ANNA MAIDA ADRAGNA, I colori del silenzio, Ila-Palma, Collana di narrativa «Meridiana», Palermo, 2006.

 

Un caleidoscopio di frammenti umani tutto al femminile 

Storie di donne tra passioni e essenze, emozioni e sentimenti bloccati, una fugace giovinezza e confusi cambiamenti sociali, odii e confidenze, lavoro e sogni di esistenze diverse come diverse sono le protagoniste del secondo libro di racconti di Anna Maida Adragna: I colori del silenzio. Queste storie di donne sono una piacevole conferma di quanto aveva dimostrato con Spremute di limone, il suo autentico talento letterario. 

In questi racconti brevi, la fonte psichica è forte e introduce all’origine dei drammi che sovente attraversano l’esistenza di molti esseri umani. Psicodrammmi talvolta vicini alla paranoia. Vite al limite dei sensi. Donne del nostro tempo che ricordano con l’animo anziché con la mente, che vivono e muoiono con la stessa caparbia intensità, accomunate dall’unica matrice del non-detto. 

Con un linguaggio essenziale, ma estremanente efficace, l’autrice racconta di sentimenti, drammi personali e familiari, incubi, frustrazioni; certi luoghi oscuri dell’anima, certe colpe lontane soffocate nel fondo della coscienza che possono condizionare tutta la vita e impedire un’autentica libertà di azione e di scelta. Così il peso di un’ infanzia infelice, l’assenza di un rapporto familiare caldo, il ricordo della fuga del genitore, la malattia. 

Il piano narrativo che passa dalla descrizione dei fatti al monologo interiore, senza soluzioni di continuità, rende efficacemente la contraddittoria esplosione di sentimenti e di riflessioni dei vari personaggi, così che il lettore riesce a seguire il percorso logico che accompagna azioni e pensieri, ma anche i colori del dolore e dello smarrimento. In un libro dove a brevi pagine delicate si alternano pagine fortemente incisive, l’autrice riesce a mettere in luce il groviglio di pulsioni inconfessabili e a trovare le parole che le protagoniste hanno perduto. 

Stella E. Gois

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 56.




ANGELO LIVRERl CONSOLE, La scuola del cambiamento nella società complessa, «Processi culturali», collana di studi sociologici, I.l.a Palma, Palermo.

Autonomia delle scuole e unità dell’istruzione 

La scuola si caratterizza oggi in termini di sistema organizzativo complesso, volto a realizzare gli scopi istituzionali fissati da uno Stato che regola i percorsi delle scuole autonome. Di qui i complessi obiettivi formativi, i progetti innovativi, la flessibilità, l’organizzazione della scuola tra tecnologie, processi e relazioni, tali da orientare e soddisfare gli utenti dell’istruzione e i soggetti nel territorio. Si tratta, allora, di realizzare un’organizzazione in grado di rilevare correttamente la domanda formativa personalizzata, anche nel caso di difficoltà di apprendimento, realizzando percorsi formativi da verificare, valutare e documentare. 

Il legame col territorio non può ovviamente essere considerato sufficiente per conferire cittadinanza in una società sempre più globale e complessa: anzi, solo la comprensione dei grandi scenari e delle cause remote dei fenomeni permette di elaborare soluzioni e prospettive corrette e sostenibili a livello locale. 

Di qui la necessità di promozione di uno sviluppo professionale continuo da parte di un dirigente scolastico con competenze professionali strategiche, in grado di gestire le professionalità dei docenti in perenne, indispensabile sviluppo. Le rapide e radicali trasformazioni che hanno investito la società richiedono una scuola capace di garantire ai ragazzi di oggi, uomini di domani, i saperi e le competenze essenziali per rendersi artefici di uno sviluppo ordinato e costruttivo dell’ attuale società. 

Quali competenze, allora, si richiedono oggi? 

