Nel segno della cultura
Signore e signori, buonasera, benvenuti a questa manifestazione e grazie per averci onorato della vostra presenza, qui in questo magnifico salone, gentilmente concessoci dall’amico e collaboratore J. P. de Nola.
Sentitamente ringrazio il prof. Tommaso Romano per la sua esaustiva, interessante relazione che ha messo in risalto tutto il percorso della rivista nell’arco di questi venti anni di attività soffermandosi sugli aspetti che meglio la caratterizzano. Un grazie va all’amico editore Renzo Mazzone che da alcuni anni collabora fattivamente con noi, mettendo a disposizione anche la sua lunga esperienza editoriale per aiutarci a migliorare e rendere più appetibile “Spiragli”. E consentitemi anche di ringraziare mia moglie e mia figlia Rita che con molta pazienza mi aiutano e collaborano in questo non facile lavoro.
Il titolo della relazione del prof. Tommaso Romano: «“Spiragli”, cammino di cultura» è indicativo, perché effettivamente la rivista è nata sotto l’insegna della cultura, come un bisogno soggettivo, una specie di paideia, di humanitas, che spingeva ad avere uno strumento per esternare qualcosa che ci portavamo dentro. Successivamente, essa assunse il significato di bildung e poi di kultur o civilization. Voglio dire che rientrò nell’accezione di cultura che integra l’altro e, quindi, globalizzante.
A sfogliare tutta la produzione di questi 20 anni di attività l’impressione che abbiamo è proprio questa. Ed è un qualcosa di positivo, di speranza per tutti, perché solo progredendo nella conoscenza, possiamo augurarci il bene, che è garanzia del vivere civile; ed è un assunto che ci si poneva fin dall’inizio, guardando fiduciosi alla letteratura, alle arti, alla scienza, alla scuola, ai problemi che ci circondano. E lo abbiamo fatto sostenuti dal contributo di idee e di scritti dei tanti amici qui presenti stasera, e di tanti altri un po’ sparsi in Italia e nel mondo o di altri che non ci sono più a cominciare da Romano Cammarata, che ci fu molto vicino e seguì con interesse la rivista, poeta e scrittore, apprezzato per le sue opere esplodenti vita, pur essendo intrise di un dolore nascosto; Avelino Hernandez, lo scrittore spagnolo che cominciò ad amare e a riprendere nei suoi scritti la Sicilia; Davide Nardoni, filologo sperimentale che per diversi anni tenne la rubrica “La Taratalla”; e l’ispettore superiore dei BB. CC., nonché scrittore e fine poeta, Giovanni Salucci che collaborò e non mancò di sostenere anche finanziariamente la rivista.
Fin dall’inizio, “Spiragli”, com’è nel sottotitolo, si è interessata di arte, di letteratura e di scienze, nella sua accezione più larga, e non ha mai tralasciato i problemi di attualità ha ospitato lavori sulla pace e anche quando ha trattato il problema della guerra, lo ha fatto per dire tutto il suo rifiuto, perché la pace va ricercata col dialogo e mai con l’uso delle armi. Si era nel 1989, alla caduta del muro di Berlino, e si pensava che le cose sarebbero cambiate in meglio, ma l’unilateralismo scoprì subito il suo volto negativo e alle tante guerre in corso in Africa e altrove se ne aggiunsero altre ancora più distruttive e micidiali. Proprio allora si è affrontato il tema della guerra, e quando si parlava di esportazione di democrazia, eravamo con altre voci che ritengono impossibile poterla esportare.
Così altri temi di grande attualità come l’inquinamento o l’integrazione, allora come ora problemi aperti che aspettano una soluzione, se non si vuole arrivare all’irrimediabile o alla rottura con le tante popolazioni che chiedono aiuto ai Paesi occidentali.
Uno spazio privilegiato è stato da sempre riservato alla Sicilia, alla sua storia, ai suoi uomini, grandi come lo è la loro terra, specie a quelli che l’hanno descritta con obiettività nel bene e nel male, a differenza di quanti la presentano in negativo. E se noi Siciliani siamo additati come mafiosi, non facendo alcun distinguo, si deve proprio alla propaganda negativa di questi scrittori che lucrano, dando un’immagine storpiata della realtà siciliana, dimentichi della stragrande maggioranza lavoratrice e onesta che sa – come scrive Dino D’Erice – che «il profumo della vita / è l’odore del frutto maturo / nato / dal seme / messo a dimora / con le nostre mani».
