RAGAZZI DI STRADA 

Dove saranno 
Culò, Zeca Mulato, Encarnadinho? 
Ed Ivan il Terribile e il Maluco 
o l’intero terzetto del Curvelo? 
Passano il tempo 
a vivere qui intorno rassegnati, 
sperduti in un immenso anonimato? 
O tutti immersi in un profondo sonno? 
No. Tenendosi tutti per la mano 
i ragazzi che portano il carbone 
casa per casa 
i ragazzi di strada affascinati 
dai palloncini 
colorati alla fiera del quartiere 
e i monelli di Via del Sapone 
sono tutti presenti, tutti uniti 
tutti per uno nella tenerezza 
d’una canzone. 

Carlos Drummond de Andrade 

(Trad. di Renzo Mazzone) 

(da Mosaico de Manuel Bandeira. Poemas de Carlos Dmmmond de Andrade, a cura di l(jlio Castaiion Guimaràes, Ediçòes Alumbramento – Instituto Nacional do Livro, Rio de laneiro, 1986)

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pagg. 49




 POESIA E SOGNO 

La poesia nel sogno ti persegue 
e al risveglio ti segue come un servo. 
Carlos Drummond de Andrade 

(Trad. di Renzo Mazzone) 

(da Mosaico de Manuel Bandeira. Poemas de Carlos Dmmmond de Andrade,a cura di l(jlio Castaiion Guimaràes, Ediçòes Alumbramento – Instituto Nacional do Livro, Rio de laneiro, 1986)

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 49.




MONOTONIA

Monotonia 
della mia vita che m’ha spinto a dare 
sempre, per gioia o forza (o per viltà?) 
a chi un dono d’amore, a chi il perdono. 
Monotonia 
del canto degli uccelli all’albeggiare, 
del cicalare a sera nella siepe, 
della mensa allestita ad ore certe, 
d’un amore lasciato al rituale, 
del mio respiro senza alternative, 
del giorno che si spegne puntuale. 
Monotonia 
del firmamento superpopolato 
di fuochi fatui, 
vividi nella notte, che il mattino 
spegne … nella sua luce. 
Monotonia 
del ferro arroventato sull’incudine 
e il ritmo del martello, 
dell’ orologio al muro 
che sillaba le ore coi minuti, 
dell’ultime notizie dei giornali 
uguali, sempre uguali. 
Monotonia 
della pioggia incessante di parole 
sui deserti d’amore. 

Renzo Mazzone

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 48.




 Maria Viviana 

miniracconto di Caio Porfirio Carneiro 

Una fibbia ai capelli un po’ spettinati e un po’ brizzolati, veste d’un azzurro sbiadito, zoppicando da un piede, andava per gli stretti vialetti del cimitero cercando, con gli occhi socchiusi di miope, di leggere le lapidi delle tombe, erette a cappelle o infossate nel terreno. Si disorientava. Si vedeva perduta tra le croci, andava e riandava, cercando di leggere. 

Vide l’uomo che passava spingendo la carriola carica di mattoni. 

«Sa per caso dove sta Maria Viviana?» 
«Maria come?» 
« Viviana.» 
«Non sa il numero di sezione?» 
«Di che?» 
«La sezione.» 
«No.» 
«Vada in amministrazione. Là danno informazioni.» 
«Dov’è?» 
«Proprio all’ entrata.» 

Quasi si perdette per scovare il piccolo ufficio. Un uomo calvo esaminava il libro aperto sul bancone, annotava, non sentì bene quel che lei diceva. 

«Cosa cerca, buona donna?» 
«La croce di Maria Viviana.» 
«Maria come?» 
«Viviana.» 
«Qual è il nome completo?» 
«Non lo so.» 
«E non sa la sezione o il numero del viale e se ha lapide?» 
«Ha che cosa?» 
«Lapide. Il nome segnato, data di nascita e morte, queste cose … » 
«Non so … » 
«Così diventa difficile. Come ha detto che è il nome completo?» 
«È Maria Viviana.» 
«Nome carino. Ma deve avere un cognome. Non sa più niente di lei, data di morte?» 

Quella uscì disorientata, senza sapere come trovare Maria Viviana in quel mare di tombe e croci. 
L’uomo calvo si mosse e la chiamò «Torni qui. Vediamo un po’ …» 
Andò crescendo in lei una pena infinita per Maria Viviana in quel mare di croci. Risolse di andarsene in fretta, col suo zoppicare. 
L’uomo calvo la chiamò: «Ehi … venga qui. Ho trovato il nome. So dov’è … » 
Lei non gli fece caso. Attraversò il grande portone di fretta, zoppicando rasente 
all’alto muro del cimitero, come rifugiandosi in esso, una immensa angoscia nel cuore. 
Alla svolta, scomparve, dentro la veste azzurra sbiadita, con la fibbia che teneva i capelli un po’ spettinati, coi fili argentati. 

trad. di Renzo Mazzone

Caio Porfirio Carneiro

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 33.




 LUNA PIENA DEI VAMPIRI 

Sono il sole che nasce sopra i monti 
la nebbiolina delle cordigliere 
sono il vento che ripulisce i campi 
sono la luna piena dei vampiri 
ed io ti aggredirò 
con i miei morsi 
e tu saprai il nettare-veleno 
trascendentale 
che io racchiudo. 
E arderai di febbre 
e sarò io la febbre che ti uccide. 

Rosani Abou Adal 

(Trad. di Renzo Mazzone)

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag.54.




 IL PROFESSORE 

Disserta il professore 

su un difficile punto del programma, 

e un alunno dorme 

stanco delle stanchezze della vita. 

Lo scuote il professore? 

