CON MACHADO DE ASSIS 

 

Sul tram per Cosme-Velho il ragazzino 

e lo stregone 

parlano di Cam6es 

e l’isola incantata degli Amori. 

La poesia è un lusso 

che si veste, con gusto, di rumori 

confusi. 

Carlos Drummond de Andrade 

(Trad. di Renzo Mazzone) 

(da Mosaico de Manuel Bandeira. Poemas de Carlos Dmmmond de Andrade, a cura di l(jlio Castaiion Guimaràes, Ediçòes Alumbramento – Instituto Nacional do Livro, Rio de laneiro, 1986)




ANTOLOGIA

 

Per fortuna c’è l’alcool nella vita, 

chi s’ubbriaca e chi va per la coca. 

Io 

bevo solo allegria … 

Dissimulata è la mia tenerezza 

dai miei denti sporgenti. 

lo ho tutti i motivi meno uno 

d’essere triste. 

E sono stanco di lirismo puro. 

E forse è bene perdere la testa 

per una donna brutta … 

Pura o macchiata d’infima bassezza 

voglio per me la stella del mattino. 

Sempre i corpi s’intendono 

non l’anime. 

Benedetta la morte ch’è la fine 

d’ogni miracolo! 

Carlos Drummond de Andrade 

(Trad. di Renzo Mazzone) 

(da Mosaico de Manuel Bandeira. Poemas de Carlos Dmmmond de Andrade, a cura di l(jlio Castaiion Guimaràes, Ediçòes Alumbramento – Instituto Nacional do Livro, Rio de laneiro, 1986)




Virginali

‘Na vela bianca rumpi l’urizzunti 
D’u mari sirenu, ntavulatu. 
A manu dhritta supra ri lu munti 
Fumiannu camina un niulatu 
Biancu e liggeru cumu chiddhra vela. 
Nuvuli e veli bianchi, virginali, 
Scuma ru çielu, macchi ri culuri, 
Nuvuli e veli, vui fati lu mali 
Chi fa ‘u biancu cu lu so’ canduri 
‘U mali ruçi ri la vita amara. 

Bianca una vela rompe l’orizzonte / Del mare calmo com’un tavolato. / E sulla destra sopra la montagna / Fumigando cammina un nuvolato / Bianco e leggero come quella vela. / Nuvole e vele bianche, verginali, / Schiuma del cielo, macchie di colore, / Nuvole e vele, voi fate quel male / Che fa il bianco con il suo candore, / Il male dolce della vita amara. 

Trad. Gaetano Cipolla, «Arba sicula», 1-2-1988, New York

Tore Mazzeo

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pag. 49.




 PUVIREDDHRA 

‘Nthra ‘i scaluna di la chiesa scuri 
R’un niuru mantu nesci ‘na tistuzza 
Sicca e scavata pi ‘u so’ duluri 
Ch’appara trimuliannu ‘na manuzza. 
L’occhi calati nterra sta fiura 
Viri sulu ‘i scarpi ri li genti 
Mentri o’ so’ pettu stringi ‘na cretura 
Chi di sucari mancu si la senti. 
‘I scarpi sunnu sempri nmovimentu 
Cangianu furma, cangianu culuri 
La manu è bianca com’un munumentu 
‘Ntra ‘i scaluna ri ddhra chiesa scuri. 

Fra gli scalini della chiesa oscuri / Da un manto nero esce una testina / Scavata e ossuta per il suo dolore / Che stende tremolante una manina. / Gli occhi fissi in terra la creatura / Vede solo le scarpe della gente / Mentre al petto stringe una creatura / Che di succhiare neanche se la sente. / Le scarpe sono sempre in movimento / Cambiano forma, cambiano colore, / La mano è bianca com’un monumento / Fra gli scalini della chiesa oscuri. 

Trad. di Salvatore Vecchio

Mazzeo Tore

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pag. 49.




