La fiamma non fu uguale a un ‘altra fiamma,
dicono, mai dall’aurora dei tempi
di Anna Manna
Mi vengono in mente i versi di Maria Luisa Spaziani, mentre aspetto nella hall di un albergo romano, vicino al circo Massimo, d’intervistare Micha, mito vivente della coreografia. L’aria è quella dei grandi incontri. Roma avvolta dalla sua bellezza. Come una signora, appena alzata, si scalda al sole della sua stessa bellezza, si rimira allo specchio, fa le fusa, prima di cominciare a danzare la danza della vita. C’è movimento attorno a me, ne avverto la leggiadria. Ma è un movimento discreto, come un ghirigoro nell’ aria. Quasi il volo impercettibile di una farfalla. Alzo gli occhi: forse ho avvertito il volo di una farfalla. Invece è una donna. E sono i suoi occhi che danzano nell’aria romana piena di primaverili promesse. È Carmela Piccione, specialista di teatro e di danza, biografa di Micha. Insieme a lui ha creato un libro che è un excursus nel mondo della danza, attraverso i ricordi di Micha. Una magnifica opera insieme che non riuscirei a definire bene, che hanno chiamata intervista, ma è molto di più.
È uno scrigno prezioso, uno sguardo a ritroso nel mondo del movimento, forse anche un discreto e sotterraneo tratto di filosofia della danza. Di fatto il libro è un movimento vivente che ti prende mentre lo sfogli, mentre lo gusti.
A Roma, in una giornata di avvento di primavera, un libro così si mescola con il risveglio della natura. E cominci a vedere i fiori, gli insetti, le nubi vaporose di aprile che occhieggiano, che promettono la danza della vita. Mi ricorderò di questo incontro di primavera con due artisti così diversi e così in sintonia. Micha, il grande Micha, che ancora non ho conosciuto ma che già ammiro attraverso la fama ed il libro che continuo a sfogliare. E Carmela, che di Micha ha saputo raccontare l’anima.
Carmela è giornalista per eccellenza, ma in lei l’arte della scrittura è miscela di squisita femminilità e di forte tempra. Quando Micha compare, Carmela si fa da parte e diventa uno specchio. Un grande specchio dove il maestro può rispecchiarsi e trovare la sua dimensione fatta di musica, movimento, inventiva, fantasia. Micha è un artista vero, generoso, si spende per donare agli altri. La gioia dell’arte. Un presupposto questo che nel suo cuore è stabile, ferreo. Capisci che dietro la leggiadra persona che vivifica il mondo della danza si nasconde una ferrea disciplina di esercizi, di dedizione alla danza.
«Quando si raggiunge il sublime nell’arte?» gli domando ammirata. E per sublime non intendo successo, ma molto di più.
Risposta: «Il sublime? Che senso vogliamo dare a questa parola? Se vuol dire il massimo della perfezione, allora il sublime si raggiunge soltanto in un ripiegamento su se stesso, in un approccio narcisistico in qualunque forma d’arte. Ma per me il sublime vero si raggiunge nell’incontro con l’altro. Quando anche l’altro diventa, per esempio, danza, quando il movimento che ho dipinto nell’aria lo coinvolge e gli trasmette il messaggio di quella danza. Ecco, per me questo è il momento sublime.»
Avevo intuito questa generosità della sua arte che supera e prescinde il momento della celebrazione per aprirsi agli altri in un abbraccio artistico, appunto sublime. Nei suoi spettacoli lo spettatore resta ammaliato, è come se riuscisse a dialogare con il grande coreografo. Intanto, in questi primi approcci dell’intervista, Carmela ci guarda, capisce che siamo entrati in contatto e silenziosamente si fa da parte, anche se i suoi grandi occhi neri continuano a danzare con noi. S’intrecciano ai nostri sguardi e cercano la domanda giusta, il momento della verità in questo incontro romano.
