VINCENZO NOTO, Vendiamo grazie a Dio, collana di narrativa e diaristica, «Mondi d’ogni giorno», Ila Palma, Palermo, 2008.

 

Un libro di narrativa, del genere dei racconti lunghi, certo tra i più riusciti, nell’intensa e molteplice attività di pubblicista e di saggista di Vincenzo Noto. 

Si tratta però di un tipo di narrativa con un preciso carattere di impegno sociale, dato che in esso è ben chiaro, anche se implicito, un messaggio invogliante i lettori in generale e quanti ne hanno il compito specifico in particolare a svolgere attività umanitaria e/o di recupero in favore di quegli umili la cui esistenza è travagliata da sofferenze di vario tipo. 

Il libro, infatti, racconta le varie opere di aiuto compiute da un generoso sacerdote, che è poi lo stesso Narrante, a beneficio di un pover’uomo, Nonò, quasi quarantenne e di limitate capacità mentali, sfortunato fin dalla nascita perché la madre gli morì nel partorirlo. Non avendo imparato alcun mestiere, Nonò sopravvive aiutato dalla sorella, ma questa, quando si sposa, lo deve mandar via di casa per obbedire alla volontà del marito. Venuto così a trovarsi in povertà totale, Nonò si sostenta con le elemosine che raccoglie frequentando tutte le sere una chiesa e che va a spendere in una vicina osteria, pagandosi da bere più che da mangiare, fino a ubriacarsi. Una sera, durante la messa, a chiusura della lettura del Vangelo, dà a mo’ di risposta le parole che formano il titolo del libro. La frase rimane senza spiegazione, suscita qualche risata nel corso di una riunione intesa a discutere di carità e, subito dopo, la benevola curiosità di don Vincenzo che, commosso dalla triste sorte di quell’infelice, si impegna come meglio può, e badando a evitare la scuscettibilità del suo protetto, a procurargli cibo, scarpe, vestiti, altre utilità e, soprattutto, a dargli il conforto di una saggia guida. 

Nonò si affida pur con qualche riserva istintiva al suo benefattore, ma non sa liberarsi dal vizio del bere, sicché si ammala di una cirrosi che non perdona. Muore assistito dal generoso sacerdote, dalla sorella che lo stesso sacerdote ha rintracciata superando tante difficoltà, e da molti compagni di osteria, di cui l’Autore fa notare la solidale presenza. È venuta anche Carmelina, una ragazza per la quale «Nonò era stato l’uomo della sua vita e forse lo amava ancora». 

Questa, in sintesi, la ‘materia’ dell’opera, una ammirevole successione di atti di esemplare umanità attestanti nel senso più completo il vero valore pratico del concetto di amore del prossimo, specie di quel prossimo che soffre le conseguenze di una vita particolarmente penosa e che tuttavia spesso dà prova di conoscere i buoni sentimenti e di praticarli. Eppure tante volte questi nullatenenti incorrono nell’incomprensione e nelle critiche, ora severe ora ironiche, dei benestanti. Sono critiche che l’Autore garbatamente biasima, in difesa di una classe sociale che ha pure buone qualità umane e quindi merita una valutazione più serena e solidarietà operosa. 

Altro aspetto positivo dell’opera sono i meriti letterari del linguaggio, ben valido quanto a precisione del racconto, a descrizione di ambienti, a caratterizzazione dei personaggi, e nel suo essere efficacemente comunicativo. 

Antonino De Rosalia

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 61-62.

 




V. GALLO, Di la Bata ranni a la Marina – Usi e tradizioni di Sciacca, 2005.

Usi e tradizioni popolari locali, studi da incoraggiare 

Il volto di una città non lo compongono soltanto i suoi edifici, le sue vie, le sue piazze, ma anche i multiformi aspetti della vita dei suoi abitanti. Elementi statici quelli, dinamici questi, che infatti si esplicano nella varia mobilità di particolari momenti del pensare e dell’agire umano, connessi fondamentalmente a un passato ora più ora meno antico che al tempo stesso essi conservano e innovano, salvando una sostanziale coerenza che ne assicura la consistenza e la vitalità, oltre a produrre una certa diffusione nei centri viciniori, nei quali poi assumono peculiarità più o meno marcate e talora anche distintive. 

Si costituiscono così, nelle comunità, usanze e tradizioni di varia specie, un vero e proprio patrimonio di cultura, che ha meritato l’attenzione di valenti studiosi, animati da curiosità e interesse e dal conseguente legittimo desiderio di operare per conservarne le caratteristiche e la memoria di generazione in generazione. 

Rientra meritamente in questo tipo di studi il recente libro di Vincenzo Gallo, un impegnato docente di lettere nonché appassionato cultore di storia, tanto sensibile a quella che Dante chiamò «carità del natìo loco». 

Dotato di buona attitudine all’osservazione dei tanti aspetti della vita locale, si è dedicato da anni alla ricerca di notizie e curiosità di ogni tipo, relative a quell’ambito e, consapevole del loro valore documentario, sociale, civile, educativo, ne ha raccolte una quantità davvero considerevole, le ha riunite in apposite categorie, riferendo adeguatamente, anche sotto l’aspetto del loro formarsi storico, sulle singole voci. 

Il lettore ha così passibilità di apprendere le numerosissime ‘nciurie, cioè i soprannomi assegnati a un cospicuo numero di famiglie saccensi o a qualcuno dei componenti, lo svolgersi all’aperto di tanti giochi di ragazzi, le varie fasi del costituirsi di un nuovo nucleo familiare, dal fidanzamento al matrimonio, talvolta con specifici atti notarili, tal altra, specie a livelli sociali modesti, dopo la classica fuitina. 

Inoltre lo studioso registra, opportunamente commentandole, superstizioni e credenze, ricette mediche, filastrocche, testi di proverbi e modi di dire, aggiungendo alla fine un utile glossario. 

L’opera che Vincenzo Gallo ha prodotto è da considerare ben valida sia come testo di piacevole lettura sia come documento che illustra e consegna alla memoria un vasto materiale di indubbio interesse etnografico ed etnostorico, come hanno rilevato, in apertura, l’avv. Gaspare Falautano, il dott. Enzo Fontana, presidente della Provincia di Agrigento, e il prof. Enzo Puleo. 

In questo libro, valido, ben articolato, gradevolmente comunicativo, quasi compendio delle usanze e delle tradizioni della sua gente, Sciacca ha trovato un ritratto fedele di tanta parte della sua fisionomia umana. 

Antonino De Rosalia

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 52-53.




 Sulle rovine e le tracce di un sogno interrotto. La malinconia e la nostalgia del non essere  

Se un uomo non si contraddice mai è certamente perché non dice mai nulla di nuovo.

M. De UnamunoQuello che vi si presenta come naturale, non consideratelo tale.C.MarxSe ciò che si presenta non è naturale, ma è divenuto, siamo un po’ più liberi. G. Vattimo

l. Il textum e la processualità del senso

Se ciò che è naturale e storico è divenuto nella sua potenziale pluralità, allorac’è anche una contraddizione non-contraddittoria, il delirio con-tingente del textumdella vita e delle cose che il sapere, servendosi della pluralità dei linguaggi e delle logiche, itinerandosi, ha cercato di interrogare, rendere, costruire e ricostruire come pubblica rete di relazioni materiali e storiche.

E su questi sentieri e il loro sviluppo processuale che poesia, filosofia e scienza,unite-separate, si sono incontrate-scontrate utilizzando logiche e strumenti comuni-diversi ora strizzandosi l’occhio e ora tendendosi le mani per allontanarsi-avvicinarsi.

È come se, parafrasando Ernest Bloch, la malinconia della realizzazione,schizzando tra attesa gioiosa e doloroso esilio, alimentasse la nostalgia del non- essere-ancora e il ri-avviarsi senza sosta del soggetto. È una nostalgia, infatti, che riprende il suo naturale cammino di dialogo dialettico senza fine nel campo del testosemiotico e simbolico concreto, di cui la poesia, con il suo intreccio configurativo,rappresenta l’evento virtuale più significativo per il suo essere peculiare e complessasimulazione.

La metafora del texttra gli altri strumenti retorici, ci sembra, del resto, l’analogiapiù idonea per parlare della eterologia delle cose che si mescolano in un testo o in untesto poetico. Qui, infatti, rimanendo pluralità complessa, equilibrio dinamico e aperto,si uniscono quanto si dividono cose di livelli diversi: i simboli e i suoni, la ricerca ela costruzione di senso, la spazialità e il kairs del ritmo e dell’aritmia, ecc. Miscela di “n” variabili, simulazione di quell’intreccio più vasto e reale che è l’essere-possibilitàstesso delle cose nel divenire del loro spazio-tempo, curvato dalla materia-movimento e dalla storia, ci sembra, allora, che anche il kairs, il luogo-tempo proprizio che rapporta debitamente e relaziona le parti di un testo poetico, possa essere trattato comeun text. Il kairs è, infatti, un textum, un intreccio dinamico che miscela debitamente, sebbene in un equilibrio precario e impermanente, le varie parti del tempocome una tempera e un taglio di liquidi o una metaxi che transita hermeticamentel’accordo degli elementi vari di un sistema relazionandoli in un equilibrio mobile e processuale. “Lungi dal risolversi nel significato di <momento istantaneo> o <occasione> – secondo una tipica recezione protomodema del termine – kairs viene così a designare, al pari di tempus, una figura oltremodo complessa della temporalità: figura che rinvia alla <qualità dell’accordo> e della mescolanza opportuna di elementi diversi – esatta- mente come il tempo atmosferico. Nella sua versione spaziale, d’altronde, la stessaparola sta ad indicare i luoghi propri, le parti vitali di un organismo in forma, ossia equilibrato e temperato nelle sue componenti”.l

Tra gli strumenti utilizzati dal sapere, si pensa particolarmente a quelli della dialettica retorica come la levis immutatio, la metonimia, la sinedoche, l’ellissi, l’analogia, l’ironia, ecc. Sono gli strumenti che modificando le parole, la sintassi, la semantica e la pragmatica del tessuto comunicativo diventano chiavi di letturae di conoscenza delle cose.

