Quando si tenta di ricostruire il profilo culturale della Sicilia negli ultimi 150 anni, i nomi che invariabilmente ricorrono sono, di solito, quelli della tradizione letteraria.
Si fa, cioè, riferimento a quegli autori, talvolta sommi, che, dai Veristi a Sciascia, hanno imposto alla cultura italiana una considerazione della peculiarità isolana e questa realtà, spesso dolorosa e tragica, hanno rappresentato in modo tale da farla acquisire come patrimonio della nazione e come emblematica di una condizione umana più generale.
Talvolta, allargando il discorso, si fa riferimento a qualche economista, a qualche pensatore politico, ai grandi storici e alle loro scuole, alla folta schiera dei politici che si assunsero il compito di inserire la Sicilia nella comunità nazionale e che mediarono, attraverso la politica, la partecipazione, nello stato unitario, della cultura, dell’economia e della vita civile dell’isola.
Da questo panorama è solitamente assente la Scienza, e questo fatto pare indicativo della parzialità dello sviluppo della cultura siciliana e finisce per suggerirne la subalternità rispetto ad altri apporti.
La grande scienza in Sicilia, il nuovo libro di Adelfia Elio Cardinale (Idelson – Gnocchi Editore, Napoli, pp. XXIV – 161, Euro 22,00) consente di avere le idee più chiare sull’argomento.
Il libro ha una struttura molto semplice, e consta di una raccolta di 26 biografie di uomini di Scienza siciliani o che in Sicilia hanno operato, qui realizzando alcune delle loro scoperte.
Ma la semplicità è solo apparente. Infatti le narrazioni biografiche sono mediate dalla Presentazione di Antonino Zichichi, e dalla Prefazione dello stesso autore, le quali danno indicazioni esplicite sulla tipologia dell’operazione culturale che risulta condotta sapientemente e con molteplici finalità cosicché il libro si presta ad una serie di considerazioni ed è suscettibile di diversi livelli di lettura.
Innanzitutto si tratta di una ricerca condotta dall’interno perché Adelfio E. Cardinale è egli stesso uomo di scienza, ed ai massimi livelli. Da anni ai vertici del mondo accademico, dal ’91 al ’94 Pro-Rettore dell’Università di Palermo, è attualmente Preside della facoltà di Medicina, è stato Presidente della SIRM (Società Italiana di Radiologia Medica), è autore di numerosi e poderosi volumi sulla diagnostica per immagini utilizzati in diverse Università come testi di studio.
Ma Cardinale è anche, e con convinzione, un divulgatore scientifico perché la Scienza rimane altera e isolata, mentre la divulgazione scientifica consente una riconciliazione con la società dando la possibilità ai non specializzati di comprendere il significato ed il valore della cultura scientifica, superando le difficoltà linguistiche nel rispetto del cammino e del progresso intellettuale compiuto nei secoli dal genere umano.
In più egli è convinto assertore dell’ufficio civile assolto dall’insegnamento scientifico: educazione alla scienza e società sono sinonimi strettamente connessi, ed esempi di impegno civile trova in ognuno degli scienziati di cui traccia la biografia. Cosicché delineando il profilo di quelle personalità che fecero uscire la scienza della Sicilia dall’isolamento intellettuale, contribuendo a produrre cultura e diffonderla operosamente e con profitto nella società, egli erige una sorta di Pantheon scientifico che nasce come atto di devozione e doveroso omaggio a personalità alte e complesse, che spesso difesero i punti cardinali della civiltà occidentale: storia, libertà, democrazia e scienza e si pone sulla loro stessa linea di continuità.
Anche la scelta del taglio biografico non è casuale ma deriva dalla consapevolezza della difficoltà di una ricostruzione organica di un contesto e di un processo storico: missione quasi disperata, perché di qualunque avvenimento si tenti di fare una ricostruzione, non si riuscirà mai a fornirne una definitiva. Perciò egli ripiega sulla storia attraverso i personaggi ove l’elemento umano entra anch’esso nella costruzione della storia della scienza, come piccola fiamma che chiarisce e conferma i grandi percorsi dottrinali.
E ricordando con Schlegel che il futuro appartiene ad una comunità nella misura in cui essa possiede il proprio passato, Cardinale imprende a narrare de La grande scienza in Sicilia.
Appare subito evidente come la Sicilia, nel secondo ‘800 non fosse estranea al progresso scientifico al quale contribuì con grandi personalità e con apporti originali talvolta derivati dalla peculiarità della situazione storica e dell’ambiente.
Il Palermitano Stanislao Cannizzaro, ad esempio, fece le sue prime scoperte a Parigi, perché vi si trovava esule dopo la rivoluzione del ’48. A Palermo, poi, dove nel ’61 venne chiamato alla cattedra di chimica dell’Università, proseguì i suoi studi. Egli formulò una coerente teoria atomica della materia sulla base dell’ipotesi di Avogrado del numero fisso di particelle che si trovano in una grammolecola di gas, enunciò la regola di Cannizzaro per determinare il peso atomico di un elemento chimico e descrisse la reazione di Cannizzaro, un fenomeno caratteristico di alcune aldeidi. Fu uno dei fondatori della Chimica moderna.
