La Sicilia rurale nell’inchiesta agraria di Abele Damiani

Salvatore Ierardi, con la sua sensibilità di storico attento e puntiglioso, ci dà un quadro della Sicilia rurale di fine Ottocento molto distaccato e obiettivo, anche se ha da fare i conti con carte spesso unidirezionali e faziose. 

Le inchieste, che fino a quel tempo erano state fatte, cercavano di attutire e giustificare i disagi della massa contadina e mineraria, nel nome del benessere collettivo, per cui poco importava se a farne le spese erano i più umili e i deseredati. 

Su questa linea d’onda era anche l’inchiesta Damiani che, per difendere la classe padronale di appartenenza, non dà peso alla triste condizione di miseria della povera gente e non tiene in alcun conto la schiavitù a cui erano soggetti carusi e donne. 

A niente, per lui come per il governo di allora, erano valse le denunce di Sonnino, Franchetti e Cavalieri, ed altri, autorevoli e lungimiranti, che avevano messo il dito sulla piaga e accusato di indifferenza e immobilismo la classe dirigente. 

Ierardi, servendosi dell’inchiesta Damiani, mette in risalto questo, sottolineando che i mali potevano e possono, allora come ora, essere evitati o, perlomeno, attutiti, per mezzo di una politica più attenta, non rivolta all’interesse dei pochi, e desiderosa d’un benessere allargato, che restituisca a tutti fiducia e dignità proprie di uomini liberi. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XIV, n.1, 1999 – 2002, pag. 61.




Realtà e Fantasia

Conoscevamo Mario Tornello come pittore e poeta, ma, a considerare questo nuovo libro, la sua versatilità di artista va ben oltre. Il signor Piazza ed altri racconti ci dà la prova tangibile di uno scrittore che è sulla via giusta da seguire per ottenere risultati ancora migliori. Certo, in mezzo alla babele in cui ci troviamo in fatto di produzione libraria (e non solo in questa), dobbiamo dire che Tornello ci ha regalato un libro di buona fattura, e sarebbe riuscito meglio nel suo intento se avesse evitato alcuni ritorni di vocabolo che, a lungo andare, stonano e rompano l’armonia della pagina. 

Il signor Piazza è il racconto più corposo che dà il titolo al libro. È una patetica figura di uomo che, però, nasconde una forte personalità. Artigiano nato, creatore di statue religiose in un momento di crisi dell’attività che fino ad allora si erano tramandata da padre a figlio, Piazza abbandona tutto e tutti e va, da clandestino, Oltremare in cerca di fortuna. Non vuole altro che uscire dallo stato di solitudine, dare una svolta alla vita che niente sembra prospettargli e vincere la malinconia delle giornate asfittiche e sempre uguali. 

Il lettore si renderà bene conto che non è la ricchezza la molla che spinge .il professore., come viene chiamato dalla gente il protagonista, bensì la mancanza di un affetto sicuro, di un amore che gli spazzi via la solitudine che si porta dentro. Teresa, ex meretrice sua compagna, niente dice all’uomo che scompare senza alcun commiato. E quando, malgrado i soldi e la posizione che s’era fatta, gli verrà meno Elisabeth, la donna per cui era sembrato rinascere, il signor Piazza non saprà più reagire; .si senti improvvisamente estraneo in quella terra, come calatovi da una mano misteriosa. Ebbe più grave il complesso del clandestino e percepì la sua estraneità in quel luogo. (pag. 37). 

Apparentemente il protagonista subisce, ma – dicevamo – c’è in lui una personalità complessa, anche se spesso repressa, pronta, però, a venir fuori e ad imporsi, esplodendo ogni qualvolta vede calpestata la sua dignità: reagirà, volendo punire quell’America che gli si è mostrata ingrata, e ucciderà don Salvatore Aquino per vendicare, più che ogni altra offesa, l’oltraggio all’onore. Questo omicidio, vero che lo riscatterà agli occhi della gente, ma lo farà chiudere col mondo. quel mondo a cui aveva tante volte teso le mani, a costo di abbandonare il quartiere dove era nato, la .Vuccirìa». e i volti amici. e volutamente finirà i suoi giorni da barbone, ai margini della città che sempre aveva portato dentro di sé, specie durante il soggiorno americano. È il suo, un gesto di rigetto, un ribellarsi al destino che risolutamente si era accanito contro di lui. 

