Chi ha l’opportunità di conoscere Nino Martino si rende subito conto che è un artista riservato e di poche parole, ricco di sensibilità e di una dote che è di pochi: quella di saper plasmare e dare vita alla creta con forme e colori che niente hanno da invidiare a quelli della tela. Mi si dirà che l’arte della ceramica è antica quanto l’uomo e che proprio in queste parti (siamo a S. Stefano di Camastra) si consolidò più che altrove.
La ceramica di Martino esula da ogni riferimento di indirizzo, perché, prima di essere fissata a fuoco nella materia e nei colori, è come meditata, cotta nel calore del suo animo con il cuore e con la mente. La sua arte è questa: un darsi, perché l’uomo ne fruisca non per puro godimento estetico che dice e non dice, bensì per trame un beneficio che lo porti a considerare la condizione umana e ad elevarsi spiritualmente. E ciò che ci vuole per dare un senso alla vita, per affrontare le contraddizioni che essa riserva, ed è ciò che troviamo nella tematica di Martino, ed espressamente fermate in due splendidi vasi: Le contraddizioni di Pandora, disegnati con un cromatismo ben dosato, o in Cavaliere senza nome, dove il tema ispiratore è il voler migliorare che è proprio dell’uomo, acquistare prestigio o nome, ieri come oggi. L’artista va con la sua ispirazione ai paladini antichi, ai crociati, che lottavano per una fede e, soprattutto, per affermarsi e imporsi. La ricerca di una propria identità è attuale, e oggi più che ieri l’uomo ha difficoltà ad uscire dal conformismo e dalla massificazione ed è destinato a rimanere solo. Il colore dominante è l’arancione che insieme con gli evidenzia questo cavaliere che Dante direbbe «sanza ‘nfamia e sanza lodo».
Il colore e il segno sono frutto di una ricerca costante e di uno studio attento della natura e della vita che è in essa. Si veda Arabesque o Ampolla d‘infinito, oppure La lunga notte di Pompei, dove i contrasti di colore e le scie infuocate delle lingue di liquida lava dicono la forza racchiusa nella terra, che può sempre esplodere, e anche la paura e le ansie che sono in essa, e il silenzio che accompagna questi stati d’animo.
Ma quello che colpisce in gran parte di questa ceramica, siano essi vasi o piatti, sono le forme sottili e la tenuità dei colori, che riposano l’occhio e fermano l’attenzione dell’osservatore. Segni leggeri e colori riposanti, perché nel giuoco dei contrasti anche quelli forti acquistano un tono e una gradazione tali (Passione, Incantesimo, Lo spazio di Dionisio, La collana, Festa mobile, per citarne alcuni) per farsi apprezzare e diventare un piacere che l’animo distende e stimola.
Salvatore Vecchio
Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 50.
Lascia un commento