La biografia di Cannizzaro, che con Michele Amari era stato l’estensore della relazione illustrativa del progetto di statuto regionale siciliano approvato, all’indomani dell’unificazione, dal Consiglio straordinario di Stato, è tra i tanti emblematici dell’impegno civile degli scienziati siciliani e, dal terreno proprio della formazione della classe politica, intro- Reperto del Museo Geologico Gemmellaro duce ad un fenomeno più vasto di compenetrazione, fra l’isola e il continente, a livello della formazione di una coscienza nazionale e di una comune cultura.
All’inizio di questo itinerario si pone pure Gaetano Giorgio Gemmellaro, catanese, spinto dalla particolare situazione derivata dalla presenza del vulcano, a iniziare ricerche mineralogiche e sulle rocce. Indirizzò i suoi studi sulla geologia e sulla stratigrafia fino a diventare il più grande paleontologo mai avuto in Italia. Due volte Rettore dell’Università di Palermo, accademico dei Lincei, grazie a lui la Sicilia fu la regione italiana geologicamente meglio conosciuta e descritta. Curò il Museo Geologico Universitario facendo in modo che il Museo di Palermo diventasse il più importante d’Europa, forse secondo solo al British Museum di Londra.
E strettamente legata alla realtà siciliana risulta anche la vicenda scientifica e umana di Alfonso Giordano, nato a Lercara Freddi, paese di miniere, medico e filantropo, precursore nel campo della medicina sociale.
Mentre diversi politici ed economisti tentavano ancora di giustificare le terribili condizioni di vita e di lavoro nelle miniere con le necessità imposte dalle leggi economiche, egli senza mezzi termini, denunciò la insostenibilità della situazione. E dal punto di vista scientifico quando l’anchilostomo – anemia mieteva
innumerevoli vittime nelle zolfare della Sicilia, con scarsi mezzi di indagine ne intuì la causa, mentre generalmente si affermava trattarsi di malaria. L’esperienza siciliana del Giordano permise, poi, di curare gli operai impegnati nel traforo del Gottardo, e sempre da quell’esperienza e grazie al suo afflato umanitario si organizzava più tardi il 1° Congresso Internazionale per le Malattie del Lavoro e poi il Congresso Nazionale, e prese avvio la Medicina del Lavoro.
Andando avanti negli anni, nel libro risulta, inoltre, molto bene delineato il rapporto diretto tra la Sicilia e la vicenda scientifica e umana dei ragazzi di via Panisperna. Si può dire anzi che parte del cammino della Fisica Atomica abbia preso avvio a Palermo.
La storia inizia con Pietro Blasterna, fisico illustre, professore a Palermo dal 1863.
Si occupò di geofisica, di elettronica, delle proprietà dei gas reali, delle correnti indotte, della polarizzazione della luce, modificò dalle radici gli insegnamenti di matematica e fisica, riuniti nella Facoltà Fisico – Matematica (denominata dal 1874 Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali).
Promotore di scienza, Blasterna dapprima aderì al Circolo Matematico di Palermo, fondato da Giovan Battista Guccia, istituzione di smisurato prestigio internazionale, successivamente, trasferitosi, fondò il Circolo Fisico di Roma.
Successore di Blasterna fu Augusto Righi che occupò a Palermo la Cattedra di Fisica dal 1880 al 1888.
Un primo gruppo delle sue ricerche sperimentali riguarda il comportamento degli isolanti posti nei campi elettrici e, conseguentemente, la teoria dei condensatori, dell’elettroforo e della macchina a induzione. In un altro gruppo di lavori Righi cercò di riportare le varie forze elettromotrici a un’origine comune: comparvero qui, per la prima volta, le idee generali sulla natura dell’elettricità. Si occupò poi di onde elettriche riuscendo a scoprire una serie di fenomeni ed a costruire strumenti che furono alla base di esperimenti di Marconi e Maxwel1.
A Palermo a Righi successe Damiano Macaluso, valente fisico che poi divenne Rettore dell’Ateneo, e Macaluso ebbe ben presto come allievo e aiuto Orso Mario Corbino, catanese, venuto quasi per caso a Palermo, anzi in quel periodo il maestro e l’allievo scoprirono il cosiddetto effetto Macaluso – Corbino collegato all’effetto Zeeman.
Corbino divenne così una delle speranze della comunità scientifica italiana e fu conosciuto ed apprezzato dal Righi che nel frattempo si era trasferito a Roma: da allora la sua carriera si svolse rapida e brillante.
Nel 1904 fu chiamato ad insegnare a Roma e qui, egli che a Palermo aveva creato uno dei primi impianti radiologici universitari, si applicò a migliorare gli apparecchi a raggi X, e sviluppò studi di elettricità, elettrotecnica, elettroacustica. Nominato senatore da Giolitti fu due volte Ministro e, organizzatore di scienza, creò la scuola di fisica romana, nota come la scuola dei ragazzi di via Panisperna con riferimento a Segrè, Amaldi, Rasetti, Majorana, Pontecorvo.