‘U CORI È PICCIOTTU 

Ogni vota chi ti viu e chi ti vasu 
A tia ti pari chi sugnu maliziusu 
Ma a la me’ età pozz’essiri curiusu 
Di sèntiri ‘u to’ çiauru c’u nasu. 
T’aspiru, a mia m’abbasta: m’accuntentu, 
Perciò po’ stari çerta: nun c’è ‘ntentu, 
Sugnu vecchiu e ora cchiù nun sentu: 
Picchi arri vau l’ abbacchiatamentu. 
Ma ‘u cori, lu me’ cori nun s’arrenni 
E batti sempri forti a centu a centu: 
È sempri sempri chiddhru d’un vintenni. 
E nun m’affruntu no, sugnu cuntentu 
Di sèntiri lu çiauru di tannu 
Picchì è ‘na puisia; e chissa ‘a sentu! 

Ogni volta che ti vedo e bacio / Ti sembra che sia malizionso, / ma alla mia età poss’essere curioso / di sentire il tuo odor col mio naso. / Ti aspiro e a me basta: m’accontento, / Perciò, puoi esser certa, non c’è intento: / Perché arrivato è già l’abbacchiamento. / Però il mio cuore, il cuore non s’arrende / E batte sempre forte a cento a cento: / È sempre sempre quello d’un ventenne. / Non ho vergogna, anzi son contento / Di sentire lo stesso odor d’allora / Perché è poesia, ed io la sento! 

Trad. Salvatore Vecchio

Tore Mazzeo

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pag. 49.




 Reglamento del pasajero 

Hierba que crece en la meseta. 
Alimentada. 
Reiterando la caida de la semilla. 
Sed de vientos cálidos 
que rozan un rostro descolorido. 
Florecencia tardia en los pinares 
inunda la tierra el aire caliente 
y sobresale la vida. 
Arrimaos, venid, que os espero 
en la rama ardiente 
con los brazos en arco 
cual dosel de oro que a su rey atrapa. 
Oh mi señor que habéis recorrido 
los campos silvestres y ahora os 
queda un sabor salado: 
Tomad de mi lengua el agua encantada 
que fluye como de una fuente 
y a tu boca llama. 
Comunión de perfiles, 
se trenzan, se abrazan, 
mientras la hierba que crece 
se pega al tiempo que pasa.

Da “Spiragli”, anno II, n.3, 1990, pag. 42.




 Niebla 

Calma, calma 

la niebla avanza 

rueda la rueda del micro 

entre metales y ruídos. 

Sumergida en la niebla 

humedad que envuelve los contornos 

para. poseer la intriga. 

Cerradas las puertas a las cercanias 

enjambre de abejas 

atrapado, dolido, 

no siempre herido. 

La humedad agita los dolores 

suenan ecos, alaridos. 

Quiebra el pecho y no se doblega 

insiste la niebla en su encierro 

la ventana abierta a la espera 

niebla, claridad, niebla 

acariciando el relieve de grises y negros. 

Luces mortecinas 

cubriendo altos y bajos 

silencio, noche te 

esta esperando. 

Quiebra el pecho, un quejido 

de roces y goces dirigidos. 

Asalta la inquietud 

relaja, asume 

la niebla. 

Isabella Mazzei

Da “Spiragli”, anno II, n.3, 1990, pag. 43.




DOMENICO FIORE, Uomini contro, collana «Poesia! Oggi», Ila Palma, Palermo.

L’ultimo canto di Domenico Fiore, poeta agrigentino 

Partendo dalla prefazione di Enrica Di Giorgi e dal saggio introduttivo di Pietro Mazzamuto vorrei soffermarmi sul contesto filosofico della poesia di Domenico Fiore, poeta siciliano di notevole spessore, venuto meno nel 2004. Il suo verso è una dichiarazione di pensiero, carico dei dubbi dell’umana esistenza, ma fiducioso nella misericordia di un Dio dell’Oltre che spesso l’Autore cita quasi ad evocarne una fine alla quale si sente destinato precocemente. 

La ricerca morale che anima molti versi lo spinge alla conoscenza del suo animo aperto agli altri. disponibile al dialogo ed alla conoscenza, che cerca di approfondire in un discorso che diventa ricerca dell’humus umano, parola che si fa pensiero e pensiero che diventa costrutto, anche se spesso è celato dietro l’analogia di certe espressioni, di nude confessioni, che mutano il verso in pura vocalità, nell’esame della fragilità umana e nella compiutezza addensata (cioè carica di impulsi e di rifrazioni) delle vanità umane, delle passioni e della continua ricerca dell’Eterno. 

