? 
JEAN: Pourquoi pas! Je n’ai pas vos préjugés. 
(6) M. Esslin, Le théàt.re de l’absurde, Paris, Buchet/Chastel. 1963. 
(7) «Tout son théiìtre est une exploration de l’inconscicnt, conçu comme la surce de la pensée et de l’action, et, en meme temps, commc la realité psychique commune à tous les individus» (C. Abastado, Ionesco, l’ans, Bordas, 1971, pa~. 246). 
(8) E. lonesco, in “Théatre complet”, cit., pag. 465: «Le théatre est, pour moi, la projection sur scene du monde du dedans: c’est dans mes reves, dans mes angoisses, dans mes désirs obscurs, dans mes contradictions interieures que, pour ma part, je me réserve le droit de prendre cette matière théatrale ‘.
(9) lvi, pag. 741: 
-MARGHERlTE: Ce n’est pas la peine. Elle est irréversible ‘. 
(lO) Iv~ pago 741: 
« MARGI IERITE: C’est du temps perdu. Espérer, espérer! (Elle hausse les épaules.) lls n’om que ça à la bouche et la larrne à l’oea. Quelles moeurs! -. 
(lI) C. Bonnefoy, Emratiens avec Ionesco, Paris, Bclfond, 1966, pago 90: « Je suls parti d’une angolsse… Cette angoisse était trés simple, trés claire. Elle a été ressentie d’une façon molns irrationelle, moins viscérale, c’est-à-dire plus logique, plus à la surface de la conscience […]. Je venais d’ctre malade et j’avais eu très peur ‘. 
(12) G. Dumar, Frère, a.raut mourir- Le Roi se meurt – Odéon, in “Le Nouvel Obsevateur”, 6 Dic. 1976, pag. 103. morte”. Non così è per Ionesco che – come abbiamo detto – non solo non ha cessato mai di ricercare Dio. ma fa pensare nei suoi ultimi scritti (“La quete intennittente”. “Maximilien Kolbe”) a una concezione più rasserenante della vita. 
(13) M. C. Hubcrt, Eugène Ionesco, l’aris, Seui\, 1990. Pago 260: • Ce qui se passe dans In Vase, c’est ce qui se passe dans la vie, dans notre viCo Nous avons l’impression – c’est un blasfèmel – que Dicu a une volonté d’involution. Pour moi, je trouve qu’il est tout à fait illogique, non nature!, anormal, pathologique qu’au lieu dc nous épanouir, à mesurc qUe nous avançons dans l’age, nous nous dégradions. La vie devrait étre un épanouissement, une évolution favorable et non pas une involution ‘. 
(14) E. Ionesco, in “Théatre complet”, cit., pag.lD48: • MAC13E1T: La voilà toute neuve. (Il remet san épée dans le fourreau, boit la cruchc dc vin, tandis quc l’ordonnancc sort de scéne par la gauche.) Non, pas de remords, puisque c’était cles traitres. Je n’aifait qu’obéir aux ordres de mon souverain. Service commandé. (l’osant la cruche:) Très bon, ce vino Je ne ressens plus 
(15) Cfr. nota 8, pag. 12. 
(16) E. Ioncsco, Notes et contre-nDles, cit., pag. 197. 

Da “Spiragli”, anno VI, n.1, 1994, pagg. 8-14.