«Io sono un poeta,» gli dico, «le mie domande sono un po’ diverse da quelle delle interviste che normalmente ti hanno fatto.»
E Micha si avvicina col cuore, avverto che è compiaciuto di un’ intervista diversa. Le domande sulla sua vita, sulla sua arte, hanno già la risposta nel libro. «Un libro che ormai ci precede, arriva prima lui nei posti dove vado a danzare e poi noi. È diventato come un personaggio a parte, ha una vita staccata dalla nostra.» È sorpresa anche Carmela della vitalità della sua opera di paziente ricercatore delle verità di Micha. Ma Micha è movimento anche quando tace.
Gli chiedo all’improvviso: «Le espressioni del viso sono una danza?»
Risposta: «Nell’espressione del viso c’è lo sguardo che dona la dimensione della profondità. In funzione degli stati d’animo. Il viso fa parte dell’essere danzante. È la promessa, lo spartito musicale. Il corpo è una cassa di risonanza di questa melodia interiore. La musica vera è quella che entra dentro, quella capace di modificare lo stato d’animo, accenderlo di più. La vera musica crea movimento dentro di me e poi io lo porto fuori col mio corpo. Lo racconto agli altri con la mia danza. La vera cultura è andare verso l’altro. Anzi è proprio questo il senso della cultura. Ecco perché il nostro viso, il nostro sguardo, è un mezzo incredibile di comunicazione culturale. Il nostro corpo è una cassa di risonanza, culturale, psichica, è il pensiero, lo stato d’animo che diventa carne, gesto, vita nella realtà. Penso al grande Kazuo Ohno, ormai immobilizzato su una sedia a rotelle. Ho visto recentemente un suo video; il grande artista giapponese muoveva solo una mano. Eppure quanta intensità in quel semplice gesto. Assoluto, essenziale.»
Domanda: «Come si fa ad educare veramente all’arte, a questa forma di comunicazione così vibrante?»
Risposta: «lo non saprei come si possa fare rispetto a tutte le arti. Ma sono sicuro che si deve fare. Soprattutto per amore verso i giovani, verso un paese così ricco di tradizioni come l’Italia, è necessario rimboccarsi le maniche e lavorare sodo per riuscire ad educare la gioventù all’arte ed al rispetto per l’arte. Non possiamo lasciare i giovani in pasto ai falsi messaggi, ad una sottocultura che ci attanaglia, che ci distrugge dentro. La cultura dona solidità, l’amore è dedizione e rispetto. Verso la forma d’arte che sentiamo più vicina a noi! Questo deve essere il terreno in cui deve muoversi la gioventù. La danza della vita non può essere miseramente simile a pochi scialbi passi senza ascoltare le parole dell’ anima. La cultura deve darci respiro, deve renderci capaci di volare in un mondo di idee e di emozioni che raccontano i nostri progetti, le speranze. La comunicazione artistica vera può nascere soltanto in un terreno di rispetto e lavoro serio e consapevole. Non si può pretendere di chiamare arte lo scimmiottare questa o quella moda artistica, l’arte deve entrarti dentro, deve scoprire le parte migliore di te e portarla in superficie, deve riuscire a farti comunicare il meglio della tua anima. Non per te stesso, per una forma di autocelebrazione, ma per rendere un servizio agli altri, per educarli appunto.»
«Ma non siamo tutti uguali. E di nuovo mi vengono in mente i versi di Maria Luisa Spaziani: E anche questo mare che ora senti / ruggire e sospirare, ha sempre suoni / diversi e altri fregi di correnti. Questa diversità, come può unirci, cosa può significare raccontarci gli uni agli altri?»