Il lavoro di Livreri, ricercatore di sociologia presso l’Università di Palermo, pur nella sinteticità della sua impostazione, traccia una panoramica degli interventi di riforma dal 1985 ad oggi e mette in evidenza l’attuale configurazione come risultato di un disegno riformatore progressivo e coerente affinché possa venir fuori una scuola che risponda alle esigenze reali del paese. 

Stella E. Gois

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 50-51.




 Questa città 

Ahi povera Italia, terra di guai, 
vai come nave senza guida 
nella tempesta, 
nazione senza prestigio, ricettacolo 
di troppe porcherie, 
se un animo gentile predica amore 
e gioia per la sua terra 
la maggior parte degli abitanti tuoi 
d’odio si pasce, d’invidia e di vendette. 
Non c’è regione in te né spiaggia 
ove si possa stare in pace. 
Il diritto di cui sei stata madre 
ora è per te motivo di vergogna. 
E il clero, anche il clero va dietro 
a favori materiali 
e le anime non guida per la retta via. 
E voi, gente di potere, guardate 
a che punto siamo: 
pensate solo ai vostri affari 
mentre lo stato 
va in malora e la gente imbestialisce 
oltre ogni limite, 
che Dio vi maledica e angosciose pene 
rovesci 
su voi e i vostri figli, sicché 
ne venga monito 
ai futuri governi, giacché l’avidità 
di potere 
vi tiene stretti alle poltrone e vi porta 
all’ abbandono del comune bene. 
Da ogni parte azzUlTi e rossi 
e bianchi e verdi fanno cagnara 
opprimono l’umana dignità 
accampano magagne; 
e a chi resta la cura del paese ridotto 
ormai al buio e all’abbandono? 
Se ci è lecito osare l’invocazione a Cristo 
non possiamo non dire: 
dove hai volto lo sguardo? 
Ci hai forse abbandonati, o Padre, 
o il nostro male rientra nel mistero 
dei tuoi disegni provvidenziali per noi 
incomprensibili? 
Certo è da stupire come in ogni città 
qualsiasi villanzone diventa 
un pezzo grosso 
per meriti di partito. 
Tu, Palermo, ne sai qualcosa, 
rallègrati davvero del falso progresso 
della tua gente, 
specie stando alla fama di mafia 
che ti porti dietro. 
Qui tutti sputano sentenze, 
tutti si affannano per conquistare posti, 
i pochi onesti vivono nascosti. 
Gli antichi saggi ormai contano nulla 
rispetto ai governanti d’oggi 
che fanno e disfanno leggi, 
futili proclami, ridicole ordinanze 
che magari durano un sol giorno, 
per cui, chi ha memoria, 
vede questa città 
come eterna ammalata che di qua 
di là si volta 
nel letto di una politica, con la quale 
anziché guarire vieppiù si ammala. 

Elio Giunta

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 63-64.




 Letteratura e stroncature domenicali 

Un buon periodico nasce e si sviluppa per colmare lacune o qualche insufficienza che si riscontra nella stampa corrente e in sostanza per portare avanti un’ idea di fondo che si ritiene necessario affermare. Ne viene fuori pertanto una specie di missione per la quale, ovviamente, occorrono le persone adeguate allo scopo, che abbiano entusiasmo e le relative capacità. Se così non fosse, pubblicare un giornale sarebbe una cosa balzana, destinata al fallimento, come per lo più accade ai molti periodici che qua e là sorgono per subito scomparire. 

Fa notizia a proposito sapere che da un certo tempo va in edicola un settimanale, definitosi di pura cultura, e che rivela un impegno preciso, quello di frenare l’eccessivo predominio delle voci di sinistra nel campo appunto della cultura: un impegno chiaramente di tipo ideologico, ma che si sta a vedere, a sua volta, se anche muove da un’ idea precisa, cioè se ha dietro una sostanza culturale alternativa nei propositi, cui corrispondano uomini e criteri capaci di sostenere una proficua dialettica. Intanto la polemica la fa e su un campo che non può non destare il nostro interesse e sulla quale avanziamo più di qualche concordanza. 

