F. Incandela, Ailanto, Castelvetrano (Tp), Mazzotta Ed., 1996, pagg. 58.

Se la poesia è offrire e offrirsi,quello che in questo libro sorprende è la sincerità con cui Francesca Incandela espone stati d’animo e sentimenti. E non è poco, se consideriamo l’artificiosità che è in tanta poesia d’oggi. 

Più che il tono discorsivo, che spesso perde e scade nel prosastico, ci piace sottolineare l’accento lirico ben riuscito, la cesellatura del verso di alcune che riteniamo siano le liriche più belle di tutta la silloge. Si vedano “Sud”, “Selena”, “Indefinito”, “Non voglio”, “Terra”, dove evidente è la partecipazione , e pregnanti sono le immagini, sia che si riferiscano alle realtà sociali della sua terra o a situazioni intimo-esistenziali. In ogni caso, c’è la misura del verso e la sensibilità del poeta. 

Tra tutte citiamo “Sud”: « Ho intrecciato / fili di grano / nel paesaggio aspro / della mia Sicilia / solo papaveri rossi nella radura… / sgorghi di sangue / in terra ferita.» Sono pochi versi, in cui F. Incandela riesce bene a dire la sofferenza di chi vede deturpata l’immagine della sua terra che, se non ci fosse la bruttura del sangue sparso, sarebbe color oro del grano e rosso di papaveri. 

Un’altra lirica, anch’essa breve, ma bella e luminosa come la fanciulla che ritrae, è “Eleonora” ( « Hai negli occhi / da cerbiatta / le mani impacciate / coi seni ancor acerbi. / Improvvisi i tuoi rossori / sotto l’azzurro / pastello del cielo »). La poetessa la ferma sulla carta con poche, concise parole, per paura che il tempo possa sfiorarne la bellezza. 

Speriamo che Francesca Incandela possa darci altre prove come queste, ed è il nostro augurio, per continuare sicura e trovare la strada giusta da seguire. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno IX, n.1, 1997, pag. 44.

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