Giovanni Altamore, HYBRIS E FOLLIA NELLA STORIA DELL’OCCIDENTE, Caltanissetta, Terzo Millennio, 2004, pagg. 208.
È stato pubblicato, per i tipi di Terzo Millennio Editore, un saggio di Giovanni Altimore dal titolo: Hybris e follia nella storia dell’Occidente, con presentazione di Piero Barcellona, pensato e iniziato nel settembre del 2001, quando quel tragico giorno Il furono attaccate e distrutte le Torri gemelle di New York. Ma l’analisi che viene fatta prescinde dagli eventi che dal quel giorno si susseguono, anzi ne costituiscono la netta conferma, come lo stesso autore avverte nella postfazione.
Già dall’ Introduzione, l’Autore parte da un dato di fatto: a prescindere se l’Occidente è, o ancora non, al suo tramonto, è finito il tempo di imporre e di imporsi. Se non si vuole il peggio, è tempo di cooperare e di ristabilire un equilibrio mondiale capace di garantire democrazia, libertà ed uguaglianza tra tutti i popoli, senza alcuna discriminazione tra quelli ricchi e i poveri, tra il Nord e il Sud del mondo, al momento, costretto a subire ingerenze e angherìe. La globalizzazione del mercato ha acuito ancor più il divario esistente, e più forte è l’esigenza di una giustizia distributiva che dia agli uomini pari dignità. Questo facilita « l’affermarsi di uno spirito comunitario di appartenenza … che, in alcuni paesi, sta alimentando tendenze fondamentaliste, foriere di violenze e di guerre» .
Per evitare il peggio, occorre bloccare queste tendenze, dare un corso nuovo alla storia che non sia quello della violenza e della tracotanza, della superbia del più forte, il quale prepotentemente s’impone; cioè, dire fine alla storia che caratterizzò fin dalla sua nascita l’Occidente. È quello che l’Autore fa emergere dalla rivisitazione della filosofia e della storia dell’ antica Grecia.
La I parte del libro evidenzia l’affermarsi della ci viltà orientale, in contrapposizione a quella orientale, e l’emergere di un nuovo modo di concepire lo Stato, ormai non più rapporto armonico di cittadini liberi, ma come potenza che s’impone, spesso per l’interesse dei pochi, sugli altri. È sempre qui il pericolo, e lo previde Eschilo, ma non sarà ascoltato, perché «è legge di natura che “i più forti esercitano il potere e i più deboli si devono adattare” e che “chi può ricorrere alla violenza, non ha bisogno di ricorrere alla giustizia”» .
La realtà è che il più forte detta leggi, e questa è giustizia, nel cui nome opera e s’ impone, e pretende di essere seguito, perché, qualunque sia, il detentore del potere ha bisogno di consenso. Lo dimostra l’attuale situazione internazionale. Bush, benché abbia un potente apparato militare, cerca alleati, ma non tanto per essere aiutato nelle sue azioni di guerra, quanto per essere sostenuto e avere quanto più consenso per potere con più tracotanza estendere il suo impero. Anche nel nome della democrazia e della libertà. E in nome di Dio, aggiungiamo, parafrasando M. Cacciari, laddove scrive – il riferimento è all’America – che «Unico Dio è quello che in essa abita e che essa ha scelto per la propria autentica rivelazione» .
Giustizia, equità, libertà, democrazia, sono le categorie che vengono argomentate nella II e III parte del libro, e vengono meglio a completare, anzi a sviluppare, il discorso iniziale. Grazie ad uno stile abbastanza chiaro e lineare, la lettura risulta avvincente, oltre che interessante, anche per chi non ha mai studiato filosofia. E questo è un pregio che persino i lettori più sprovveduti devono riconoscere. Ciò perché Giovanni Altamore segue con molto interesse ed attenzione le umane vicende e le partecipa con la sua stessa intensità di sentire agli altri.
In tutto questo argomentare si coglie, comunque, una delusione che non è solo dell’autore, ma di quanti seguono con attenzione i fatti attuali. L’uomo, che nel corso dei secoli si è adoperato per coronare il sogno di uguaglianza, di democrazia e di libertà, con l’avvento della modernità tecnologica e globalizzante vede sminuite le sue conquiste, passando da uomo-cittadino ad uomo-massa; cioè, se nel tempo era riuscito ad esprimere se stesso come individuo, adesso sono i pochi detentori di potere ad esprimersi per lui. In sostanza, l’uomo-individuo serve nel momento di dare il consenso, poi basta; sono gli altri ad ergersi al di sopra delle leggi e ad esprimere la loro volontà. Ne deriva che qualsiasi categoria sopraccitata viene spogliata del suo significato originario (il diritto, ad esempio, o la giustizia, o la stessa costituzione), e l’uomo viene ad usufruire di una pseudo-libertà, continuamente in contrasto, ogniqualvolta cerca di ripristinare la sua dignità.
Altamore termina il suo saggio con una espressione di M. Cacciari: «Non sappiamo dove andare, dove il Dio comanda di porre le nuove sedi. Ma il contraccolpo alla storia europea è stato dato» . Ma Dio ha lasciato l’uomo libero, e se il suo scopo è perseguire il bene, non gli resta che riprendersi il consenso dato e utilizzarlo per ricostruire un mondo a sua misura, in cui possa veramente manifestare il suo essere ed espletarlo nel migliore dei modi. Sarebbe ancor più deludente piangere la caduta, se non ci fosse la volontà di rialzarsi e di rifarsi una vita degna di essere vissuta.
Salvo Marotta