Tempo fa le pagine di detto settimanale – dal titolo Il Domenicale, per l’esattezza, – erano tutte vistosamente impegnate in dettagliate stroncature di opere di autori noti e meno noti che hanno tenuto banco nelle recentissime cronache librarie italiane e che, evidentemente, hanno fatto pensare ad una situazione di canali editoriali ispirati in un certo modo e praticabili secondo determinati rapporti ligi ad un sinistrismo di maniera. 

Da convenire comunque che il discorso di base del direttore del detto Domenicale è decisamente condivisibile. In Italia si stampano troppi libri, ci sono troppi scrittori o soggetti che si definiscono tali, mentre nessuno o pochissimi leggono. E tutti si danno da fare per avere la recensione o la presentazione, e tormentano amici e conoscenti per un rito divenuto ormai inutile e fastidioso. Come sono troppi quelli che hanno magari snobbato a tempo debito la scuola ed ora vogliono salire in cattedra a fare i professori, così sono troppi quelli che coltivano la vanagloria di fare la comparsa nelle vetrine dei librai: anzi; chiunque ha una posizione in qualche modo sfruttabile dal punto di vista mediatico, s’improvvisa scrittore, romanziere, anche se non si accorge neppure che quel che gli è venuto da dire non interessa nessuno. Diventano scrittori i politici in cerca di accattivarsi il pubblico, i tanti distributori di buonismo antidroga ed antimafia come i preti televisivi, lo diventano attori e soubrettes e vari esperti soprattutto di faccenduole piccanti; oggi credono di esserlo i versati alle furbizie delittuose, per cui vengono fuori a ripetizione gialli su gialli, spesso senza buon gusto e sempre ad oltraggio della vera letteratura. Evidentemente a puntare al successo c’è un esercito di cosiddetti scrittori che ci prova, e qualcuno che ha i giusti agganci ci riesce. 

È indimenticabile, per esempio, il caso di certo Faletti, autore di un giallo, un grosso libro d’intrattenimento, letterariamente inutile, ma che, celebrato da un recensore di un periodico come il più importante scrittore del momento, balzava subito in testa alla classifica dei libri più venduti. Citiamo il caso per portarci alle motivazioni di fondo della querelle, cioè la mercificazione del prodotto libro, determinata dalla mercificazione professionale della funzione dei critici, cioè di coloro che dovrebbero onestamente indirizzare i lettori e scoraggiare gli avventurieri della penna. Se si avesse ancora un qualche rispetto per la funzione umana oltre che sociale della letteratura; perché questo è il problema: la valutazione di un libro di narrativa o di poesia non può continuare ad essere affidata a scambi tra amici e conoscenti, all’opera di faccendieri degli uffici stampa dei grossi editori che premono sulle redazioni dei giornali di grido, che a loro volta premono sui critici accreditati e li condizionano. Chi recensisce poi dovrebbe essere persona di tale prestigio (ma ce ne sono?) da non restare acritico servitore di interessi poco conducenti, specie se ideologizzati, ma deve affermare piuttosto dei criteri di valutazione, sicché vadano all’ approfondimento, spesso alla rivelazione di ciò che ci riguarda come esistenza, come vita interiore, come pensiero, come storia. E così distinguere l’alto, il medio, il mediocre e il superfluo. 

Ecco: tornando al discorso del Domenicale, per altro molto apprezzabile per la disinvoltura, riteniamo siano da aggiungere dei suggerimenti su come ovviare all’impasse, smascherando i responsabili. 