Bella è la descrizione iniziale e indicativi sono i tratti descrittivi che fanno da sottofondo alla figura tormentata di quest’uomo. 

Gli altri racconti (La trappola, Salvatore, carissimo cane, Il paese dell’anima, Kusna, il nano) sviluppano temi che ad una prima impressione potrebbero sembrare a se stanti, ma che poi, riflettendoci bene, tutti sono riconducibili all’uomo, visto nelle varie sfaccettature e con i suoi problemi. 

Sempre curata è l’affabulazione. E Tornello non si perde in lungaggini, anzi, gli bastano poche battute per presentarci una situazione o uno stato d·animo. Le frasi sono come piccole pennellate, sicure e incisive. Il pittore dà una mano allo scrittore. e la prosa è piacevole. con punte squisitamente letterarie. 

“Il paesaggio va imbiancandosi; la neve caduta durante la notte ha disteso i suoi bianchi lenzuoli ed il silenzio antico è stracciato da un’auto rabbiosa che sale in direzione di un villaggio dove è attesa” (pag. 56). 

È un passo della Trappola che a tendere, stavolta, è la natura, volendo punire certi uomini per la loro malvagità. La fuga in montagna, dopo una rapina e un conflitto a fuoco da cui uscirà fuori un morto, si rivelerà inutile a causa della neve e di una bufera che costringeranno i due banditi a trovare rifugio dove rimarranno intrappolati e stretti da una morsa di freddo e di ghiaccio. 

In Salvatore, carissimo cane c’è, invece, tutta la generosità e la fedeltà dell’animale, non sempre ripagate, come in questo caso, dall’uomo che al momento opportuno fa di tutto per liberarsene. Il cane è il vero personàggio del racconto, Salvatore. per aver salvato il figlio del vecchio zio Filippo, ed ora, incurante del male subito, gli riporta la giacca che aveva dimenticato. 

Kusna, il nano ripropone l’antica sempre nuova aspirazione dell’uomo a volare. Kusna, quasi per un dono di natura che, a sua volta, lo aveva fatto nano e brutto, vola sfiorando le nuvole e il mare, godendo l’ebbrezza dello stare in alto, al di sopra pure della malvagità degli uomini, i quali mai si erano interessati a lui se non in quella occasione, rosi dall’invidia e desiderosi di emularlo. Ma la bontà è negli animi sensibili. 

“Kusna compì una larga virata verso la costa, ormai illuminato nella mente dall’amore immenso per i suoi bimbi cui si legava ogni giorno di più. Non avrebbe potuto rinunciarvi, sarebbe stato come spezzare l’unico filo …” (pag. 114). 

Questi racconti – dicevamo – sono tutti legati tra loro dal filo sottile che porta alla nostra misera umanità. Ed è quanto di più vero e di più nobile l’Autore ci possa dire, quasi a conforto e ad indicarci che, in fondo, sta a noi condurre il mondo verso una vita migliore, e che ci vuol poco per rendere felice chi sta peggio di noi. Tornello dice questo più col cuore che con le parole, perché non ha tanta fiducia negli uomini. Piuttosto preferisce rivolgere la sua attenzione alle piccole creature indifese, o guardare indietro nel tempo e ritrovarsi bambino. Come nel Paese dell’anima, dove con soffusa nostalgia va alla ricerca delle proprie origini che, poi, sono le nostre. 

È per questo che il libro non solo è interessante, ma è utile, perché scava, come gli acquazzoni, sui nostri io frastornati dalle tante sollecitazioni quotidiane, e ridimensiona, facendoci scoprire una sensibilità che sembra appartenga ormai ad altri tempi. 

Da “Spiragli”, anno III, n.3, 1991, pagg. 73-75.




P. Russo, Siculospirina (45 compresse di purissimo siciliano), Palermo, Flaccovio, 2010.

 Lingua, altro che dialetto!

Libri come questo dovrebbero essercene tanti, persino incentivati e voluti dalla Regione Sicilia che dovrebbe tutelare il siciliano come lingua del popolo e, ancora, attivarsi perché sia insegnato alle giovani generazioni e usato, ricorrendo ad ogni mezzo, anche legislativo, pur di raggiungere questo l’obiettivo. Ma la Sicilia non ha trovato l’uomo che faccia attuare lo Statuto e continua ad avere un’autonomia che non ha niente a che vedere con quella auspicata dai padri propugnatori!