Risposta: «È il fuoco dell’arte, questo vivificarci ogni giorno a nuovi messaggi, a nuove emozioni, ci rende vivi, rinnovati, nuovi sempre. Chiusi, ripiegati su di noi, anche nei nostri momenti migliori, anche nei risultati migliori… ebbene questa solitudine ci rende sterili. La comunicazione artistica scrive il futuro, la relazione artistica tra le persone apre spiragli insperati, rinnova la speranza e grida la volontà di esistere di nuovo. Io danzando scrivo nell’aria la vita, lo scrittore danza sui fogli le sue emozioni, il musicista fa danzare le note. Vede la relazione, il miscellarsi delle forme artistiche crea continuamente un lungo interminabile dialogo. Il dialogo per eccellenza, quello che muove l’umanità verso il continuo miglioramento. Non assaporare l’arte e l’espressione artistica ci allontana da noi stessi e dal futuro dell’uomo. L’importante è sentire ruggire questo mare, sentire i sospiri dell’ anima e comunicarci queste emozioni, questi ruggiti, questi sospiri. Per comprenderci, per accettarci, per migliorarci. Per amarci e per amare la vita.»
«Lei quanto ama la danza?»
Risposta: «Quanto amo me stesso, quanto amo il mondo ed il mio peregrinare nel mondo. In fondo ognuno di noi nella nostra esistenza è un pellegrino, in viaggio verso la conoscenza,
da “Spiragli”, 2009, Argomenti
l’assoluto, certezze che a volte non arrivano, ci sfuggono. E il nostro peregrinare esterno a volte riproduce e manifesta il nostro viaggio interiore. Sono un uomo profondamente religioso nel senso vasto del termine. Cerco il sacro che è in ogni essere umano. Ed in ogni manifestazione dell’umano. Il senso del sacro, del mistero, quella scintilla impercettibile che si accende in ognuno di noi in momenti inaspettati: ecco forse sono da sempre alla ricerca dell’anima.»
«Micha, cos’è l’amore?»
Risposta: «A volte, nella mia vita sempre in movimento, mi fermo e mi sorprendo a guardare, anzi a contemplare mia moglie. Ecco questo momento di contemplazione, questo incantamento che si ripete, penso sia l’amore. Certo poi l’amore si manifesta in gesti, azioni, dedizione all’altro. Ma il momento più alto è questo attimo di contemplazione che è così forte da fermare anche un danzatore come me; anche Micha si ferma davanti alla contemplazione dell’amore. Questa è l’emozione per eccellenza! E somiglia alle emozioni della giovinezza … Sempre l’amore somiglia alla giovinezza. Bisogna custodire gli entusiasmi, le provocazioni della giovinezza, sono un bene prezioso. Lo scrigno che ci portiamo dietro nel mondo, dove custodire i momenti migliori.»
«Cos’è la creazione artistica?»
«La creazione non è un lavoro contemplativo, ma una ricerca complessa e dolorosa. Non bisogna essere superficiali, ogni piccolo passo nell’aria attinge ad un grande bagaglio di esperienza e di lavoro dentro di noi. Siamo il risultato di tanti incontri, di tanti problemi superati, di tante esperienze. Ecco nella creazione di un artista c’è tutto questo. È un cavallo bizzarro da domare. La creazione non è un momento di arrivo ma un continuo lavorio dentro e fuori di noi.»
«Micha, se lei dovesse descriversi, cosa direbbe di se stesso?»
Risposta: «Non possiedo nulla, non ho conti in banca, palazzi o Ferrari fiammeggianti. Il teatro è la mia casa. Il mio unico lusso? Lo stretto indispensabile, il denaro necessario … Ma quanti legami forti con le persone, con le donne! Sono ricco di contatti umani. Sono la mia ricchezza. Se dovessi descrivermi, mi dipingerei in un giro di danza libero nell’aria per raccontare la vita!»
Anna Manna
NOTA:
Alcune risposte di Micha sono arricchite da affermazioni dell’ artista riportate nel libro di Carmela Piccione. I versi citati sono tratti dalla poesia Parapsicologia di Maria Luisa Spaziani. (Poesie, Oscar Mondadori, Milano, 1996).
Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pagg. 39-42.