Di questi altri strumenti, il poeta si serve, per esempio, quando decide dicostruire un certo mondo possibile e un certo modo d’essere per continuare a dialogare con gli altri e l’essere stesso del mondo complesso e molteplice.

L’essere, diceva Aristotele, è potenzialità e si dice in molti modi; l’essere è pluralee non unico, identico e immutabile.

L’essere è una rete di relazioni materiali e storiche dove linearità e circolaritàs’intrecciano e snodano fenomeni ed eventi che si raccolgono e strutturano nelle varie forme del sapere anche attraverso le tracce che l’essere-possibilità lascia sparseun po’ dovunque sul terreno della storia.

Oggi, sembra, sia necessario e urgente, rimettere in rete queste tracce e ritrovare/ riscoprire/ricreare il senso delle cose passate rimasto inattuato e ri-progettarlo. C’èsempre un “angelo” che sulle rovine della storia aleggia con le sue grandi ali per non far dimenticare ciò che ancora aspetta di essere preso e rimesso in cammino.

Holderlin, parlando de ” […] i poeti nel tempo della povertà”, diceva che pensieroe poesia possono ritornare a dialogare con l’essere solo se si rimettono sulle sue tracce e le reinterrogano. “Lungo è il tempo di povertà della notte del mondo. […].Questi segni sono, per il poeta, le tracce degli Dei fuggiti. Secondo Holderlin, Dioniso,il dio del vino, lascia questa traccia ai privi di Dio che giacciono nelle tenebre dellanotte del mondo. Infatti il dio della vite custodisce nella vite e nel suo frutto l’appartenenza reciproca originaria di Terra e Cielo come il luogo della celebrazionedi uomini e Dei. […] Il poeta pensa nella regione delimitata da quella illuminazionedell’essere che, in quanto dominio della metafisica occidentale autocompientesi, ègiunta alla sua configurazione conclusiva. […] ci sarebbe, allora, ed effettivamente c’è, una sola cosa necessaria […] afferrarne l’inespresso. Questo è il cammino dellastoria dell’essere. Se ci incamminiamo per questo cammino, esso condurrà il pensarea un dialogo storico-ontologico col poetare”.2

Ora l’essere plurale, temporale, complesso e in fieri può, allora, essere conside-rato come un testo che interseca e miscela tracce e campi attorno a cui gravitano e dai quali si dipartono la poesia, la filosofia e la scienza.

La poesia, come la realtà, è, anche, allora un universo particolare con un tempo complesso e un’imprevedibilità essenziale. E ciò fa si che la loro apertura di sensoè sempre e simultaneamente determinata e indeterminata, contraddittoriamentecoerente e sfida al principio logico del terzo escluso o dell’aut aut.

La tensione conoscitiva e po(i)etica, mettendo in campo linguaggi particolari dicontatto, penetrazione, percezione, scarti, metafore, nuance, giustapposizioni, saltidi livelli, elaborazioni determinate, indeterminate, certe, probabili, razionali, imma- ginarie ecc. è un altro aspetto che accomuna e differenzia la poesia dalla scienzae dalla filosofia.

Arte e scienza hanno in fondo una certa correlazione che le tiene unite tramitele procedure compositive e simboliche per cui la loro separazione netta è più un’esigenza convenzionale che un fatto intrinseco.

Valery diceva che “le une sono sempre implicite nelle altre. Se la scienza adattagli organi intellettuali a un’immagine esteriore, l’arte viceversa deforma l’esteriorità in vista di un’immagine interiore. Si tratta quindi di due modalità complementari di interagire con il mondo, la cui valenza è data dall’invenzione, dal ponte che getta tra esprit de finesse e esprit de géometrie”.3

Questa correlazione che differenzia l'<identità> dinamica e procedurale tra isaperi e i loro linguaggi, non ridotti alla semplice produzione di significati e di scambicodificati, è ciò che, inoltre, ha permesso di continuare un certo tipo di dialogo traloro e l’essere-possibilità. ” E così filosofia e poesia, che hanno sempre parlato traloro, espongono il loro dialogo segreto, lo rendono manifesto, dicono esplicitamente di parlare l’una dell’altra. […]. Qui <senso e linguaggio> affondano come macigni. Non custodi del senso, non tutori del linguaggio, ma sacerdoti dell’indicibile e dell’impensabile. […]. Circolarità del senso, ma insieme non sua disponibilità, quindiimplosione e frammento, ospitalità per tutti i sensi possibili, un’offerta per i poeti”.4

Anzi, la metafora può costituire “un punto d’intersezione e d’incontro tra saperepoetico-letterario e il sapere filosofico-scientifico e l’occasione di una dialettica dellacultura che vede i due saperi – poetico e scientifico -, tradizionalmente negantisi per opposizione del positivo che esclude il negativo, usare gli stessi strumentignoseologici ed euristici (la metafora) e indagare, interrogare lo stesso oggetto:l’essere-possibilità che, nella sua materialità storico-temporale, è prius oggettivo efondamento-referente del sapere stesso”.5

Se il soggetto-e-l’oggetto di questa complessità d’essere è allora un textum, è possibile applicare il concetto di testo sia ai fenomeni naturali sia agli intrecciartificiali. Un evento scientifico o artistico, quale può essere una poesia o un racconto, conseguentemente, può essere costruito e ricostruito, analizzato comeintreccio di variabili e di piani diversi.

Entrambi i tipi di testi sono, infatti, una miscela d’elementi, una tessitura di variabili relazionali che si condizionano reciprocamente e interagiscono ad ogni azione che proviene dall’interno e dall’esterno del sistema.

Il poeta, lo scienziato e il filosofo, pro-vocando i testi con gli strumenti che sono propri di ciascuno, generano metamorfosi e nuovi modi d’essere degli stessi testi come se li sottoponessero a torsioni e a spinte anche aleatorie: ne biforcano anchei campi semiotici e semantici spingendo la significazione nella direzione di unventaglio o di una cascata che si dis-tende e retifica oltre i termini e i limiti della logica bivalente.

Il linguaggio dei ricercatori e dei pensatori, infatti, ha come interlocutore il ni-ente del textum. “Esso infatti dissolve la logica bivalente del discorso che si articola nel giudizio disgiuntivo, per quella logica ambivalente dove qualcosa <è> pur non essendo solo ciò che è. L’essere si intreccia con il non-essere e, volatilizzando l’equivalenza della cosa con se stessa, l’ambivalenza produce la non-valenza”.6

2. Le nuove logiche e la sperimentalità po(i)etica

Entrambe le tipologie testuali, sia il laboratorio del poeta o quello dello scienziato sperimentatore, ricorrono, infatti, a linguaggi e a logiche che non sono per nienteriducibili a quelle del pensiero classico dell’armonia, dell’ordine, della finitudine, della certezza, della coerenza, della non-contraddizione, della visione nitida eunivoca della logica bivalente dello “scambio” del codice biunivoco, come se i significati e i sensi fossero oggetti di un’economia di scambio di tipo comunicativo.

Poesia e scienza, volendo esprimere e comunicare l’infinita processualità del divenire dell’essere e/o del tempo, non possono, oggi, non impiegare strumenti e strategie linguistiche, logiche e congetturali diversi da quelli del passato; per conoscere edesprimere la pluralità complessa che sfugge al pensiero e all’intuizione comune hannobisogno di ricorrere, infatti, alla stranezza delle paradossalità delle logiche odierne chefanno sempre più i conti con le irregolarità che governano ogni tipo di fenomeno.

Ricorrendo alla logica dell’affermazione, per esempio, negli anni Settanta, Ruelle e Takens, intenti a studiare i fenomeni della turbolenza, pur non avendo mai vistoun “attrattore strano” con le poche dimensioni che loro stessi ipotizzavano – (“[…]un’orbita in uno spazio delle fasi che potesse essere un rettangolo o unparallelepipedo, con soli pochi gradi di libertà. Non periodico […] in modo tale, però,da non ripetersi mai e da non intersecarsi mai […]”7 – erano convinti che una cosacosì strana, complessa e assurda dovesse pur esistere.

La loro convinzione di ricercatori si basava sul solo ragionamento, sull’intuizionecongetturale e su un’ipotesi configurativa che ben coniugava ragione e immaginazione. Non era la prima volta che la conoscenza progrediva in questa maniera. Neglianni Trenta, P. Dirac aveva ipotizzato l’esistenza dei “buchi neri” servendosi di puri ragionamenti congetturali e d’efficaci metafore, il medium che oscilla tra concettoe immagine e che permette all’immaginazione d’interagire con l’intelletto e la ragione.

