E. Charles-Roux, Voglia d’Oriente, la giovinezza di Isabelle Eberhardt. Bompiani, Milano, 1990, pagg. 451.

L’autrice di Dimenticare Palermo ritorna in libreria con questo nuovo libro che ricostruisce la breve vita di Isabelle Eberhardt, figlia illegittima della vedova del generale russo de Moerdr e di un precettore. Non potendo rientrare in patria perché illegittima, vivrà una vita irregolare, come irregolari saranno i suoi studi, pur avendo acquisita un’ampia conoscenza tale da parlare e scrivere in molte lingue. 

Isabelle, figlia della libertà, amerà sempre la libertà e la cercherà in Europa e in Oriente, nell’amore e nella sete di conoscenza, nell’avventura di una vita nomade e nelle sue passioni che tutto le fecero provare. 

Il libro è obiettivo e piacevole a leggersi, ricco di una documentazione di scritti editi e non editi dell’Eberhardt. 

Donato Accodo.

Da “Spiragli”, anno II, n.4, 1990, pag.  54




Disegni e grafiche di Emilio Guaschino. 1966-2004 (a cura della Provincia Reg, di Palermo), Palermo, Mazzone ed., 2004, pagg. 178.

 La Provincia Regionale di Palermo, sensibile alla cultura e all’arte, pubblica un voluminoso catalogo di Disegni e grafiche di Emilio Guaschino.1966-2004, e fa cosa gradita al pubblico sempre più largo di estimatori che con interesse segue il percorso umano ed artistico di quest’uomo schivo e riservato. 

Guaschino è un pittore che conosciamo da tempo e ciò che caratterizza la sua arte (a parte il buon utilizzo dei mezzi e delle tecniche, di cui è maestro) è l’impegno a favore dei meno fortunati e delle classi umili, che rivendicano il diritto di esistere e, perciò, l’ attenzione dello Stato, perché possa garantire loro un tenore di vita migliore. E per questo che egli merita la stima di quanti (a cura di U. Carruba) s’avvicinano all’arte e, in particolare dei Siciliani che riscoprono in essa le loro radici profonde, alitanti di terra e di sudore. 

Nel segno grafico di Guaschino riemerge, attraverso figure e volti a noi familiari, un mondo rurale ormai lontano, appesantito dal duro lavoro, pregno di un’umanità silente, ma stanco di aspettare ancora un riscatto. Perciò, dice bene Salvatore Vecchio quando scrive in un articolo ri portato i n catalogo che « l’arte di Guaschino va al di là del fatto pittorico. La pittura è solo un pretesto per esternare sentimenti a lungo repressi, e diviene denuncia dei mali che travagliano il mondo e non solo la Sicilia o l’Italia». 

Il nostro augurio è che il catalogo venga diffuso e fatto conoscere, specialmente tra i giovani, per la sua valenza didattica, oltre che artistica, il cui merito è quello di avvicinare ancor più alla Sicilia e di farla amare. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 56-57.




D. Pacino, I colonnelli verdi  pref. di S. Timpanaro, Pellicani, 1990, pagg. 240. 

Partendo da un esame dei mutamenti che da qualche anno si stanno verificando (crollo economico e politico del socialismo reale dei Paesi dell’Est, le posizioni degli ecologisti e la realtà attuale), l’Autore di Imbroglio ecologico, in questo suo nuovo lavoro, non si dimostra affatto convinto che le cose possano tornare alla normalità, perché oggi come oggi il mondo è regolato dalle leggi della tecnologia. Gli ecologisti stessi lottano contro i mulini a vento, perché non affrontano alla base il problema ecologico. 

Un’unica via di salvezza, per Pacino, potrebbe essere un .ecocomunismo» capace di condurre alla consapevolezza l’uomo che mai come ora ha perso la sua vera identità

Da “Spiragli”, anno II, n.3, 1990, pag. 56.




D. Nardoni, I Gladiatori Romani E.I.L.E.S, Roma, 1989.

Altro lavoro, frutto di meticoloso studio e di ricerca, questo di D. Nardoni, che arricchisce ancora di più la C.D.R. della E.I.L.E.S.. 

Il Professor Nardoni, con questo libro corredato di splendide fotografie, ci fa seguire da vicino i giochi gladiatori dalle origini sino alla loro estinzione sotto Onorio Imperatore. 