Nella famosa scuola fisica romana gli scienziati avevano icastici soprannomi: il fondatore Orso Mario Corbino era il padreterno, Enrico Fermi il papa, Emilio Segrè, per il carattere ispido e pungente, il basilisco.
Nel 1935 la cattedra di Fisica di Palermo era rimasta libera e fu chiamato a coprirla Segrè.
Il fisico alloggiò dapprima in una pensione di via Lincoln, quindi alI’Hotel Excelsior; infine acquistò un appartamento in piazza Crispi e aderì al Rotary Club, deciso a considerare il suo incarico universitario non transitorio. Nello stesso periodo si sposò con Elfride Spiro ed ebbe un figlio, Claudio.
Grazie a Fermi stava nascendo la moderna radiobiologia.
Segrè, anche a Palermo, continuò questo filone di studi e scoprì nel 1937 il tecnezio, sperimentando il materiale fornito dal prof. Lawrence e proveniente dal ciclotrone di Berkeley, in California: il tecnezio fu così chiamato per ricordare che era il primo elemento artificiale, mentre allo scopritore era stato suggerito di chiamarlo Trinacrio.
Sempre a Palermo un gruppo di fisici e fisiologi, Segrè, Camillo Artom, Carlo Perrier, Gaetano Sarzana e Mariano Santangelo, dava conferma, nel 1937, del dinamismo delle strutture viventi dimostrando l’attiva incorporazione del radiofosforo nei fosfolipidi dell’organismo e aprendo la strada nel mondo al metodo isotopico in biologia e medicina.
Nel 1938, mentre Segrè era negli Stati Uniti per studiare altri isotopi del tecnezio, fu licenziato da Palermo a causa delle leggi razziali promulgate dal governo fascista. Si fece allora raggiungere dalla moglie e dal figlioletto e si stabilì a Berkeley.
Negli USA scoprì l’elemento di numero atomica 85, astato, entrò nel gruppo di Los Alamos che realizzò la bomba atomica e scoprì l’antiprotone, che gli valse il premio Nobel.
Tornò a Palermo solo nel 1987, a 82 anni, ed inaugurando il Congresso di Medicina Nucleare alla Fiera del Mediterraneo si espresse con queste parole: È difficile esprimere i miei sentimenti, quando arriverete alla mia età e, dopo mezzo secolo ritornerete nel luogo dove avete iniziato il vostro lavoro e fondato la vostra famiglia, queste emozioni vi saranno più chiare.
La vicenda umana di Segrè introduce a quella di tanti altri scienziati e professori che, in quanto ebrei, furono epurati e subirono persecuzioni.
In Italia furono licenziati 279 presidi e docenti delle scuole secondarie e 104 professori universitari. A Palermo i professori di razza ebraica espulsi furono Segrè, Camillo Artom, Maurizio Ascoli, Alberto Dina, di elettrotecnica, Mario Fubini, di letteratura italiana.
A questi si deve aggiungere Giuseppe Levi, il padre di Natalia Ginzburg, biologo, maestro di 3 premi Nobel: Salvador Luria, Renato Dulbecco, Rita Levi Montalcini. A Palermo aveva creato un laboratorio nell’Istituto di Porta Carini e aveva fatto ricerche importanti sull’accrescimento e invecchiamento dei tessuti e sulla struttura e le connessioni delle formazioni nervose.
Camillo Artom, biochimico, al momento dell’epurazione stava per andare a Zurigo per un congresso. Impeditone, affidò a due allievi delle lettere segrete per chiedere di essere ospitato dalla comunità scientifica e riuscì, così, ad emigrare negli Stati Uniti, da dove non volle più tornare.
Maurizio Ascoli, preside della facoltà di Medicina dal 1933 al ’35, dal 1929 docente di Patologia Medica, autore di numerose scoperte, medico sommo, posto d’autorità in pensione, subì il divieto di esercitare liberamente la professione medica, fu posto al bando della società civile e, anziano e solo, non potendo avere, in quanto ebreo, persone di servizio ariane, fu ospitato alla clinica Noto, una delle oasi di tolleranza civile della città.
Questa e tante altre vicende umane rendono avvincente, oltre che interessante la lettura de La grande scienza in Sicilia. Libro scritto con passione per rendere il dovuto omaggio a maestri che furono magistrati civili, alle scuole accademiche, intese nel senso più nobile come sodalizio nel quale operano uomini che condividono ideali scientifici, animati da forti e reciproci interessi intellettuali che allargano gli orizzonti umani, costruendo un percorso culturale. Un contributo alla storia del progresso scientifico, nel quale un posto va riconosciuto anche alla Sicilia ed ai Siciliani delle ultime generazioni.
Salvatore Ierardi
Da “Spiragli”, anno XIV, n.1, 1999 – 2002, pagg. 51-59