Il quid8 così bizzarro e fantasioso di Ruelle e Takens era l’«attrattore strano» che E. Lorenz aveva già individuato e raffigurato con delle traiettorie a spirale altamente instabili; queste, raggiunto un certo punto critico d’instabilità, cambia- vano direzione e si aggrovigliavano senza intersecarsi mai assumendo la forma delle ali di una farfalla.

Il loro attrattore aveva la dimensione e le caratteristiche dei numeri frattali diB. Mandelbrot: la frazionarietà del finito che si moltiplica instabilmente sfumandosi in un infinito che pur espandendosi e aggrovigliandosi non interseca mai le propriespire, e passa dal determinato all’indeterminato fino ad azzerare grandezze diqualsiasi tipo.

L’instabilità rende così impossibile una predizione determinata nel tempo che esclude il proprio contrario. Infatti, sulla base dell’esponente di Ljapunov o del”numero che misura le qualità topologiche corrispondenti a concetti comel’imprevedibilità”9, stranamente si registrano impulsi con sviluppi imprevedibilmente casuali e precisi che conducono alla casualità o alla stabilità.

guesti numeri cioè forniscono “in un sistema un modo per misurare gli effetti conflittuali dello stiramento, della concentrazione e del piegamento nello spazio delle fasi di un attrattore”l0 e mostrano come la ristrutturazione dello spazio delle fasi crei attrattori la cui analisi mostra ” vividamente come alcuni sistemi potessero creare disordine in una direzione restando al tempo stesso ordinati e metodici in un’altra”ll. Se il numero ha un esponente maggiore di zero significa “stiramento”,minore di zero “contrazione”, esattamente zero un’«orbita periodica», punto fissoo “esponenti tutti negativi […] uno stato stazionario finale”.
La razionalità ha cambiato look e fa trasparire le sue origini irrazionali. Siamo

nel campo di una nuova razionalità, una razionalità paradossale, irrazionale, capacedi coniugare simultaneamente gli opposti come accade nella logica temporale del “tempuscolo” e dell’affermazione che non conosce mai una negazione.”Larazionalità è solo irrazionalità imbrigliata”, dice Bas C. Van Fraassen. È la nuova razionalità che pensa i mondi e i saperi nei limiti infondati e illimitati della con-

page18image12912tingenza e dello stupore materiale fondante il gioco del tertium datur, dellecontraddizioni e contra-dizioni che, intersecantisi e interagenti nell’unità plurale, dinamica e paradossale del simbolo, fluiscono e fluttuano come corpi browniani”nell’ambito di una concezione sperimentale – e quindi materiale – del mondo”.12

È una sperimentalità che appunto perché affonda nella materialità storica eprocessuale del mondo non può non essere dirompente, eversiva e affatto ricondu-cibile a una sperimentalità canonica e codificata. Quasi sempre, anzi, è in contrasto con l’ordine del sistema e lo destabilizza.

“L’idea di sperimentalità (del verso, per esempio) affligge più di un critico che porta sulla sua pelle una serie cicatrizzata delle ferite, imposte dall’immagine fissa della <tradizione>, dalla traducibilità di essa come ordine […] in una lettura dei versi più recenti di Antonino Contiliano (…) <la contingenza e lo stupore>, a cui essi siaffidano, appartengono a emblemi comportamentali di esplicita educazione al percorso anomalo attorno a ciò che si dice verso di poesia, dove si catturanoeversioni e sogni”.13

È un materialismo sperimentale della contraddizione e della contra-dizione che, appunto perché dinamico, è dunque, anche, possibilità aperta che si trasforma ede-forma, e che nei testi dei poeti soprattutto dà forma all’ambivalenza dell’indeterminazione e all’impensabilità pensabile dei paradossi. E il materialismo sperimentale che vede, ascolta, tocca, assapora gli scarti e le eccedenze di senso tra la rottura del codice e il meta-phorein del senso stesso e si fa azione, azione delle emozioni e del pensiero progettante nel contesto storico e dialettico, senza dimen- ticare che anche in un mondo dell’economia globale e dematerializzata lo scontrodi classe non ha cessato di esistere. Anzi è qui che il senso che circola nei versidel dis-corso della poesia e della realtà politica che in essa agisce, retroagisce eritrova le sue riaperture di rinnovata azione.

È ancora Domenico Cara, per esempio, che ne L’Utopia di Hannah Arendt (lanostra raccolta di testi poetici del 1991), coglie alla base del richiamo alla Arendt”la comunicazione politica di interrogare gli accadimenti, l’angoscia delle azionideformanti della contemporaneità, nel dubbio e nella logica dell’ambiguità a cui essaè sensibilmente sottoposta […] le varie dissonanze esistenziali […] la rivoluzionegeostorica e l’altra serie di conflitti in cui ognuno di noi agisce o resta aggredito daglistupori convenzionali o meno”14.

Nessun misticismo metafisico dunque nella poesia e nel pensiero della nuova razionalità che nella paradossalità del materialismo della con-tingenza richiama, rinnovandone la funzione, il simbolo e l’allegoria, l’indeterminazione, gli scarti, ilparadosso, le eccedenze di senso e la dialettica concreta di prassi-teoria-prassi.

Il simbolismo qui non è la quiete pacificata e metafisica dell’unità dell’essere bensì la pluralità sistemica, complessa e non lineare della possibilità materiale del reale dicui l’allegoria può rappresentare e configurare la hybris della ribellione e dell’ironi/ ea. La hybris può essere il rifiuto permanente che attacca e corrode l’ordine statico che, cristallizzato, intrappola e blocca gli eventi della con-tingenza e i paradossi,lì dove il tempo, invece, e lo stupore della temporalizzazione che li concretizza, è invece “immagine mobile dell’eternità, processo perenne di trasformazione, flusso e riflusso”15 che condiziona la vita e il realizzarsi delle sue forme nelle cose e negli esseri.

3. La con-tingenza, la levis imutatio, i sentieri ininterrotti

È un’esperienza della contingenza come con-tingenza, nesso e soglia che, comeha osservato Vanessa Ambroseccheo analizzando i testi della nostra raccoltaL’Utopia di Hannah Arendt, significa anche legame paradossale: “Ma proprio l’esperienza d’amore, tra desiderio d’eterno e trepida precarietà, ci rende rationemdella contingenza, ci fa scienti del nostro vivere – sulla – soglia. Qui esistere è solola ripetuta memoria degli istanti, e l’eterno agli uomini concesso è la consapevolezza della precarietà. Un’epoca segnata dal <congedo dell’eternità> rivela così la perennecondizione di una <eternità del congedo>”.16

Severino Kirkegaard, ricorda Giuseppe Modica di Fede libertà peccato, dice cheil paradosso è la passione del pensiero sebbene, in qualche passaggio dei suoiPapirer, lo stesso filosofo danese vedesse il paradosso come un fatto negativo. “Inuna pagina giovanile dei Papirer al paradosso viene attribuita una curvaturanegativa allorché esso è identificato con l’incompiutezza del pensiero, col pensieroche non è pervenuto al proprio compimento […] E però, nella medesima pagina, ilparadosso è definito come <il vero pathos della vita intellettuale>, ciò che ne prospetta una lettura positiva. E infatti, sostenere che il paradosso è la passionedel pensiero – come recitano le Briciole – significa non già che esso sia la negazione del pensiero, bensì che ne è la provocazione del dissolvimento coincidente con il suocompimento e consistente nel <voler scoprire qualcosa ch’esso non può pensare>: <il paradosso è la passione del pensiero…>”.17

H. Bergson, il filosofo dell’élan vitale, per esempio, nel corso delle sue ricerchesui risultati della metafisica rappresentativa del “cristallo” e dei “solidi”, ricordavache “Nessuna precisione razionale potrà pretendere di contenere di pi”18 dell’impre- cisione metafisica della vaghezza e delle sfumature della certezza “fenomenologica” che si manifesta soprattutto come pluralità e complessità fluida e sonora, raccontabilepiù con le immagini poetiche che con i concetti della ratio calcolante.

In questo nuovo cammino verso il divenire e la temporalità dell’essere, per farne emergere tutta la concreta con-tingenza attraverso l’ac-cadere degli eventi, la poesia e la scienza, ma soprattutto la poesia continua a percorrere il sentiero, in veritàmai abbandonato, non lineare né graduale delle possibilità del “tra” delle tracce multiple dell’infinito stesso che s’invasa e retifica nel finito mantenendone aperte tutte le sfumature e le virtualità.

Esemplare, in questa direzione, ci sembra, il testo de gesuita del SeicentoAthanasius Kircher:

“Tibi vero gratias agam qua clamore? Amore”19.
La poesia, poi, configura quest’infinito divenire e temporale dell’essere con i versiche lo de-clinano nel ritmo “caotico” dei testi contemporanei mediante la simulazionelinguistica e l’uso ad hoc degli strumenti della retorica, così come anche le scienze in genere, tentano di fare con l’applicazione dei loro modelli interpretativi.

I modelli scientifici, poi, non registrano effetti ed eventi meno paradossali dei versi degli stessi poeti che impiegano le figure della vecchia e della nuova retorica: imetaplasmi (variazioni che riguardano le parole a livello sonoro o grafico), lemetatassi (variazioni che riguardano la struttura della frase), i metasememi(variazioni che riguardano le parole a livello di contenuti) e i metalogismi (variazioniche riguardano il valore logico delle frasi).