Partendo da un Anteloquio, l’A. analizza le varie fasi e gli aspetti del circo, pervenendo a risultati veramente sorprendenti. Il “gesto” per cui -si decideva della vita e della morte dei gladiatori che per la vita e per la libertà, per la palma e per il premio si affrontavano nell’arena», il motivo per cui i gladiatori lottassero con il piede sinistro scalzo e la sciarpa al collo, la moltitudine di gente che roteava attorno al circo, essendo esso richiamo indispensabile per il popolo di Roma, i gladiatori stessi che erano uomini oltre che lottatori, sono alcuni degli argomenti del libro, che contiene notizie utilissime per la conoscenza della romanità. 

IL modo di porgere, a parte la competenza tecnica e specialistica dell’A, è lineare, discorsivo, accessibile. Ma il pregio del libro – secondo noi – sta nella partecipazione con cui Nardoni segue l’evolversi di questi giochi, seppure con un evidente pizzico di nostalgia,perché il tempo travolge non solo ciò che di effimero 

c’è nell’uomo, ma esso stesso e, per colpa sua, quei valori che lo hanno sostenuto nella sua esistenza terrena. -La “famiglia” nasce su precisi valori, sugli stessi valori nasce e si regge la “società” formata dalle “famiglie”, gli stessi valori reggono lo “stato”. La graduale perdita dei valori distrugge la “famiglia”, rovina la 

“società”, sfascia lo “stato”». 

Ugo Carruba 

Da “Spiragli”, anno I, n.4, 1989, pag. 56.




Crialese e il suo film «Nuovomondo» 

Nuovomondo di Emanuele Crialese è un film anzitutto istruttivo, a parte la sua bellezza, il suo interesse, l’attualità. È un film dove la fotografia fa da padrona, 

s’impone sulla parola, domina la musica, e mette tutto sotto silenzio, perché essa stessa di viene parola che urla, musica che al pari dell’acqua dirompe e invade con impeto per essere compresa e sentita nella sua essenzialità, senza sentimentalismi né reboante retorica. Un’immagine che diviene parola e musica al tempo stesso, una musica struggente, una parola lacerante. 

Per tutto questo, Crialese riesce a rendere partecipe lo spettatore e ad emozionare veramente, a suscitare pensieri e buoni propositi verso l’altro, il bisognoso, l’emarginato, l’uomo di colore che approda nelle nostre isole con la speranza nel cuore. Emozionano i suoi personaggi speranzosi di riscatto da un ultrasecolare abbandono, protesi verso un’umanità più umana e più degna di essere vissuta; soprattutto, emoziona la dignità con cui essi affrontano la vita, sacrificando affetti e sopportando disagi. Come avviene tuttora, perché la Storia, vichianamente, si ripete. 

Il film parla, prima, di un viaggio che si dovrà fare, con tutti i preparativi che esso comporta, poi, del viaggio vero e proprio, lungo, interminabile, che ha l’epilogo nello sbarco, con i dovuti controlli, tesi a scartare i non idonei e quanti potevano risultare di peso ad una società materialistica che guarda solo alla produttività e non cura i sentimenti più sani e veri. Ci voleva poco, ad esempio, che il figlio di Salvatore Mancuso fosse rimandato indietro, perché ai primi accertamenti era stato scartato. A niente erano valse le proteste del padre che si vedeva scindere la famigliola, e sarebbe andata così, se il figlio non avesse superato lo stato emotivo in cui s’era venuto a trovare. Ritornerà in Sicilia la madre, Fortunata, perché si rifiuterà di accettare il «nuovo mondo». Il richiamo della terra è troppo forte per lei, e la nostalgia la riduce al silenzio e la chiude in sé. 

Bella, spontanea, naturale, l’interpretazione degli attori nelle vesti dei componenti la famiglia Mancuso e della giovane inglese che ad essa s’accoda. Salvatore, interpretato da Vincenzo Amato, riesce bene a coinvolgere e a tenere a bada il filo del discorso, come se gli altri venissero ad essere risucchiati dalla sua affabulazione; e Lucy (C. Gainsbourg) che, quando tutto sembra crollare, apre gli occhi del cuore a Salvatore e viene ad essere il suo <<nuovo mondo», iniziandolo alla speranza. Per questo, a differenza degli altri, che cadranno nello sconforto una volta che vedono cadere a pezzi l’idea bella fattasi della nuova terra, Salvatore non sarà un deluso, perché ha trovato già sulla stessa nave quello che cercava. 

Emanuele Crialese, a parte i volti e le immagini dei nostri immigrati visti in Ellis Island, sicuramente, come tutti, sarà stato toccato e colpito nel profondo dallo sbarco delle tante migliaia di clandestini che quotidianamente nel bel tempo arrivano sulle coste della Sicilia e a Lampedusa: uomini pronti ad affrontare qualsiasi evenienza, pur di raggiungere un obiettivo, che poi è quello comune: sfuggire la fame, voltare le spalle a decenni di guerre fratricide, iniziare una nuova vita per sé e per i propri cari. In fondo, è un ideale realizzabile, ma spesso destinato a svanire per pochezza e trascuranza degli uomini. 