Lo va a rimproverare? 

Anzi, abbassa la voce 

temendo di svegliarlo. 

Carlos Drummond de Andrade 

(Trad. di Renzo Mazzone) 

(da Mosaico de Manuel Bandeira. Poemas de Carlos Dmmmond de Andrade, a cura di l(jlio Castaiion Guimaràes, Ediçòes Alumbramento – Instituto Nacional do Livro, Rio de laneiro, 1986)




 ELIO GIUNTA, La mia città. Poesie. Con opere pittoriche di Montevago, Spirali, Milano, 2006. 

 

Dovrebbe considerarsi un avvenimento il fatto che Elio Giunta si ripresenti con la poesia, il suo primo amore. In effetti, dopo un lungo esercizio di prosatore che ha fruttato opere di narrativa notevoli e saggi problematici di cultura e di costume, 

ora manda in libreria, nella elegante veste editoriale voluta da «Spirali», trentaquattro testi scanditi in cinque sezioni che non mancheranno di interessare gl’intenditori per la loro singolarità. 

Giunta non è autore di facile consumo e non intende esserlo neppure come poeta, anzi pare proprio che anche questa pubblicazione nasca dietro precisi intenti di proposta impegnata nella direzione di rinnovata fedeltà alla dignità letteraria e umana, quali i tempi oggi richiedono. Pertanto vanno lette e interpretate in tal senso le frecciate nei confronti della cultura che si pratica a Palermo e il distinguo sul fare poesia che oggi andrebbe di moda nei centri del potere culturale in Italia. Dunque un libro che conta anche come intervento critico di un intellettuale non avvezzo a perder tempo sulle carte per farsi bello. Se ne ha sentore se ci si sofferma sui rifacimenti di alcuni testi della lirica greca, scelti quasi con cattiveria. Deve dirsi che la poesia di Giunta attinge a momenti di vita che vengono fissati, interiorizzati e resi motivo di riflessioni universalizzanti. La sua è parola poetica che ci appartiene in quanto viene dal nostro vissuto, che si ripropone in occasioni magari estemporanee, ma che sempre forniscono ricreazioni di immagini e ripensamenti tipici di un’autentica coscienza critica. Si osservi, poi, come ciò che è colto dal reale o che viene dalla memoria si ripropone con versi armonicamente dicibili, anche a volte con recupero del parlare corrente, ma che non smentisce la presenza vigile di un esperto maestro di lingua e di buon gusto. 

La città di cui si parla è Palermo ed è questa che suscita le polemiche del poeta, perché è emblema di quella condizione disumanizzante che purtroppo oggi le città offrono. 

Renzo Mazzone 

A questo punto non ci sembra fuor di luogo richiamare, per il forte spirito di civismo cui è improntato, un poemetto inedito dello stesso autore, letto in un corso di letteratura sul tema «Dante poeta attuale e popolar(Università europea del tempo libero, Palermo). Elio Giunta così ripropone l’invettiva dantesca del canto IV (vv. 76-151) del Purgatorio»

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 62




 Grida la rosperìa 

 Grida la rosperìa 

la sua critica scettica: 

non c’è più poesia 

ma c’è l’arte poetica  

Manuel Bandeira, Os sapos, 1918 

(Trad. di Renzo Mazzone) 

(da Mosaico de Manuel Bandeira. Poemas de Carlos Dmmmond de Andrade, a cura di l(jlio Castaiion Guimaràes, Ediçòes Alumbramento – Instituto Nacional do Livro, Rio de laneiro, 1986)




 DOVE NON PASSA L’UOMO 


Per una po
esia malinconica di Ungaretti 
Dove non passa [‘uomo, la natura … 
ride, ride anche il sole … 
cantano in coro i Verdi … 
Essi non sanno 
che l’uomo non distrugge: 
sta aiutando 
madre-natura, 
il cui fine è la vita, 
e ne compensa 
il destino di morte generando 
altre vite (è sua legge), 
non l’individuo solo, ma la specie 
(la pianta o l’animale come l’uomo, 
tutti u-gu-a-li). 
I Verdi non lo sanno 
che io e i miei fratelli siamo riusciti ad arrivare a Dio 
creatore. 
Così 
non credo all’erba lieta del poeta 
dove non passa l’uomo ... 
Lì dove l’uomo non ha messo piede 
il sole 
ha riarso la terra e gli uragani 
l’hanno sommersa. 
Invece, il più caìno 
degli uomini non ha mai calpestato 
i prati, se ce n’è, dei cimiteri … 
Da sola, la natura sopravvive 
a stento 
o dà in escandescenze 
o si desola. 
Forse per questo fu creato l’uomo: 
è la mano dell’uomo che lavora 
ad arte e crea vita, come vuole 
Iddio. 

Vivian Emmer 

(Trad. di Renzo Mazzone)




Dopo la notte.

Albeggia. È intenso il luccichìo del sole. 
Respirare, vedere 
e nel rimescolìo dei sentimenti 
si risvegliano i dubbi tumultuosi. 
È forse questa l’ora cui si addice 
rimescolare il fondo delle notti 
bianche? 
La nostalgia, se intensa, è dolorosa 
sànguina ed ora 
che la mia età s’è fatta più matura, 
la sensibilità e i desideri 
dell’impossibile 
mi lasciano affogare con un nodo 
di lacrime. 
Forse mi sono immersa in acque fonde 
sin dalle prime luci? 
Rita de Cássia Fernandes Araújo* 

Rita De Càssia Fernandes Araùjo
(vers. it. di Renzo Mazzone) 
da Por detrá das gavetas (2008) 

Da “Spiragli”, anno XXII, n.1, 2010, pag. 52.