Antonino Contiliano, Gli albedi del sole (Pref. di V. Titone), Ila-Palma, Palermo
– Sao Paulo, 1988, pagg. 125.
Antonino Contiliano, professore di pedagogia e filosofo, con Gli albedi del sole, alla terza raccolta di poesie, entra nel clou della sua produzione distanziandosi dalle poetiche ricorrenti e immergendosi in un mondo nuovo, attuale, proiettato in un cosmo scientifico di pulsar di galassie, di sinkers che tra le stesse galassie viaggiano e si intersecano, partendo sempre, però, dal reale, dai sentimenti, dagli ambiti familiari, anche.
E a un lettore superficiale potrebbero sembrare non pertinenti alle tematiche di questo libro (per chi scrive, Gli albedi del sole tende a sviluppare delle tematiche) i voli pindarici e ricchi di pathos di un poeta che rifugge dai luoghi comuni, che tende ad andare controcorrente, che rifugge pure dall’accademismo per servirsi della parola come contrappunto ad una situazione esistenziale che talvolta sembra voler sfuggire di mano ma che, a ben indagare, si dimostra del tutto spontanea, non costruita, anche se il linguaggio, come dicevamo prima, è spesso nuovo di zecca.
Ma gli amori, i disamori, le passioni, le paure, la rabbia contro questo nostro pazzo mondo sono sempre gli stessi, e il sociale e il politico predominano nel contesto dei temi trattati.
Vi sono in queste pagine delusioni e speranze, maledizioni e benedizioni, tutto quanto si agita nell’anima generosa del Poeta che, pur vivendo la sua vita di lavoro e di affetti familiari, è maledettamente coinvolto negli ingranaggi del vivere giornaliero, che spesso ci riserva atroci delusioni, lacerazioni che l’amore non riesce a suturare.
Se Contiliano colloquia con il figlio Michele, vita della sua vita, non può estranearsi dalle miserie incombenti; se parla con gli amici è sempre un martellare
di ricordi non lieti, di giorni consumati in attesa di «un’estate che tarda a venire», di avvenimenti drammatici che hanno bagnato e bagnano spesso di sangue innocente la nostra terra, di amarezze per la perdita di amici cari. Chi di noi non ha sofferto per la morte immatura dell’amico poeta Rolando Certa? E Contiliano a Rolando dedica una delle più belle liriche del libro: «Amico mio non aspettarti robìnia di singhiozzi / anche se in gola ricaccio pugni nodi di tenerezza/… io e mio figlio abbiamo deciso di catturare il sole/dove tu ora navighi viaggiatore della speranza Sud» (pag. 37).
E come prendendo l’abbrivo dalla parola Sud, il Poeta si lancia in alcune righe apparentemente oleografiche che sono tanto delicate da farci venire la voglia di riportarle. Dice Contiliano: «…qui al Sud nelle notti ballate d’estate/non si sta sotto i pergolati racconti di terra/sull’argento lunare uliveti ascolto di grilli». E ancora: «Perché qui al Sud non distendere la giovinezza / posarla nuda sui bagliori adorarla di baci…» (pag. 42).
E poi, come un controcanto dolente: «Scannate/sul mixage di trasversali confessioni/desaparecidos lupara bianca / le zagare d’inverno (s)memoriano/ questa gente lavata al sole dell’isola» (pag. 44). E le parole pietre, anzi pugnali in ‘Per l’agguato di Trapani’, quell’agguato per il quale tutti sono inorriditi per le vie distrutte di una madre e di due bimbi innocenti. Dice Contiliano: «Non conosco né perdono né pianto né sonno / sui tessuti sgranati dal sangue mafioso a congegno / sparsi lì a disegnare le geometrie del terrore / e i percorsi-agguato sulla strada della gente» (pag. 47). E a mano a mano si snodano le accuse contro le tra- sgressioni, contro l’apartheid («dagli steccati la negritudine apartheid/ scandaglia il fondo dell’isola black-out»), contro la guerra, contro i missili nella consapevolezza del day-after è «giorno senza costellazione», «notte senza concerto») al quale nessuno può sfuggire, e per il quale è vano il dire e il fare, lo scrivere dell’«uomo di tempo», «fiancheggiatore o terrorista o inquieta coscienza», capace solo di «…prove d’artista sempre / col fucile e la parola che ne denuda le pieghe…» (pag. 66).
E con quanto detto siamo entrati nel clou di questa poesia quasi farneticante, scritta per impulsi psicologici elevati a potenza e che, a causa della forte tensione emotiva, stenta a rientrare nei limiti della comprensione per i non addetti ai lavori.
Chi scrive crede di aver capito quanto si agita nel conscio e nell’inconscio del poeta Contiliano, delle sue profonde emozioni di fronte a realtà e anche a fantasie legate alla stessa realtà per evasioni non progettualizzate ma sulle quali ha inciso la forza motrice del cuore e dell’intelletto.
Tuttavia, se ci avviciniamo alla seconda parte del libro (da pagina 79 in poi, diciamo) ci sembra che il discorso si faccia più sereno, si nutra di affetti familiari (Mariangela, Micol, Michele in primo piano) rientri nell’alveo delle emozioni private.
Bella, proprio bella la lirica Per una solitudine, nella quale le parole non sono più pietre ma suoni di violini, vibrare di farfalle: e giù, giù, fino alle pagine seguenti che ci pare segnino un’altra fase della vita del Poeta, una fase più serena, più permeata di sentimenti teneri nei quali sempre più di rado tornano parole come Comiso e Cernobyl. Le parole ora s’incentrano negli amori terreni: «la tua voce volo di rondine / notturna il ritorno della primavera / … / Gelsomini seguono ad agosto / quando mani di vento a sera / cullano la sete di scirocco…» (pag. 106). E la chiave di tutto ci sembra averla trovata ne Il viaggio dell’istante. quando una strofa recita così:
«L’altro ieri violenza di anni troppo inquieti
raccogliemmo sospetti l’accoglienza degli opposti
e la testa fra le mani piegata dall’assurdo
sullo schermo vedemmo una giostra echi luminosi» (pag. 114).
Sofferenze vissute che oggi si ricompongono dentro il pianeta-uomo Contiliano
in questa sua recente raccolta di poesie Gli albedi del sole.
Irene Marusso
Da “Spiragli”, anno I, n.3, 1989, pagg. 59-61.