Ben approfondita la ricerca che dà un’immagine vera della Sicilia degli inizi del ‘900, con la sua povertà e con la gente che reagisce e si ribella a quello stato di cose, ma anche con le credenze, alimentate dalla miseria e dall’abbandono, per cui chi non sa di tradizioni popolari, all’inizio, ha difficoltà a comprendere alcune scene (portare un sasso tra i denti, depositarlo in un posto ben determinato e aspettare un segnale di avallo, nel caso nostro, al viaggio da intraprendere; e, quando incerto sembra il responso, rifare un altro scutu ascolto, così viene chiamato – e aspettare), come quella in cui Salvatore s’interra e aspetta. La conferma positiva l’avrà quando gli viene di immaginare una cascata di monete sonanti, e solo allora darà il via ai preparativi del viaggio. 

Non va trascurata la parlata, che è la siciliana, la lingua viva del popolo, ricca di significati profondi, accompagnata da gesti, i quali aiutano a dare senso e tono al discorso, molto ricco e circostanziato, che trova nel film il suo luogo ideale. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pagg. 62-63.




Calogero Messina, Sicilia e Spagna nel Settecento (Pref. di M. Ganci), Palermo, Società Siciliana per la Storia Patria, 1986. 

Calogero Messina è uno storico che fa onore alla Sicilia e agli studi che la interessano, degno continuatore dell’altro grande storico, recentemente scomparso, Virgilio Titone. 

Questo libro che presentiamo offre un’ampia panoramica della Sicilia nel Settecento e i suoi stretti rapporti con la Spagna. L’Autore non si sofferma sui documenti tante volte visitati dell’Archivio di Stato di Palermo e della Biblioteca Comunale, non sfrutta solo archivi e biblioteche spagnole, tra cui quelli di Barcellona e di Simancas o gli altri meno noti di Vienna, come l’Haus-, Hof- und Staatsarchiv, ma si rifà con tanta attenzione e cura alle fonti letterarie che sono altrettanto importanti per la conoscenza della vita e del costume di un popolo in un determinato periodo. 

Metodo di ricerca, questo – come ci ricorda il prof. Gangi nella sua Prefazione- indicato da Marx e poi da Gramsci e seguito dagli storici francesi Jacques Le Goff e George Duby. Ma sentiamo cosa dice il Messina: «Anche quando sembrano incontestabili, i documenti di archivio non sono sufficienti per ricostruire l’immagine di una società e degli individui singoli. Sono necessarie anche le altre testimonianze, soprattutto dei poeti. Per questo li abbiamo citati e continueremo a citarli». 

Sicilia e Spagna nel Settecento si compone di nove capp. di cui sei rifanno la storia della Sicilia spagnola in generale e tre scendono nel particolare (L’Inquisizione, Il Commercio, Il ricordo), dandoci un quadro completo della realtà isolana di quel tempo. 

Il libro è di facile lettura ed è interessante, perché, oltre ad essere valido strumento di conoscenza e di consultazione, contribuisce a fare luce sulla dominazione spagnola in Sicilia, cogliendola nei suoi aspetti politici, sociali, economici e culturali. 

Ugo Carruba 

Da “Spiragli”, anno I, n.2, 1989, pag. 45.




C. MESSINA, SOLIDITAS, PALERMO-SAO PAUW, 1999, PAGG. 116.

Un libro di poesie è sempre accetto, specie se l’autore è un nome noto che è stato seguito passo passo nell’evolversi della sua opera di letterato, storico e narratore. 

Ma Calogero Messina con questo suo nuovo libro non s’improvvisa poeta dall’oggi al domani. Messina è un poeta che ad un certo punto della sua esperienza di vita e di arte ha preferito far macerare a lungo le sue creature quasi per caricarle di maggiore pregnanza. Ed ecco perché, dopo più di un decennio di silenzio poetico (le prime sue composizioni antologizzate in Motivi del nostro tempo risalgono al 1978), viene allo scoperto proprio ora con Soliditas, un libro dettato da esperienze di vita e di cultura, ricco di emozioni e di incontri, quali possono essere dati dalla vista di una donna o di un paesaggio o, ancora, dal silenzio notturno che avvolge uomini e cose, mentre un treno avanza sbuffando nella notte. 