L’attenzione maggiore di “Spiragli” è rivolta all’arte, alla letteratura, alla poesia, che aprono al bello e, volendo parafrasare le parole del poeta, «illuminano d’immenso», facendo recuperare il positivo che è in noi, l’umano che spesso è sopraffatto dal materialismo più deleterio o dai tanti “grandi fratelli” che dicono il marciume imperante nella società odierna. A tutto questo riparano la buona letteratura, l’arte, la poesia, capaci di risollevare l’uomo e fargli accettare la vita in rapporto amichevole con l’altro, materialmente lontano, di colore di pelle diverso, eppure vicino, simile, per sensibilità e aspettative.
Per questo e a buona ragione, Heidegger aveva dato risalto alla parola poetica, perché dispensatrice di verità, aprendo all’essere e disvelandolo. Scrive: «Ma chi sarà in grado di rintracciare questa traccia? Le tracce, sovente, sono ben poco visibili, e sono sempre il retaggio di un’indicazione appena presentita. Essere poeta nel tempo della povertà significa: cantando, ispirarsi alla traccia degli Dei fuggiti. Ecco perché nel tempo della notte del mondo il poeta canta il Sacro».
Un giorno, Avelino Hernandez, parlando di poesia in senso lato nel suo rifugio di Selva di Majorca, mi disse: «La poesia è una vecchia cieca e zoppa, eppure vede bene e cammina». Di qui l’esigenza di averla vicina e di nutrirsene, perché oggi più che mai, si ha bisogno di camminare sicuri e di vedere ciò che compete per realizzarci come uomini e come persone.
Questo è il fine della cultura, e ad essa dobbiamo tendere, se non vogliamo rimanere schiacciati e “gettati nel mondo”, senza alcuno scampo. Ma oggi si tende a darle minor peso nelle istituzioni e ovunque. Non si vuole che le masse camminino con i loro piedi, che vedano e tocchino con le proprie mani la realtà che le circonda; non si vuole che siano consapevoli, perché alcuni, i pochi, possano continuare a manipolarle e gestirle, secondo piani ben precisi, studiati, ma sempre a loro vantaggio. Perciò non si pensa nemmeno lontanamente a sostenere e ad incrementare la cultura; piuttosto si promuovono quelle attività materiali che rendono dal punto di vista produttivo ed hanno subito un’immagine di ritorno lucrativa.
M. Pomilio, a proposito della rivista, qualche mese prima di morire così scriveva: «…le intenzioni iniziali sono chiare. A lei, ai suoi collaboratori, auguro buon lavoro, e molto coraggio, ché ce ne vuole per far durare simili imprese». E, infatti, ce ne vuole! Tante volte siamo stati tentati di interrompere la pubblicazione, ma ne siamo troppo attaccati per abbandonare una creatura che abbiamo visto crescere e dare i suoi frutti.
Certo le difficoltà ci sono, e sono tante; le intuiva G. Salucci, quando scriveva: «Mi dicesti che avresti chiarito, su “Spiragli”, le modalità di aiuto e di contribuzione per la rivista, ma non c’è niente. Non lo dico per me, ma per gli altri. Io, comunque, siccome sono convinto che iniziative come la tua vadano sostenute, oggi stesso ho inviato il mio modesto contributo». Si era nel ‘93, quando le leggi fiscali, penalizzando le piccole attività facevano chiudere tanti esercizi commerciali.
Ora, a distanza di anni, stiamo vagliando alcune modalità di contribuzione per migliorare ancora la rivista e per dotarla di un sito che metta a disposizione di tutti il lavoro fatto e quello che si andrà facendo.
La manifestazione di oggi vuole essere un momento di verifica, ma anche di confronto (pertanto, sono graditi eventuali vostri interventi), per meglio operare a favore di questa realtà che riscuote consensi per il taglio editoriale che le si è dato, per i suoi contenuti di largo interesse e per l’anticonformismo che da sempre la caratterizza, facendola non strumento di parte, bensì di crescita individuale e collettiva come solo la cultura sa fare. A questo tende “Spiragli” con l’auspicio che si avveri.
Salvatore Vecchio
Da “Spiragli”, anno XXII n.1, 2010, pagg. 16-18.