Il pensiero scientifico ricorre ad immagini e diagrammi non meno sconcertantie meravigliosi di quelli costruiti dagli ossimori poetici che all’immaginazione, all’immagine, all’intuizione e alla logica j1oue, affidano ciò che di per sé non può essere catturato e definito dai concetti.

Per non rimanere nella sola astrazione simbolica del linguaggio, rimandiamo agli esempi più diffusi dalla letteratura del settore: il fiocco di neve di von Kock (“una linea di lunghezza infinita delimitata in un’area finita”), la polvere di Cantor (“unnumero infinito di punti, ma con lunghezza totale zero”), la spugna di Menger (“un solido con superficie infinita e volume zero”).

Cantor e il poeta Kircher, modificando lievemente, sottraendo, un elemento del testo – la parola (clamore) nel verso del poeta e un dato insieme (la linea) nell’insieme dei punti per il matematico – hanno ottenuto e attualizzato, paradossalmente, nuove referenzialità semantiche.

La levis immutatio, nella poesia e nella letteratura, per esempio, è uno deglistrumenti retorici che producono eventi singolari alla stessa stregua di quelli prodotti dall’effetto farfalla nel campo delle scienze che studiano i processi dinamici del mondo fisico.

L’una nel campo letterario e l’altro nel campo dei fenomeni naturali e delle ricerca scientifica sono delle variazioni che, introdotte nei testi di pertinenza, produconorilevanti cambiamenti nella comprensione dei processi e dei prodotti dei rispettivi campi d’applicazione e d’indagine.

La levis immutatio, anzi, forse, si può definire come l’effetto farfalla della poesiaper gli stessi effetti vaganti che provoca allorquando modifica qualche variabile testuale: un termine, il gioco delle variazioni della sua posizione sintagmatica o le modifiche metalogiche, ecc..

L’effetto farfalla, noto nelle scienze della complessità come sensibilità alle condizioni di partenza di uno stato di cose, agisce nei processi dei fenomeni naturalie, come succede nei processi dei testi linguistici modificati dalla levis immutatio,produce accadimenti aleatori e imprevedibili, ma perfettamente interpretabili, significanti e storici. D’altronde, nella filosofia moderna, non è più pensabile l’accadere degli eventi al di fuori della con-tingenza, come non è più possibilepensare alla stessa con-tingenza come a un semplice apparire dell’essenza di un essere che dovrebbe avere una struttura universale e necessaria.

“In realtà l’essere non è se non come epoché: se si vuole, l’essere non è altro che la sua storia, la sua epoca. Le epoche non sono, per esempio, confrontabili l’unacon l’altra, quasi che fossero diversi modi di manifestarsi-celarsi di un essere peraltro totalmente dato, in qualche modo <esistente>. L’essere non è se nonl’illuminazione dell’ambito entro cui gli enti appaiono […]un evento permanentemen-te in via di accadere…in cui Heidegger adopera Wesen (essenze) non come sostantivo ma infinito verbale. [… ]. Domandare ontologicamente l’essenza delle cose non puòsignificare solo riconoscerle nel loro carattere eventuale; ma, più coerentemente, riconoscerle come evento dell’essere”20. Gli eventi dipendenti, infatti, sono legati-associati da rapporti tali che ne fanno una rete fattuale e logica spazialmente e temporalmente osservabile, immaginabile e leggibile, sebbene tutte le condizioni non siano rappresentabili simultaneamente.

La levis immutatio è una figura retorica che, alterando anche la struttura di unsolo elemento linguistico del testo o di un suo sintagma, ecc., pone il problema diuna ri-composizione bricolage degli elementi e della ri-semantizzazione della forma. Modificando il suono, il ritmo, i significati e i sensi del testo, la chiave retorica apre le nuove possibilità di vita e di realtà contenute nella miscela del testo stessoe del tempo-kairos che lo fonda come l’essere in permanente metamorfosi.

Il kairos è il tempo che si fenomenizza come con-tingente, stocastico ma opportunamente equilibrato e descrivibile, dicibile, u-dibile come equilibrio mobileche permette di dimostrare e argomentare gli eventi reali come se fossero re-aie (a),il dire-l’aleatorio, il casoIla struttura che emerge dal “caos”, l’alfabeto del clinamendegli atomi lucreziani danzante in “incerto tempore, incertisque locis”.

4. Kairos, allegoria, levis immutatio e tertium datur

La levis immutatio, così, assume una funzione che va oltre il semplice ricono-scimento di figura retorica dell’elocutio. Essa, oltre il simbolismo testuale e semiotico, fa suonare le corde materiali dell’allegoria che interroga la vita, fa parlarel’indicibile e l’ineffabile e ironizza la storia portandone alla deriva i frammenti delsistema, le contraddizioni e le contra-dizioni materiali pubbliche e private che leparole del testo processano nel discorso.

Il frammento, però, lungi dall’essere fine a se stesso e un piano senza relazioni, avvia una nuova interrogazione “nell’organ1cità del lessico e nella parola contestualizzata. Ogni qualvolta la parola sembra richiedere un chiarimento va interpretata come una cosa nuova, mai fissa nelle sfumature e di significato cangiante”.21

L’allegoria, infatti, unitamente alle paradossalità logiche e alla messa in scenadell’ironia provocata dalla levis immutatio che deforma linguaggio e logica, fa esplodere il “simbolismo” e slega i “frammenti” dei termini del textum allorquando questi sono pensati come riuniti in un’unità pacificata o in un intreccio relazionale rettilineo, cristallizzato e naturalizzato. E ciò sia che riguardi il tessuto della vitasia quello della società storica elevandolo a valore di verità universale e necessario.”Nell’allegoria, per contro, il frammento resta tale, permane nella sua separatezza.L’allegoria è al di là del bello. <Le allegorie sono, nel regno del pensiero, quello chele rovine sono nel regno delle cose>. [….]. Uno strano rapporto ch’è di separazionee non meno di congiunzione; meglio: ch’è di separata congiunzione, di con giunta separazione. […].È necessario dunque pensare l’identità e la differenza, la differenza e l’identità, ma non risolvendo l’una nell’altra, l’altra nell’una, anzi mantenendo la loro opposizione, la loro contra-dizione – irresolubile. È necessario mantenere la menzogna della copula, e non mantenerla. […] è la necessità del nostro quotidiano: sempre che parliamo, diciamo la contra-dizione……22 L’allegoriaha dunque una sua rete di relazioni che trova n suo essere proprio nell’intreccio e nel crocevia del tempo-kairòs.

È come se il testo-tempo si trasformasse in un sistema in grado di generare infinite singolarità, eventi fuori sistema ed eccedenze di senso che non rispondonopiù neanche agli stessi canoni della logica del sistema che li ha messi al mondo,bensì alle logiche del sapere poetico-filosofico che si rapporta con” “n vago, n bianco,la miscela, n fiotto, n caos, le molteplicità adeli, […l non evidenti, mal definite, confuse”23 che sono propri del tempo potenziale come textum miscelato che include n tertium datur o n tertium “istruito”. È n nuovo sapere “ipocritico” o sottodeterminatoche non consente, senza annullare tuttavia le responsabilità etiche di ciascuno, lescelte della logica duale del solido o del cristallo o del terzo escluso.
“Il nuovo sapere richiede invece un terzo oggetto composito, che partecipi dell’ordine solido e del disordine fluido; questo oggetto si può immaginare allo stessomodo di una «fiamma gelata in tempi differenti». […] non più l’oggettività semplice del solido o i criteri del soggetto trascendentale, ma l’interferenza complessa traoggettivo e soggettivo ai margini fluttuanti dell’ordine e del disordine. Un sapere che può definirsi <meteorologico>[‘..I. Superamento del sapere della permanenza […1n nuovo sistema è un sistema multicentrato che regola n transito dell’energia e dell’informazione secondo un reticolo di intercettazioni e trasformazioni di potenziale […] una matematica floue, che partecipa dell’ambivalenza di una logica del terzo

escluso e del terzo incluso, in una matematica di origine topologica e qualitativa […]. Al di là della dinamica dell’esclusione, si annuncia ora un ritorno agli spazi multipli, al pensiero rigoroso del locale, della qualità e delle trasformazioni […l <dove> il tempo irreversibne coesiste con quello reversibne della dimensione della vita, ne è n reciproco contingente. Esiste però anche una terza cronia propriaricorda Serres – soltanto degli organismi viventi: il tempo dell’evoluzione della specie…24

Questo tempo-textum, nemico della logica duale del vero o del falso e della sintesidialettica che vorrebbe chiudere il processo della storia e ridurre tutto all’univer-salità dell’unicum, è recuperato così dalla poesia e dalla sua logica del tertium daturche valorizza e significa ciò che la logica dialettica tradizionale non legittima.