In molti versi traspare una vocazione all’ermetismo, come definito da Francesco Flora (nei confronti di Giuseppe Ungaretti): <<in fondo, un rifugio di difesa>>; ed è dalle ripetizioni di alcuni temi che si rivelano nati da una certa intemperanza nel voler ampliare a tutti i costi la notazione descrittiva ed analogica, che invece nella base dello scritto sorge spontanea. 

È questa una caratteristica di Fiore e non si può disconoscere che merita una particolare attenzione di originalità. Forse il poeta vuole lasciare al lettore il compito di trarre dalla parola tutto ciò che va oltre, fuori dalla realtà contingente e umana, quasi un neoimpressionista della realtà, che produce però fascinanti giunture che legano il verso con una musicalità accennata, ma viva verso un profondo sentimento politico religioso. 

Peccato che questo filosofo del verso ci abbia lasciato così presto. Lo ricordiamo con rinnovata stima, anche per le sue sillogi poetiche Un’ora dopo l’altra (Ila Palma), 1967) e Sosia e uomini verosimili (Ags, 1995). 

Giovanni Matta

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pagg. 64-65.




 MEDEA 

Un regno nella notte ed un naviglio, 
dove termina il viaggio e ricomincia. 
Sacerdotessa della discendenza 
del Sole, principessa 
di grazia e seduzione preceduta . 
da complice passione e leggendari 
tesori. 
Dove comincia il viaggio, lì finisce. 
Ed era bello il volto sotto il sole, 
sotto la luna, 
lume ed orientamento del naviglio. 
Tempeste, tradimenti 
ed esilio di affetti. 
Cori di voci dalla clausura 
ripercuotono odio sui tamburi. 
Veste il castigo magici mantelli 
ed impone silenzio ai più piccini 
(s’ode un singhiozzo). 
Malinconica madre sopra il carro 
alato 
del sole ed il perdono? 

Laire Dutra Serra Matos

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 44.




Tra impegno e sentimento 

 Antonino Contiliano, Gli albedi del sole (Pref. di V. Titone), Ila-Palma, Palermo 

– Sao Paulo, 1988, pagg. 125. 

Antonino Contiliano, professore di pedagogia e filosofo, con Gli albedi del sole, alla terza raccolta di poesie, entra nel clou della sua produzione distanziandosi dalle poetiche ricorrenti e immergendosi in un mondo nuovo, attuale, proiettato in un cosmo scientifico di pulsar di galassie, di sinkers che tra le stesse galassie viaggiano e si intersecano, partendo sempre, però, dal reale, dai sentimenti, dagli ambiti familiari, anche. 

E a un lettore superficiale potrebbero sembrare non pertinenti alle tematiche di questo libro (per chi scrive, Gli albedi del sole tende a sviluppare delle tematiche) i voli pindarici e ricchi di pathos di un poeta che rifugge dai luoghi comuni, che tende ad andare controcorrente, che rifugge pure dall’accademismo per servirsi della parola come contrappunto ad una situazione esistenziale che talvolta sembra voler sfuggire di mano ma che, a ben indagare, si dimostra del tutto spontanea, non costruita, anche se il linguaggio, come dicevamo prima, è spesso nuovo di zecca. 

Ma gli amori, i disamori, le passioni, le paure, la rabbia contro questo nostro pazzo mondo sono sempre gli stessi, e il sociale e il politico predominano nel contesto dei temi trattati. 

Vi sono in queste pagine delusioni e speranze, maledizioni e benedizioni, tutto quanto si agita nell’anima generosa del Poeta che, pur vivendo la sua vita di lavoro e di affetti familiari, è maledettamente coinvolto negli ingranaggi del vivere giornaliero, che spesso ci riserva atroci delusioni, lacerazioni che l’amore non riesce a suturare. 

Se Contiliano colloquia con il figlio Michele, vita della sua vita, non può estranearsi dalle miserie incombenti; se parla con gli amici è sempre un martellare 

di ricordi non lieti, di giorni consumati in attesa di «un’estate che tarda a venire», di avvenimenti drammatici che hanno bagnato e bagnano spesso di sangue innocente la nostra terra, di amarezze per la perdita di amici cari. Chi di noi non ha sofferto per la morte immatura dell’amico poeta Rolando Certa? E Contiliano a Rolando dedica una delle più belle liriche del libro: «Amico mio non aspettarti robìnia di singhiozzi / anche se in gola ricaccio pugni nodi di tenerezza/… io e mio figlio abbiamo deciso di catturare il sole/dove tu ora navighi viaggiatore della speranza Sud» (pag. 37). 

