Sicilia: mito e realtà a Trapani
Dopo la grande e riuscitissima mostra Ori e argenti di Sicilia di un anno fa, Trapani, sempre a cura dell’Amministrazione provinciale, ospita un’altra grande manifestazione artistica che ha per titolo: Sicilia: Mito e Realtà.
Si tratta di un’antologica di artisti siciliani che per affermare la loro arte, dalla fine dell’Ottocento ad oggi, hanno tentato la via del Continente, portando dentro di sé (e manifestandolo nelle opere) l’amore per la loro terra a cui sempre sono rimasti legati.
Questa mostra è un’operazione culturale di grande respiro, se si considera che accoglie una cinquantina di artisti, la maggior parte dei quali solidamente affermati anche a livello internazionale. Ed è importante, perché porta a conoscenza del grande pubblico, in un quadro d’insieme, il lavoro silenzioso di questi artisti che, seppure lontani dalla Sicilia per esigenze di vita o, meglio, per potenziare di più la loro arte, hanno diffuso nel mondo un’immagine dell’Isola diversa da quella che di solito alcuni mass-media presentano. E il loro imporsi nel regno dell’arte acquista così una valenza culturale enorme, perché contribuisce a vedere nella Sicilia la terra di colore e di luce, quale effettivamente è, fatta di laboriosità, intrisa di accanimento, di fatiche mal ricompensate, di desideri inappagati.
Così la mostra del museo Pepoli vuole essere, innanzitutto, un gesto di riconoscenza e di gratitudine verso questi artisti siciliani più o meno noti, e vuole anche dare una paronamica del loro percorso artistico sviluppatosi in un più ampio contesto, ricco di fermenti e ancor più, arricchito dei nuovi apporti che a lungo andare lo condizioneranno. E basta scorrere la lunga lista dei pittori presenti alla mostra per rendercene conto. A cominciare dai primi o, per meglio dire, sin da quelli che dalla fine dell’Ottocento in poi hanno tentato altri approdi per arricchire la loro arte e concrettizzarsi, perché – come è stato bene sottolineato da altri – è difficile volerli tutti enumerare: in ogni tempo e in ogni luogo troviamo sempre artisti (pittori o scrittori che siano) siciliani e meridionali in genere che, imponendosi, hanno detto la loro nel campo dell’arte.
Uno di questi (ma ce ne sono altri che con la loro presenza in questa mostra arricchiscono il quadro: Catti, De Francisco, Minosi, Lojacono, Panebianco) che a cavallo tra Otto e Novecento ha portato altrove la solarità mediterranea propria della sua terra è l’Anonimo Letojanni, su cui particolarmente si è portati a fermare l’attenzione. Il mare aperto è visto tra la realtà e il sogno: il mare reale popolato di barche e di uomini intenti al lavoro, e quello che il pittore si porta dentro, fantastico, ricco di vegetazioni e di colori, che solo chi il mare ha nel sangue può dipingere. E quello che attrae è proprio la gradazione di colori che, poi, sono i colori dell’Isola, ora densi ora sfumati, ma sempre traboccanti di luce o, meglio, di una luminosità che, placando i sensi, fa riposare l’anima.
Questa di Trapani è una mostra che bisogna vedere per farcene, se non altro, un’idea propria e per renderci conto come effettivamente in essa vi sia compendiata tutta l’arte del XX secolo, con i suoi percorsi e anche con i suoi ritorni.
La grande stagione del realismo è degnamente rappresentata da Guttuso e Migneco: il Guttuso dai colori accesi, passionali, dettati da quell’impegno umano e sociale che caratterizza la sua arte, e il Migneco che dai volti dei suoi personaggi in movimento sprigiona la rabbia dovuta alle precarie condizioni in cui sono costretti a vivere. E il dolore e la sofferenza sono qui una denuncia silenziosa, fatta di ostinazione e di accanita perseveranza.
La luce diventa armonia nelle sculture di E. Greco, e di G. Mazzullo, artista della forma sinuosa e gentile, e aggraziata e pura il primo, poeta raffinato e interprete della sua gente di Sicilia il secondo. Pure folta è la presenza in questa mostra di artisti che hanno contribuito, facendo proprie certe istanze che venivano da fuori, ad ampliare in Italia il concetto stesso di arte, intesa come momento liberatorio di intima e personale riflessione, che rompe i ponti con la tradizione.
L’artista dà campo libero alla propria creatività e sprigiona in una simbiosi di linee e di colori il suo mondo che è, appunto, quello dell’astratto e dell’informale. Pietro Consagra, Carla Attardi, Antonio Sanfilippo ed altri, che questa strada hanno intrapreso e sono significativamente rappresentati, dimostrano già dal 1947, anno di nascita di Forma 1, che il colore e l’immagine avulsa dalla realtà spesso dicono l’indicibile e parlano al cuore e alla mente un linguaggio diverso e, al tempo stesso, familiare.
Ma altri artisti sono presenti a palazzo Pepoli: tutti con un proprio bagaglio artistico-culturale, tutti con qualcosa di pregnante che emoziona e fa riflettere. È il mondo che ognuno di essi ha dentro di sé che trova nell’arte, in maniera assai diversa nell’uno o nell’altro, il mezzo per esteriorizzarsi.
Degni di attenzione sono i dipinti di Piero Guccione, l’artista degli spazi e dei silenzi profondi. È come se avesse formato sulla tela le immense distese di mare e di sabbia (Riflesso sul mare), un mare calmo che dolcemente carezza spiagge incontaminate, dal colore oro là dove l’acqua non le tocca, scurite e pregne di liquido quelle che appena sfiora. Nella pittura di Guccione spira un’aria di evasione, e non si vede anima viva. È il silenzio che domina e si fa luce intensissima, e quasi esplode.
L’arte contemporanea – dicevamo- è fatta anche di ritorni, come quello di U. Attardi che, abbandonata l’arte informale, si rifà ad un realismo pregno di una raffigurazione vigorosa della condizione umana, oppure, come l’altro di F. Pirruca, con cui l’artista va indietro nel tempo alla ricerca di immagini umanamente più vere che vivono la loro esistenza a dimensione d’uomo, scevre della vita stressante dei giorni nostri.
Sarebbero da ricordare tutti gli artisti presenti a questa mostra: Mirabella, Franchina, Trombadori, Maugeri e gli altri. Ma non facciamo torto a nessuno se diciamo che tutti, indistintamente, esprimono e testimoniano il travaglio esistenziale che stiamo vivendo e il loro apporto costruttivo va al di là del semplice fatto artistico.
Ugo Carruba
Da “Spiragli”, anno III, n.2, 1991, pagg. 41-43.