Ma questo tempo è anche n tempo plurale e molteplice della fisica dei fluidi e della filosofia del tempo-kairòs, n tempo opportuno del Weater di cui M. Serressottolinea la logica nomade che lo caratterizza e che, al contempo, è luogo di una testualità unitaria e dinamica del sapere come “<canto generale> in cui vengono abolite le distinzioni di genere e le divisioni della cultura in settori specialistici o iniziatici […]per cui lo scienziato è poeta e n poeta è, altresì, scienziato, intendendo la scienza come sapere complessivo e la poesia una <visuale> non specializzata delsapere, ma che, in quanto tale, implica una ben precisa coscienza e consapevolezza[…] poesia come ricerca sperimentale e riflessione sul sapere […] si pensi al<filosofare-scrivendo poesia> di Eschilo, Parmenide ed Empedocle, fino a Holderlin e Leopardi o a un contemporaneo come il siciliano Eduardo Cacciatore”.25

È la logica fluida del quasi-oggetto, del “terzo istruito” o incluso, presente neldivenire dell’essere-tempo-kairòs, che attraversa soprattutto la poesia oltre che ilsapere scientifico e filosofico.

“La filosofia dei corpi miscelati si addensa nella variazione e nella varietà, si pone prima e oltre una filosofia del soggetto, dell’oggetto e della sostanza, trova la sua ragione ragionevole di una terza istruzione, né scientifica, né culturale, al di fuori di ogni impulso di dominio.[ …] Del resto pensare, sintetizza felicemente Serres- sempre in Tiers-Instruitè evento creativo che compensa, che colma la lacunaontologica, a stretto contatto con l’ineliminabile presenza del nulla: che cosa chiamiamo dunque pensare? Compensare ciò che non è alla portata della ragione,portare la tara razionale tra l’esistenza e il nulla o il possibile, come se la ragionemettesse in relazione l’essere col non essere, o come se giustificasse ciò che è apartire da ciò che non è. Essa approda dunque alla creazione quasi divina e suppone una familiarità mortale con il nulla e il possibile. Questa pesata o proporzionecompensatoria colmano esattamente la lacuna ontologica.”26

È come affermare che c’è un dis-corso delle cose che pur non essendo né veroné falso, o incoerente rispetto a un modello dato, è tuttavia luogo di significanza e di senso; e ciò accade anche nella poesia e nel suo sapere relazionale associativo.

Le relazioni, che così si strutturano come parti di un sistema autopoietico e che si richiamano e si sostengono reciprocamente, oltre a generare eventi e campi semantici completi e coerenti, contemporaneamente, mettono in gioco ancherelazionalità leggibili a livelli diversi: certi e incerti, chiusi e aperti, contraddittorie non-contraddittori, paradossali. Sono nuove emergenze che pongono conoscenze e letture non prevedibili prima, come succede, per esempio, nel caso delle aritmiecosmiche.

La levis immutatio, alterando la lingua, facendo diventare l’alterazione stessacome un altro livello dello stesso messaggio poetico, favorisce e stimola inoltre questi stessi processi rivelatori. Essa è utilizzata nel mondo complesso della poesia e dellaletteratura per sprigionare nuovi campi semantici dai materiali linguistico-semioticiusati o riusati. Fa scattare delle biforcazioni che come onde di risacca vanno e vengono giocando sul piano dell’ambiguità, della polisemanticità e della plasticitàdella lingua per congetturare le possibilità infinite della temporalità dell’essere che si versa nella pluralità delle forme.

Nei testi toccati dalla levis immutatio ac-cadranno quindi cambiamenti determi-nati tali che provocheranno la nascita di altri universi significanti localmente con- tingenti e non leggibili univocamente. I nuovi testi, infatti, non sono analizzabili alla luce delle regole classiche della proporzione, della chiusura sintattica e semantica,dell’ordine dei metri, degli accenti, ecc., entro il ritmo di una ripetizione costante ed uniforme.

Essi sono portatori e provocatori di condizioni altre che propagano altri “effetti farfalla”, come succede al violino di Landau27 che dall’archetto può ricevere anche una sola nota dissonante con l’ultima, e così via, fino a capovolgere la musica nelrumore del dis-ordine caotico.

L’intreccio prodotto è, infatti, un’intersezione di livelli d’eventi reali e linguisticisu piani che interagiscono anche senza rispondere ai canoni del teorema fondamen-tale della logica classica elementare ovvero all’architettura di un sistema chiuso e coerente del verso classicamente finito e armonico, dove verità e “realizzabilità” o significabilità sono la condizione l’una dell’altra.

Le configurazioni artistiche e poetiche create con la levis immutatio hanno invece,tuttavia, una coerenza chiusa e aperta, perfetta e imperfetta, completa e incompleta,determinata e sfumata, contraddittoria e non-contraddittoria, com’è la stessa con-tingenza nella sua piena concretezza. Queste configurazioni, avendo relazioni governate non dalla logica formalizzata bensì da quelle associative, si rifanno, infatti,al principio del terzo incluso o “istruito” delle nuove logiche polivalenti, fluide e oscillanti del nostro tempo che non escludono né i paradossi né le sfumature delsenso e dell’hasard.

Più complesse e flessibili, queste logiche consentono di dar corpo a mondipossibili diversi e puntano sulla dimensione del divenire materiale come qualità,sulla modalità e sulla controfattualità delle ipotesi o, in termini quasi kripkiani, su quasi “opportuni stati di cose” o “punti-istanti” nello “spazio delle fasi”. E qui glistessi istanti del tempo, nella concretezza della con-tingenza, non sono più atomifissi bensì “tempuscolo” o momenti di transizione in cui gli eventi sono e non sono contemporaneamente.

Le informazioni non-lineari delle configurazioni poetiche che congetturano mondiimpossibili, invisibili e non rappresentabili, ma pensabili e immaginabili, sono così come i punti dinamici (gli istanti-tempuscoli del tempo contratti in quello spazio topologico) che transitano nello spazio delle fasi per poi esplodere nella de-clinazione dei versi: le onde che oscillano e creano dis-corsi, immagini e informazioni polisemiche permanentemente riconfigurantesi.

Per la poesia, lo spazio delle fasi costituisce il luogo dinamico dove il linguaggioporta al punto critico di rottura la danza dei sensi nominati o lasciati in ombra chenel generarsi passano da uno “stato” ad un altro servendosi della zona dell’interfaccia dell’immaginazione per mostrarsi ognuno nella propria novità simile e diversa.

Analogo ruolo gioca lo spazio delle fasi nelle ricerche scientifiche contemporanee.

Per la matematica, la fisica, la chimica, la biologia, ecc., dei fenomeni dinamici “Lo spazio delle fasi fornisce un modo per trasformare i numeri in immagini,astraendo ogni piccola parte d’informazione necessaria da un sistema di parti mobili,meccaniche o fluide, e disegnando una carta stradale flessibile di tutte le suepossibilità […]. Nello spazio delle fasi lo stato di conoscenza completo su un sistemadinamico in un singolo istante nel tempo si contrae ad un punto. Quel punto è ilsistema dinamico in quell’istante. Nell’istante successivo, però, il sistema sarà mutato, per quanto lievemente, e quindi il punto si muove”28

È come se dalle configurazioni poetiche, che si snodano nello scorrere dei versi,nascessero nuovi mondi con il loro carico di instabilità poietica e d’irrapresentabilità concettuale univoca, ma egualmente pieni di senso plurale e di plasticità polisemica.

In questi mondi, come negli universi della scienza, intreccio di relazioni piuttosto che di elementi semplici o di proprietà o di termini precisi e determinati, le aperturesono i versi che si de-clinano come il fluire di una corrente. È il fluire che tracciai propri sentieri strada scorrendo nel “tra” della transizione delle fasi che è processo e perciò anche discontinuità, caduta, deriva di frammenti e alle-goria.

Sono gli sbocchi della tensione ermeneutica ed euristica che attraversano il crocevia del linguaggio-logos come spazio topologico di torsione e deformazione sensibile alle variabili dell’«attrattore strano» della levis immutatio / effettofarfalla, la manipolazione che genera saperi e realtà possibili, congetturali, parziali, locali e coerenti-incoerenti.

In questa direzione, pensiamo, sia possibile leggere alcune esperienze di scritturae di logos che portano i segni della levis immutatio.

È il caso, per esempio, di Joyce che in Finnegans Wake descrive la conquista d’Isotta da parte di Tristano come se si trattasse di un’impresa di “peninsulatewar” 29.

Il “peninsulate”, qui, potrebbe essere, infatti, il campo semantico e di sensoprodotto dalla levis immutatio po(i)etica che altera la composizione iniziale dei termini usati per generare il peni-i (s) olate (un pen-man raffinato e introverso – isolate -) e/o il peni-is (o) late (un pene ritardatario), per questo l’impresa di Tristanopuò essere la guerra di un uomo introverso e/o la “guerra del pene ritardatario”.

L’impresa di Tristano appare così un’azione plurivoca che vive e cresce sulleparadossalità della con-tingenza della realtà e del linguaggio che la esprime e la comunica entro determinate scelte paradigmatiche e sintagmatiche, e modelli particolari di coerenza-incoerenza interrogativa ed euristica.

Un altro caso di levis immutatio potrebbe essere quello offertoci dallo scrittore siciliano Stefano Lanuzza nella sua opera Disiecta Membra.

L’aforista (apoftegma = definizione o determinazione per motti o sentenze) “è così il sofista, il poeta che scrive per toccare [… ] cartografare <guerre stellari, le guerre di posizione contro il Logos>30; il sesso anche un potenziamento e un investimento della genialità […l. La genialità fecondata dal sesso […l Seduzione mediante lagenialità […]. Insomma, la geni(t)alità”31.