Il bello di questa poesia è che a distanza di tempo segna un continuum con l’altra anzitempo pubblicata, sia per il suo andare prosastico con il ricorso alle figure retoriche, sia per l’ispirazione sempre pronta a cogliere le intime esigenze dell’anima e a tradurre in sentimenti nobilissimi i palpiti della vita. Esempio, Quando mi nasce un libro, oppure A Lorenzo Panepinto, l’uno e l’altro componimenti abbastanza sentiti che rivelano l’uomo e il poeta con le sue aspirazioni e la fiducia in una ritrovata umanità più sana e più giusta. 

Da “Spiragli”, anno XIV, n.1, 1999 – 2002, pag. 60.




C. Messina, Jordanus non est conversus retrorsum, Roma, E.I.L.E.S., pagg. 170.

 C. Messina con questo suo lavoro rende omaggio all’illustre suo concittadino, San Giordano da Santo Stefano, ripercorrendo le tappe della vita fino al martirio, restituendoci l’uomo, con la sua bontà e carità, e il santo, con la sua dedizione a Dio e agli uomini, per i quali non risparmiò fatiche e sofferenze. 

Nello stile che gli è proprio, l’Autore consolida le sue qualità di scrittore e s’afferma ancora di più nel vasto panorama della letteratura italiana del nostro tempo. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno IX, n.2, 1997, pag. 61.




C’è in questa poesia, da parte del suo autore, il volere affidare alla pagina scritta la sua interiorità, che è amore di Dio e degli altri, un guardare nel proprio intimo e un volgere al tempo stesso lo sguardo a tutto ciò che lo circonda. 

Masia trae ispirazione dal sacro e dal profano, un binomio che ha la sua ragion d’essere nel bisogno di amore (“Amore/sfiora le mie labbra./Ho sete di te.”) tanto sofferto e sentito. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno IX, n.2, 1997, pag. 61




ANTONIO LICARI, Giovani di 300 anni fa e d’oggi, Club Unesco, Marsala, 2007.

Le distanze tra i giovani e gli adulti, come quelle tra padri e figli, sono state sempre incolmabili e così sarà, fin quando non prevarrà la piena consapevolezza di agire nel rispetto dell’uomo, sia pure un giovane. Il prepotere che gli adulti esercitano sui giovani, il servirsene per i propri esclusivi interessi, senza considerare bisogni né esigenze altrui, l’escluderli, senza peraltro rinunciare al loro sfruttamento, il decidere su ciò che riguarda loro spesso senza consultarli, sono motivi di continui attriti e di astio senza fine. 

Il saggio di Antonio Licari, medico, interessato ai problemi dell’adolescenza e scrittore, attivo e impegnato nella ricerca, mette a confronto i giovani di 300 anni fa che, magari, abitavano la splendida e ricca Mozia e quelli di oggi, facendoci notare come i giovani soffrano e come, anche nel silenzio, rinchiudendosi in sé, rigettino le decisioni degli adulti prese senza averli consultati, arroganti e spesso prepotenti. 

«La presa di coscienza che l’adolescente è una persona a tutti gli effetti», scrive A. Licari, «con peculiarità specifiche, può aiutare la nostra società ad evitare conflitti fra giovani e adulti (ne parlava già Platone), a ridurre le morti di tanti giovani d’oggi che, come al tempo dei Fenici, per una sorta di analogia psicodinamica, vengono sacrificati sull’altare di Moloch.» 

L’analisi condotta da Antonio Licari è corredata da pezze d’appoggio di carattere 

storico e scientifico convincenti. Ci riferiamo alla proiezione guidata dei simboli e ai casi clinici riportati: sia nella prima ricerca effettuata tra gli studenti di un liceo che nei casi clinici, i cui attori sono giovani, emerge il bisogno di dare un senso alla esistenza che non sia condizionato dagli altri, il volere operare veramente in un mondo libero da prevaricazioni in cui giochino un ruolo primario i sentimenti, al di là degli interessi che alzano steccati e tendono ad emarginare e a sottomettere. 

I giovani cercano certezze e fiducia per cooperare e realizzarsi, in poche parole, vogliono essere considerati alla pari e avere uno spazio per potere gestire al meglio la loro vita. «Essi cercano», scrive a conclusione Licari, «comprensione, affetto, speranza; verità rispetto all’ignoto, bellezza di fronte al degrado, libertà di fronte alla schiavitù, in un periodo della vita in cui si rivelano il mistero dell’esistenza e la caducità.» 

Un discorso convincente che è auspicabile arrivi ai giovani e agli adulti, perché se ne facciano carico e da ambo le parti con responsabilità si adoperino per un mondo più giusto e più buono, dove ogni individuo possa realizzarsi e dire in libertà e nella pienezza di sé sì alla vita. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 59-60.