E come prendendo l’abbrivo dalla parola Sud, il Poeta si lancia in alcune righe apparentemente oleografiche che sono tanto delicate da farci venire la voglia di riportarle. Dice Contiliano: «…qui al Sud nelle notti ballate d’estate/non si sta sotto i pergolati racconti di terra/sull’argento lunare uliveti ascolto di grilli». E ancora: «Perché qui al Sud non distendere la giovinezza / posarla nuda sui bagliori adorarla di baci…» (pag. 42). 

E poi, come un controcanto dolente: «Scannate/sul mixage di trasversali confessioni/desaparecidos lupara bianca / le zagare d’inverno (s)memoriano/ questa gente lavata al sole dell’isola» (pag. 44). E le parole pietre, anzi pugnali in ‘Per l’agguato di Trapani’, quell’agguato per il quale tutti sono inorriditi per le vie distrutte di una madre e di due bimbi innocenti. Dice Contiliano: «Non conosco né perdono né pianto né sonno / sui tessuti sgranati dal sangue mafioso a congegno / sparsi lì a disegnare le geometrie del terrore / e i percorsi-agguato sulla strada della gente» (pag. 47). E a mano a mano si snodano le accuse contro le tra- sgressioni, contro l’apartheid («dagli steccati la negritudine apartheid/ scandaglia il fondo dell’isola black-out»), contro la guerra, contro i missili nella consapevolezza del day-after è «giorno senza costellazione», «notte senza concerto») al quale nessuno può sfuggire, e per il quale è vano il dire e il fare, lo scrivere dell’«uomo di tempo», «fiancheggiatore o terrorista o inquieta coscienza», capace solo di «…prove d’artista sempre / col fucile e la parola che ne denuda le pieghe…» (pag. 66). 

E con quanto detto siamo entrati nel clou di questa poesia quasi farneticante, scritta per impulsi psicologici elevati a potenza e che, a causa della forte tensione emotiva, stenta a rientrare nei limiti della comprensione per i non addetti ai lavori. 

Chi scrive crede di aver capito quanto si agita nel conscio e nell’inconscio del poeta Contiliano, delle sue profonde emozioni di fronte a realtà e anche a fantasie legate alla stessa realtà per evasioni non progettualizzate ma sulle quali ha inciso la forza motrice del cuore e dell’intelletto. 

Tuttavia, se ci avviciniamo alla seconda parte del libro (da pagina 79 in poi, diciamo) ci sembra che il discorso si faccia più sereno, si nutra di affetti familiari (Mariangela, Micol, Michele in primo piano) rientri nell’alveo delle emozioni private. 

Bella, proprio bella la lirica Per una solitudine, nella quale le parole non sono più pietre ma suoni di violini, vibrare di farfalle: e giù, giù, fino alle pagine seguenti che ci pare segnino un’altra fase della vita del Poeta, una fase più serena, più permeata di sentimenti teneri nei quali sempre più di rado tornano parole come Comiso e Cernobyl. Le parole ora s’incentrano negli amori terreni: «la tua voce volo di rondine / notturna il ritorno della primavera / … / Gelsomini seguono ad agosto / quando mani di vento a sera / cullano la sete di scirocco…» (pag. 106). E la chiave di tutto ci sembra averla trovata ne Il viaggio dell’istante. quando una strofa recita così: 

«L’altro ieri violenza di anni troppo inquieti 
raccogliemmo sospetti l’accoglienza degli opposti 
e la testa fra le mani piegata dall’assurdo 
sullo schermo vedemmo una giostra echi luminosi» (pag. 114). 
Sofferenze vissute che oggi si ricompongono dentro il pianeta-uomo Contiliano 
in questa sua recente raccolta di poesie Gli albedi del sole. 

Irene Marusso 

Da “Spiragli”, anno I, n.3, 1989, pagg. 59-61.