La messa entro parentesi della lettera ”t” crea una zona di frontiera, una sogliacomune tra le due parole e i rispettivi campi, producendo referenzialità e significazioni difficilmente separabili, e, in ogni modo, non riconducibili ai soli significati condivisi e comuni che i termini hanno acquisito nel contesto sociale. Sulla soglia e nell’interfaccia del bordo allora vigila e agisce la scrittura e la lettura alle-gorica dei segni che sono traccia e memoria di un intreccio che si s-tende e complessifica.

L’estensione della significabilità ha, infatti, un campo più lungo e comprensivo dei significati logici stessi considerati come predicati semantici pertinenti o come semplici calcoli proposizionali formali, se fossero tradotte in formule ben formate.

Qui, l’autore fa esplodere il campo radicale-semico delle parole (le scompone e, ridefinendole, genera nuove costruzioni di senso) facendo riflettere le zone oscuree silenziose del reale come rifrazioni, così come aveva fatto Goethe quando ha usatoil prisma per definire il colore come un “valore dell’ombra”.

I tagli del linguaggio, la scomposizione e la ricomposizione che dividono euniscono in forma nuova ciò che è stato frantumato sono le aperture dinamiche che lasciano il passaggio a ciò che per mancanza di corrispondenza, adaequatio,tra cose e linguaggio/i, non è, infatti, mai registrabile né dalla rappresentazione, né dall’immagine, ma è tuttavia poeticamente dicibile tra l’ordine e il disordine del verso.

Valéry, infatti, dicendo che in poesia “Ciò che non è ineffabile non ha alcuna importanza” e che “Il problema della ricerca poetica consiste della moltiplicazione di sintassi, musica e convenzioni”32, ha già posto il problema e una possibile ipotesi di lavoro di rapportarsi a ciò che ineffabile è anche dicibile, u-dibile, raccontabile tramite il linguaggio simbolico e sperimentale che attraversa la vita e le cose.

“La procedura poetica familiare a Valery, che esige una preliminare, sistematicaeliminazione della parole, tende ad arrangiare l’arbitrarietà della forma con quella del senso. La fisicità del linguaggio si combina così – nella poesia – con le relazionicomplesse tra significazioni: <il fondo diviene l’atto della forma>, come per la matematica e la musica. Tutto ciò determina figure di tempo: il verso, per esempio, <è un’attesa organizzata che fa prevedere la sua durata>. Il gioco tra il disordine provocato e l’ordine imposto rende bene la bellezza del verso e la sua qualitàinventiva; come tutto ciò che vive nella letteratura il bel verso deve produrre un’impressione di disordine e di irregolarità. La miscela che emerge dal nulla eproduce il novum è oggetto di numerose narrazioni…”.33

Gli esempi, tratti dalla saggistica o da altre opere della letteratura contempora- nea, potrebbero continuare. La non adaequatio tra linguaggio e cose, infatti, fascattare negli scrittori i meccanismi dell’ambivalenza e/o della plurivalenza che si trasforma così nella non-valenza delle funzioni di verità del codice; si trasforma anche nell’ambiguità sistematica del discorso narrativo che si fa indecidibilità equindi assurdo e paradosso sostenuti dall’intreccio tagliato di logiche e linguaggi diversi per dire e u-dire l’unità molteplice della realtà e della cultura.

Ciò è riscontrabile nella poesia, nel teatro e nella narrativa contemporanea(pensiamo anche al mondo della produzione poetica e letteraria siciliana) dove il fenomeno si manifesta nella forma del dire po(i)etico che struttura paradossalità e discorsi disambiguati e precisi, linguaggi lineari e non lineari che se-ducono neldelirio dei testi come nell’assurdo o nei campi dell’ambiguità e dell’ambivalenza cheli attraversa. Pensiamo al caso di Luigi Pirandello di Uno Nessuno e Centomila o diL’olivo e l’olivastro di Vincenzo Consolo e, soprattutto, alle precedenti opere dellostesso Consolo.

Recentemente dei due autori si sono occupati Salvatore Vecchio e Nicolò Messina, e alla lettura diretta dei loro lavori (qui non utilizzati adeguatamente perragioni di spazio) rimandiamo il lettore che volesse approfondire gli spunti offerti

È in quest’inarrestabile errare appunto, allora, che il narrare, l’interrogare e lapoesia trovano radici e cieli; è in questo camminare, in cui la sosta lungo i crocevia dei sentieri è più un movimento con-tingente in attesa che un vero e proprioarrestarsi, che la letteratura e la poesia perpetuano il loro legame eterno con la vita e fondano il proprio sapere e la propria conoscenza. L’eterno, però, qui è !’infinita temporalizzazione del tempo che processualizza !’intreccio della vita e della storiamateriale degli uomini che nelle diverse epoche, in ogni modo, non perdono la loroqualità di essere anche soggetti di azione e decisioni.

Scrive Irene Marusso, a proposito dei testi di poesia raccolti nel nostro libroL’Utopia di Hannah Arendt, “L’intreccio dei linguaggi in Contiliano non ha però solo il compito di renderci una sensibilità ai limiti della <demenzialità> e del <delirio>; esso, infatti, risponde anche al dettato della sua poetica che mira a cogliere l’unitàmolteplice della cultura così come unità molteplice è la realtà del tempo che si snodanella complessità non lineare degli eventi e ri-simulati nei versi della sua stessapoesia [… ] Lo stupore di questa <festa dell’apparenza>, per dirla con la Arendt, cuiil Nostro dedica il libro, non mira allora all’ornamento bensì a far sprigionare laricchezza del novum di tutte le virtualità semantiche che possono scaturire dalle combinazioni lessicali, le quali a loro volta vengono declinate nel verso per scrivere poeticamente la con-tingenza e il re-aIe molteplice e intrecciato del tempo”.36

È, poi, la riflessione su questo tipo d’operazione, allora, che porta a considerare il reale come textum del re-ale(a), con-tingenza e miscela, soglie che s’intrecciano e fluiscono come rete di relazioni determinate e indeterminate, a volte anche neutre, piuttosto che insieme d’elementi o concetti precisi secondo il canone della vecchia logica.

La zona di frontiera, il “tra”, !’interfaccia, che unisce e divide gli elementi verbali di diversa categorialità, attiva infatti bordi d’intersecazione-transizione significativache vede agire e interagire contemporaneamente le somiglianze, le differenze e ilcambiare forma delle cose mentre conservano la memoria del loro divenire.

La cristallizzazione, la dissolvenza e lo spaesamento degli eventi semici, purdifferenziandosi, continuano a mantenere legami mobili con la radice comune e a fornire continue informazioni semantiche altre e oltre quelle contenute nei costruttilinguistici di partenza.

È la violazione del codice, delle parole, della lingua, delle sintassi e della loro interpretazione che, riproponendo la testualità e la contestualità delle relazioni fluide e mobili degli eventi, rimette, allora, in gioco la possibilità di sensi pluralipresenti-assenti nella poesia.

È come se intervenisse un metalinguaggio che, non avendo tutti termini definiti e proceduralmente decisi per decifrare quanto emerso, interpreta e significa il vecchio livello linguistico creandone uno nuovo senza esaurirvisi ed esaurirlo.

È come se la violazione disseminasse le tante tracce sprigionatesi nello spazio delle fasi e svolgesse, sistematicamente e non sistematicamente, caoticamente, itanti sentieri, i punti dinamici (gli istanti/tempuscolo) del tempo contenuti nei passiprecedenti sottoponendoli a torsioni e tensioni che comunque ci dicono d’altri luoghi del divenire.

5. Effetti della ricerca po(i)etica

Nell’ottica in cui è posta la levis immutatio/effettofa/falla è possibile collocare, forse, anche, il repertorio degli strumenti retorici della rima, del metro, del ritmo, degli accenti, ecc., per ascoltarli oltre il suono delle parole nelle sfumature, nelle ombre e nelle altre cose altrimenti non percepibili.

L’applicazione di tutta la strumentazione retorica, introducendo variazioni fra gli elementi e le relazioni del testo, genera infatti una nuova miscela d’elementi, sintagmi e mappe semantiche nodali che consentono di aprire altri varchi originali, impossibili, virtuali e paradossali (inconcepibili per la logica comune ma vivi e significativi per altre logiche).

Sono i molti e differenti piani della significazione paradossale, infatti, che entranoin gioco e generano dimensioni conoscitive e comunicative particolari di cui solo le nuove logiche della complessità contemporanea possono rendere notizia.

Si origina così, insieme (anche) un certo piacere intellettuale ed estetico che la logica comune, per esempio, non potrebbe assicurare: è il piacere dell’ambiguità e dell’ambivalenza semantica, delle biforcazioni e delle catastrofi cui sono sottoposti i versi che si versano dal caosmico mondo delle possibilità, della comunicazione polisemica, della contraddizione e dell’ossimoro, ovvero, ripetendo Novalis, della razionalità al quadrato o del superamento del principio di contraddizione.

Il caosmico sarebbe così il “caos razionale”: l’acuta follia dell’ossimoro del poeta, come il cosmos sarebbe un’unimulti compossibilità vivisezionata, un particolare edeterminato mondo razionale-non-razionale, paradossale. L’ossimoro dello scienziato.37

L’ossimoro del poeta e quello dello scienziato, uno dei mondi possibile-impos- sibile, razionale-irrazionale, razionale-immaginario che coniuga e declina realtà e sogno, cose e configurazioni, fenomeni e modelli, è opera, infatti, della comuneazione poietica che organizza e miscela livelli diversi e anche paradossali dell’essere plurale.