Ritornando al libro, Russo esamina alcuni vocaboli (Accùra, canzìati, mòviti, ammuccàri, spirtìri, ecc.) e fa notare l’equivoco di cui sono carichi o il significato pregnante che difficilmente troviamo in un’altra lingua. Il tutto tra il serio e il faceto, con una scrittura che coinvolge e spinge alla lettura. Parafrasando il sottotitolo, il libro è composto di 45 vocaboli, presi in esame così come si prendono le compresse che sono sempre prescritte in dosi, senza l’assillo di ingoiarle col pericolo di procurarsi il male.

Il “medico” Pippo Russo prescrive una lettura che aiuta ad assaporare la ricchezza, la complessità ma anche la bellezza e, quindi, la dolcezza di questo linguaggio che, prendendo come l’ape da fiori che si sono radicati (tanti quante le culture e le dominazioni) nel corso dei millenni in terra di Sicilia, dice più di quanto non si parli.

L’ultima delle otto sezioni del libro è dedicata alle osservazioni-riflessioni che noi, tenendo conto dell’incipit di questa scheda, inviamo ai deputati regionali e ai detentori del potere perché possano intervenire a tutela del patrimonio linguistico-culturale che è traccia delle nostre migliori tradizioni e invidiabile vestigia dell’antichità.

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pag. 63.




P. Marrone, Mafia (Guida bibliografica), Trapani, Cartigraf, 1993, pagg. 101.

 Il prof. Paolo Marrone, attento osservatore delle realtà sociali, con questo libro ha voluto mettere a disposizione degli studiosi del fenomeno “mafia” uno strumento indispensabile che, se offre una panoramica di quanto si è scritto sul tema fino al 1993, aiuta nella ricerca, avendo selezionato ben 1750 pubblicazioni, suddivise in: Repertori bibliografici, Inchieste e Atti parlamentari, Opere generali sulla Sicilia, Questione meridionale, Articoli di riviste e periodici, Saggi e opuscoli, Narrativa, poesia, teatro e varia. 

L’Autore nell’introduzione tiene a sottolineare che l’opera non ha altro interesse se non di essere di ausilio a quanti si accingono a studiare l’argomento, qualsiasi sia l’aspetto che si vuole approfondire. Qui sta, secondo noi, l’importanza del libro che, in modo agile e sistematico, offre .un bilancio il più completo possibile dei risultati cui oggi sono pervenuti la pubblicistica e la storiografia sulla mafia, anche attraverso l’indicazione di opere che non sembra abbiano legami diretti con l’argomento in questione, ma la cui conoscenza può indubbiamente facilitare un approccio sempre più critico ed organico nei confronti del fenomeno della criminalità mafiosa-. 

Maggiore merito acquista l’opera se si considera nata nell’ambito dell’istituzione scolastica, nel nostro caso, del Liceo Scientifico “P. Ruggieri” di Marsala, sensibile alle istanze della vita sociale e culturale della collettività. È un esempio di come la scuola può ancora essere al servizio della società, offrendo dei risultati che, al di là delle parole, testimoniano una operosità altamente formativa e qualificante. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno VII, n.1, 1995, pagg. 61-62.




P. Hoffmann, La mia Libia, Marietti, Casale Monferrato, 1990, pagg. 261.

La Libia che l’autrice descrive è quella dell’infanzia vissuta in terra africana, rimasta nella sua memoria e nel suo cuore. 

Rientrata in Italia, subito dopo la guerra, come tanti altri che laggiù lasciarono averi e lavoro, Paolo HofImann si considererà un’estranea e guarderà sempre con nostalgia la Libia, con la natura ancora incontaminata, tra palme e signore con cappelli e ombrellini, e il ricordo del padre, un romantico pieno di iniziative e ricco di avventure. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno II, n.4, 1990, pagg. 54-55




P. Handke, Falso movimento, Modena, Guanda, 1991, pagg. 104.

È il viaggio verso la scrittura di Wilhelm Meister, l’alter ego dello scrittore austriaco. Apparentemente Handke racconta di un viaggio (il giovane scrittore Wilhelm si aggrega ad un gruppo di quattro persone e percorre la Germania, dal Nord fino alle Alpi Bavaresi) che, poi, si rivela falso, mentre quello vero è l’andare indietro nella memoria e scavare in sé. 