L’uno l’abbiamo fin qui dato, l’altro sarebbe quello di denunciare ormai i nomi di coloro che detengono i poteri occulti di tanto scempio culturale, quelli che dirigono le collane delle più note case editrici, esplicitando i loro metodi di scelta e magari la loro ispirazione ideologica o l’essere contro un sincero pluralismo. Nel contempo proporre delle alternative ai gestori delle cosiddette terze pagine dei giornali o delle rubriche dei periodici, espressione delle stesse case editrici, dove attualmente i soliti nomi s’incensano tra loro (e si vogliono accostare gli studenti alla libertà di pensiero della stampa! Figurarsi!); perché combattere l’omertà mafiosa non è solo faccenda di coppole storte, ma anche di cultura che non va per la dritta. 

Elio Giunta

Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 3-4.




 MONTE PELOSO 

Sorge la luna piena 
planetaria sorella 
fulgida luce brilla rosa pallido, 
sorride appena giunta in cima al monte 
nel ceruleo ancora vespertino. 
L’astro pudico si nasconde, 
profuma già di sera il gelsomino, 
l’uccello di Minerva ha da ridire 
mentre grilli allietano frinire. 
Orizzontali nubi, pennellate 
sparse, 
coloriture tenui ormai soffuse 
al calare del sole, 
piccole luci tra gli abeti, 
la città, discreta, vive. 
Apre alla sera una rinascita 
e attende già l’alba, 
adesso, all’ imbrunire. 

Silvia Giudice Crisafi

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 39.




 GIOCHI DI FUOCO 

Accarezzano lo sguardo 
a mille a mille 
nuova gioia perpetuano i colori, 
stupore infondono dorate 
scintille ed è armonia. 

Silvia Giudice Crisafi

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 39.




TERMINAL

 Quest’ assenza del sacro 
mi sconforta 
ma cosa resta 
da offrire in olocausto agli déi? 
Ora più non negoziano i mercati 
le primizie del campo 
che Abele offriva. 
E sgozzano gli agnelli 
per un rituale. 
Tento di udire il sole 
che picchia come un suono 
di campana 
in un silenzio che non ha l’eguale. 

Maria José Giglio 

da «L.B.», n. 6, 1997

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 45.




 SOLTANTO IL SOGNO 

di Maria José Giglio 

Sono i sogni la nostra eternità 
perché nel sogno il tempo non trascorre. 
Permane, 
ma non come un rifugio nell’inerzia: 
movimento in cui tutto si riflette. 
Siamo sin dall’ origine nel sogno, 
è l’universo il mondo immaginario, 
l’unica forma che possiamo intendere. 
Non c’è animale che non abbia un sogno: 
anche nel sonno 
girano intorno a volte gli occhi suoi. 
E s’ agita 
chissà per quali oscure aspirazioni. 
Soltanto il sogno vendica l’effimero 
dell’ esistenza. 

Maria Josè Giglio

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 41.




 INVITO / l 

Vieni, 
senza magie, senza incantamento 
senza filtri d’amore. 
I pori aperti all’ intendimento 
e il passo corto che ci dà la vita 
nell’ infinito. 
Amore / l’Angelo. 
La porta s’apre tutta verso il fondo, 
dentro il grembo del mondo 
e tu sei qui. 

Maria losé Giglio 

(da Poema total, Ila Palma, Sao Paulo) 

(Trad. di Renzo Mazzone)

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 51.




 ALFA-OMEGA 

O Signore Alfa-Omega, 
tu guardiano del Verbo, dove inscrivi 
il tuo simbolo astratto? 
E dove la parola non segnata, 
idea comunicata 
forma e significato? 
Mormora l’immutabile suo ciclo 
la sfera. E nello spazio che si curva 
tramo paure … 
Qui nei segni inventati come includo 
l’imponderabile 
di un linguaggio futuro? 
La parola e il pensiero separati 
– ala aperta 
e istinti di radice. 
Perché il pensiero pensa 
e la parola 
non dice. 

Maria José Giglio 

(da Poema total. Ila Palma, Sào Paulo 1971)

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 30.