L’organizzazione poietica del complesso intreccio dei livelli è tale, poi, che,simulando la relazione ologrammatica testuale semiotico-simbolica, aperta e impre- vedibile dell’essere stesso come testo, può superare la stessa immagine del sogno di cui porta traccia. L’immagine onirica, infatti, ha un certo rapporto di verosimiglianza con i fatti rappresentati o schematizzati che, invece, non si trova nei mondi dell’ossimoro, in quanto gli eventi che vi ac-cadono sono assolutamente imprevedibili e quindi non rappresentabili né immagazinabili. pertanto, nella memoria di nessuno.

Questa eccedenza di re-altà e di senso per alcuni aspetti simulata e paradossale, in ogni modo, trova il proprio ac-cadere nello scorrere de-clinato e variegato dei versi dei poeti e nelle circo-stanze che accolgono gli eventi “farfalla” connessi agli stessitesti naturali o artificiali.

La poiesis ha infatti una praxis che, in quanto legata ad un reticolo verbale preesistente e alla parola d’altri soggetti via via emergenti nel flusso temporale, produce atti, relazioni, scambi imprevedibili quanto ambigui e tuttavia leggibili perché aperti ad una determinata significazione sempre inventiva, scopritrice, e perciò stesso aperta ad una rinnovata polisemia capace di oltrepassare la stessa verosimiglianza38onirica del sogno. Tutto ciò che appare nel sogno, infatti, ha un rapporto con i dativissuti che il cervello, la memoria, l’intelligenza, la coscienza e l’immaginazionehanno incamerato e rielaborato. “L’apparente disordine logico connaturato allo statodel sogno segnala infatti una proliferazione di figure mentali che, sebbene al di sotto della soglia di riferimento esterno, tramite la stessa libera attività associativa chesi sprigiona nel sogno stesso, si riconnettono alla materialità degli elementi che il cervello e la memoria hanno introiettato modificandone la combinazione. Si entracosì nella fabbrica dei processi della significazione onirica che si riallaccia agli schemi elaborati e conservati nella memoria dove giacciono i ricordi vissuti o solopensati/immaginati creando una vera topologia in cui gli elementi della veglia “si combinano in uno spazio qualitativo e in un tempo istantaneo, senza possibilità diandata e ritorno” 39, sfruttando le associazioni offerte dalle chiavi linguistico-sonore e logiche della retorica.

La rima, per esempio, “che tende a far percepire come simili, attraverso l’omofonia dei significanti, dei significati posti come differenti, il metro, che esprime frasisemanticamente differenti con frasi foniche simili, il ritmo, che dà appoggio all’impressione globale della regolarità del metro, gli accenti, che perdono la normale funzione d’elementi distintivi nella loro distribuzione metrica unitaria, assumono una funzione paradossalmente antifunzionale, oppongono il messaggio al codice al fine di obbligare il codice a trasformarsi”40, insieme con gli altri accorgimenti, è unmedium, infatti, che nei testi provoca effetti di torsione e biforcazione po(i)etici che sono assolutamente nuovi, imprevedibili e quindi non rappresentabili.

L’omofonia degli elementi che fa cogliere il dissimile come simile, che ac-cade comeun evento che crea più sensi di quanti ne nomina e dice, per esempio, costituisce un’alterazione topologica e irrazionale che, tuttavia, è anche un “tra” che media etransita il passaggio della pluralità delle cose e della plurisigniflcanza che circola nei testi in possibili configurazioni assolutamente nuove e inaspettate. Significati e sensisi trovano come in un crocevia o in una soglia plurima in attesa di una diramazione comunicativa potenzialmente pluridirezionale e, forse, visibili come se fossero dia- grammi di biforcazione o generazione di immagini frattali4l , i cosiddetti “insiemi di Julia”42 per esempio (le immagini sono create con il trattamento grafico-elettronico degli stessi frattali di Mandelbrot), che nel loro molteplice espandersi regolare- irregolare di ” separata congiunzione, congiunta separazione” sembrano richiamarela dialettica delle parti e dei frammenti di cui parla l’allegoria di Benjamin.

La litografia Liberazione di Escher o, forse, la stessa immagine frattale possono essere considerate, forse, come esempio rappresentativo e figurativo di tali processi. Infatti, come nella litografia la configurazione che via via si modifica conserva e diversifica l’identità e la differenza delle figure, e si fa spazio topologico di quasi-oggetti, oggetti determinati e indeterminati, di mondi irregolari e regolari, e di possibili referenze altre, così, anche nel caso dei testi, come si è potuto vedere già, la levis immutatio, introdotta l’alterazione, per esempio, nella parola – geni(t)alità – (come si è già visto precedentemente), conserva e modifica la comprensione del termine sia dell’intero testo in cui si trova. Essa introduce una zona di frontierache crea nuove e plurime combinazioni di senso, nonché altre simultanee virtualità soggette a possibili sviluppi.

Liberazione di Escher Immagine frattale classificata 041

6. La logica dell’et et, l’indeterminazione e le metafore

Ora, dette combinazioni che producono presenze e possibilità contemporanee dipiù significati sono leggibili e comprensibili solo con la logica dell’et et e delparadosso, la logica che lega i contrari e gli opposti e va oltre i limiti fissati dalle regole della pertinenza formale della coerenza, della dimostrabilità, della verità unicae universale della logica classica.

La logica classica dell’aut aut, oggettiva, univoca, capace di prevedibilità deterministica, di misure precise e costanti ha già mostrato i propri limiti anchenell’osservazione dei fenomeni quantistici; ha fatto vedere altresì anche la necessitàdi utilizzare, a volte, procedimenti più argomentativi, metaforici (tipico è il casodell’individuazione dei “buchi neri”), probabilistici, insicuri e qualitativi (tipico è ilcaso della misurazione dello spin) che dimostrativi, razionali e certi.

La logica bivalente allora perde sia il monopolio dell’indagine sul divenire dell’essere sia il suo carattere d’universalità: le sue regole diventano relative e razionali e sono significative solo in rapporto ad un modello tipicamente determinato.

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Il relativismo, naturalmente, non annulla né la capacità di determinare le conoscenze né tanto meno la capacità della comunicazione intersoggettiva. Siarricchiscono soltanto gli orizzonti del senso e della significanza.

Nasce così, per esempio, la logica quantistica, la logica della microfisica che mette in crisi alcuni dei capisaldi della scienza e della logica classica: il concetto di cosa, d’oggetto ( basti pensare agli eventi descritti come campi, quanta, onde,virtualità, ecc.) e di soggetto-spettatore.

L’universalità delle leggi fisiche cede il passo alla determinazione relativistica. Non è più possibile avere, per esempio, nei processi che toccano le particelleluminose e le loro possibilità di configurazione, la misura simultanea di due o più grandezze come la posizione e la velocità di un elettrone.
La teoria della relatività di Einstein aveva già messo in evidenza i limiti delle regole della fisica classica lì dove il principio della somma e della sottrazione delle grandezze non poteva più essere applicato ai fenomeni luminosi. Qui, il principio, infatti, è falsificato: la velocità della luce è un fenomeno limite e non risponde piùai risultati delle operazioni consolidate dai calcoli classici. Somme e sottrazioni di eventi luminosi, misurati alla velocità della luce, o prossime alla stessa velocità della luce, non registrano più né l’aumento né la diminuzione della velocità della luce stessa, che, in ogni modo, rimane sempre di 300.000 km il secondo.

Nell’universo delle operazioni logiche ed aritmetiche entra in crisi anche la regola della distribuzione della somma rispetto al prodotto.

È la fisica del “caos” quantistico che mette in crisi anche la validità universaledella legge della distribuzione della somma rispetto al prodotto. La misura (la quantizzazione, cioè il suo essere “su” o “giù” rispetto ai due assi spaziali x e y),per esempio, dello spin 43 di un elettrone, momento angolare intrinseco, non risponde alla previsione e alle modalità metriche della citata legge. La distribuzione, infatti,non può più essere determinata contemporaneamente sull’asse x e y, come invece ci si aspetterebbe se la regola della distribuzione fosse valida anche per questifenomeni. Il “su” o “giù”, inoltre, non sono più parametri metrico-formalizzati come richiesto e previsto dai procedimenti classici.page32image19360

Tuttavia, formalizzando il processo e indicando, per esempio, con P e ( Q o R) i valori e le congiunzioni logiche dello spin, da P e ( Q o R) non si può più inferire (P e Q) o ( P e R). ma solo P e ( Q e R ).

Vengono a cadere cioè le tradizionali attribuzioni inferenziali verofunzionali dei connettivi logici – e, o -.

Supposto, infatti, che P indichi il valore “su” dello spin sull’asse x, Q il valore “su” dello spin sull’asse y e R il valore “giù” dello spin sull’asse y, dalla verità dellaformula P e (Q e R ) non è più deducibile la verità della distribuzione logica ( P e Q) o (P e R).

Considerato ( P e Q) = A e ( P e R) = B, rispetto all’operatore “e”, si può costruire la seguente tavola di verità della congiunzione “e”,dove lo stesso operatore logico “e” non può però garantire sui quattro valori di veritàespressi dalla congiunzione logica neanche il primo ( già vero). perché dello spin di Q e R non si può affermare che è vero che sia sull’asse x come lo spin di P.