Lo scrittore raggiunge la condizione necessaria allo scrivere quando alla vita di tutti i giorni abbina la vita interiore, quella che effettivamente ci appartiene di più e ci spinge ad agire come a scrivere. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno III, n.1, 1991, pag. 61




P. Bestetti, Le copertine del «Mondo, Milano, Rizzoli, 1991, pagg. 128.

Pietro Bestetti raccoglie in questo libro i disegni realizzati per «Il Mondo». Un’idea originale che si concretizza in un elegante volume d’arte, reso piacevole dai colori bene appropriati. 

Il libro sprigiona una soffusa bellezza: il disegno balza vivido agli occhi e tende all’essenziale. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno III, n.1, 1991, pag. 61




Nello Sàito, Com’è bello morire (1986), in «Ridotto», settembre-ottobre 1988, pagg. 14-31.

Nello Sàito, Premio Viareggio nel 1970 per il romanzo Dentro e fuori, è un commediografo di indubbia levatura che affronta temi sempre nuovi e interessanti.

Diciamo che è il primo autore italiano a sviluppare (La speranza, 1978, Un re, 1975, Déjeuner sur l’herbe, 1980) il tema della morte, sia perché incute paura, sia perché spesso si è presi da interessi più idonei a soddisfare le richieste del mercato.

In questa pièce, Com’è bello morire, pochi personaggi – come, del resto, negli altri lavori teatrali – appena «morti», vengono catapultati, uno per volta, nella scena che funge da anticamera del regno dell’al di là, dinanzi ad un pubblico invisibile, ma disturbati dalla «Voce» che di tanto in tanto vorrebbe loro incutere paura. Ognuno di essi si dice contento di essere morto, stanco come è di una vita di miserie, di bugie e di mascheramenti.

La morte viene vista come liberazione da ogni meschinità che attanaglia gli uomini: nessun rimpianto, nessuna nostalgia per la vita che si è rivelata malvagia e sopraffattrice. Soltanto Teresa, nonostante il suo passato libertino, vorrebbe riavere la vita che le è stata tolta. Mentre un altro grande drammaturgo contemporaneo, Ionesco, per farli ravvedere, pone i suoi personaggi dinanzi alla morte che inavvertita e inesorabile si avvicina, Nello Sàito non ha la pretesa di insegnare niente a nessuno, ma lascia ancor più disorientati, e fa riflettere, anche se siamo tutti presi da un progresso apparente e inumano.

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno I, n.3, 1989, pagg. 66-67




N. Mahfuz, Il ladro e i cani, Feltrinelli, Milano, 1990, pagg. 144. 

Il protagonista dello Straniero di Camus sembra rivivere in questo romanzo di Mahfuz, dove Said Mahran, un ladro come tanti altri del Cairo, è malvisto e non riesce ad inserirsi in società, anzi, è portato a farsi vendetta, perché sia l’amico giornalista sia la figlia che non lo riconosce sia il suo complice lo allontanano e lo accusano. 

Oltre a quella del protagonista, così combattuto e provato dal destino da finire nelle mani della giustizia proprio in quel cimitero che tante volte aveva visto dalle finestre della casa dove era ospitato, la figura più cara è Nur, la bella prostituta che col suo amore e il suo affetto è stata sempre vicina a Mahran, a differenza degli altri, dei «cani. che non lo hanno mai lasciato in pace. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno II, n.4, 1990, pag. 54




 N. Anselmo. La terra promessa.

Palermo, Herbita editrice. 1989. pagg. 245. 

Più che la vicenda umana e politica di uno dei primi socialisti siciliani, dopo la costituzione del partito, è la storia della Sicilia di fine Ottocento e i primi anni del Novecento: quella delle grandi lotte contadine che, finalmente, dopo alcuni decenni, porteranno alla riforma agraria. 

Bernardino Verro, corleonese, è il protagonista di questo libro che è tra la cronaca e la storia. Gli interessi compromessi e la mafia prima tenteranno di demolirne la figura politica e sindacale, poi lo elimineranno nella persona perché secondo. 

N. Anselmo, servendosi di un meticoloso lavoro di ricerca, raccogliendo dati e informazioni inediti, ricostruisce in 20 agili capitoli la storia della Sicilia di quegli anni e rimette in discussione, facendo luce, l’uccisione di questo sindacalista, leader del movimento contadino e difensore della povera gente. 

Ugo Carruba 

Da “Spiragli”, anno II, n.2, 1990, pag. 47.