Considerato ( P e Q) =A e ( P e R) = B rispetto all’operatore logico “0”, si può ancora costruire la seguente tavola di verità della congiunzione “0”,dove lo stesso operatore logico “0” non può garantire i tre tradizionali valori diverità sui quattro possibili, perché anche per i tre valori di verità non si può garantire la simultaneità della posizione sia sull’asse x sia sull’asse y.

Un’altra svolta che segnala i limiti della visione e della logica classica èrappresentata dalla presenza delle energie negative individuate da Paul AudrienMaurice Dirac nella meccanica quantistica relativistica. Sono i cosiddetti “buchineri” che si comportano a tutti gli effetti come una particella “avente carica positiva +e (opposta a quella degli elettroni che vale -e). energia positiva e massa identicaa quella dell’elettrone””.

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Nel caso delle energie negative, non è solo il fatto che, contemporaneamente, comportandosi come cariche positive, mette in crisi il principio di non contraddizione della logica classica, è il fatto anche che l’intera visione razionale classica della realtà viene meno. È come se la razionalità fosse solo un’isoletta d’approdo che si è appena sedimentata e subito dopo dissolta, mentre l’irrazionale e il caos che ne costituiscono il fondo continuano ancora a provocare e a condizionarne i processi trasformazionali che si creano nelle aperture praticate dal possibile. È anche il fatto che Dirac, contrariamente alle procedure deduttive del metodo scientifico sperimentale galileano e cartesiano, per dimostrarne l’esistenza di quel quid ha impiegato ipotesi ad hoc e metafore che, invece, secondo il metodo deduttivo-sperimentale, non dovrebbero comparire nelle procedure scientifiche. Dirac, infatti, senza alcun supporto che non fosse quello argomentativo e quello della creatività po(i)etico- ipotetico-immaginativa, ha supposto “che nello spazio apparentemente vuoto tutte le possibili configurazioni ad energia negativa fossero in realtà occupate da elettroni.Per non contraddire tutto ciò che osserviamo con gli esperimenti di fisica atomica, Dirac suppose che questo «mare» di elettroni con energia negativa fosse in linea di principio non osservabile, nonostante le infinitamente grandi densità di energia e di carica elettrica. gueste ipotesi impedivano ad un normale elettrone con energia positiva di «cadere» in una configurazione ad energia negativa. Infatti, una legge empirica, scoperta da Wolfgang Pauli (1900-1958) qualche anno prima, afferma che in una data configurazione non può trovarsi più di un elettrone (principio di esclusione)”.45oggi, invece, non c’è procedere scientifico (dalle scienze alla matematica) che faccia a meno delle metafore. Robert May, nel simulare al computer la crescita di un’immaginaria popolazione di pesci come se fossero dei numeri, vedendo che la fluttuazione non si arrestava, per esempio, parla del “serpente dell’erba matematica”46. John Hubbad, per raffigurare la fluttuazione molecolare che rimane sospesa e concatenata in una rete di “minuscoli affioramenti” sospesi come in una tela, richiama la metafora usata dallo stesso Mandelbrot di “polimero del diavolo” 47 che gli servì per riferirsi alle intrinseche instabilità dell’insieme frattale principale dello stesso Mandelbrot.

D’altronde, persino l’AT (Aritmetica Tipografica) ha enunciati e formule ben formate che hanno delle variabili libere, aperte e variamente significabili, perché indeterminate ovvero non vincolate ai quantificatori esistenziali che, ove ci fossero,rimanderebbero agli oggetti, agli individui e agli stati di cose esistenti.

L’AT ha anche costrutti che, volendo per esempio esprimere la totalità, come nel caso degli enunciati che contengono variabili generiche che si riferiscono alla totalità in fieri (per chiuderla) rimangono egualmente aperti, indecidibili e, tuttavia,significanti,

Senza scandalo alcuno per la coerenza dell’aritmetica, anche qui, si parla disistemi m-incompleti (m, omega, è un indice che sta per la totalità dei numeri naturali) e della m-incoerenza.

“Un sistema è m-incompleto se tutte le stringhe di una famiglia piramidale sonoPag. 34teoremi, mentre la stringa-riassunto quantificata universalmente non è un teorema.[…]. La w-incoerenza è diversa dall’incoerenza. Questo tipo d’incoerenza, prodotta dall’opposizione tra una famiglia piramidale di teoremi, i quali, nel loro insieme, affermano che tutti i numeri naturali hanno una qualche proprietà, e un dato teorema che sembra affermare che non tutti i numeri naturali godono di quella proprietà, è stata chiamata w-incoerenza […] Per farsi un modello mentale di come stanno le cose, bisogna immaginare che vi siano alcuni numeri <extra> insospettati, chiamandoli non <naturali> ma soprannaturali, che non hanno numerali”48 come nel caso dell’espressione di una proprietà dell’addizione in generale e che, tuttavia, concretizzano situazioni, che sebbene rimangano aperte sono significanti in quanto né vere né false e perché poste in zona di frontiera. La zona di ” frontiera che separa l’insieme degli enunciati veri dall’insieme degli enunciati falsi è tutt’altro che lineare; è una frontiera con molte curve infide: una frontiera della quale i matematici hanno delineato alcuni tratti, qua e là, con un lavoro di centinaia di anni.”49

7. Le alterazioni logico-linguistiche e l’emergenze semantiche

La non linearità, la non oggettività, l’alterazione dei linguaggi e l’indeterminazione significante non è, dunque, come si può vedere, una dimensione che appartiene solo al mondo della poesia e della letteratura.

Ritornando alla scrittura, è ancora Joyce dell’Ulisse, ci sembra, il punto di riferimento per altri esempi chiarificatori di alterazioni linguistiche e costruttiproposizionali aperti e polisemici che giocano la significanza sull’omofonia e/o sualtre corde retoriche.

L’esempio si trova nel capitolo de “I mangiatori di loto”: Marta, amante di Bloom,usa il termine “word” per dire “ti chiamo ragazzaccio” (anziché amante) “perché quell’altro mondo (world anziché word) non mi piace”so.

Come si vede, l’intervento gioca sull’omofonia e l’allitterazione strutturale dei termini, che facendosi soglia, confine, bordo interno/esterno, generano la dissolvenza dei significati che si associano, si con-fondono, si ri-associano, si scambiano (sono ambivalenti) plurimizzando i sensi dei termini e del testo che li contiene.

La levis immutazio-effetto farfalla, governata da altre logiche, produce dunquenuove referenzialità informative sia sul piano espressivo-emozionale sia su quello concettuale.

Una leggera manomissione del testo, come si è visto, provoca una dissociazione e una riassociazione rimescolatrice dei termini e dei possibili significati tali da crearenuove reti semantiche e prospettare nuove ipotesi e soluzioni, così come si verificamediante le ripercussioni provocate dall’effetto farfalla nel mondo naturale della complessità dinamica.

La logica matematica, per esempio, si è servita del rimescolamento per percorrere nuovi itinerari e trovare informazioni e nuove soluzioni a vecchi problemi. Il rimescolamento, analogicamente, per gli effetti prodotti, richiama la somiglianza dei modi di procedere della poesia e della stessa matematica.

Il rimescolamento associativo e congetturale dei termini e dei significati nell’arte letteraria e poetica, infatti, richiama alla mente il principio del rimescolamento congetturale usato da G. Gentzen per dimostrare la coerenza della teoria dei numerio il contare l’insieme infinito e mostrame il volto contraddittorio: il numerodell’insieme infinito deve essere finito e infinito allo stesso tempo.

Solo una logica che accetta la contraddizione, come quella po(i)etica, può non respingere simili paradossalità.

L’approccio congetturale del “rimescolamento” è, si diceva, di Gerard Gentzen.Gentzen prese una parte dei numeri (per esempio lo zero e i numeri pari) per rappresentare tutti i numeri naturali, mentre l’altra parte (tutti i numeri dispari acominciare dal numero 1) per rappresentare un’altra categoria di numeri, quellitransfmiti, ecc.

Intervenendo e modificando la posizione degli elementi del sistema, quello deinumeri, il matematico ha generato altri numeri e altri modi di vedere e significare gli stessi numeri, così come, analogamente, avrebbe fatto il poeta con gli elementidel suo universo.

L’analogia e l’accostamento tra poesia e matematica mediante il “rimescolamento” vuole, qui, essere solo un modo per sottolineare come la congetturalità creativa,ottenuta tramite l’introduzione di variabili negli elementi e nella sintassi dei linguaggi, sia comune a questi mondi della ricerca, dell’espressione e dellacomunicazione (lontani solo apparentemente), e come, ricombinandoli, si possano generare nuove ipotesi configurative e seguire l’essere nel divenire dei suoi ac-cadimenti ed eventi.

Nel mondo matematico, inoltre, è ancora con il “teorema di limitazione” di Skolem-Lowenheim che si mostra come il gioco delle interpretazioni non valga soloper i testi della poesia e della letteratura in genere.

Aldo Giorgio Gargani così sintetizza il problema: “Portato sul piano di un linguaggio filosofico generalizzato, il teorema di Skolem-Lowenheim mostra che nessun simbo- lismo può autoidentificarsi e che soltanto le procedure costruttive nella loro effettiva applicazione, mediante decisioni inaugurali e intransitive, stabiliscono il significato di un’operazione sul simbolismo. E qui intransitivo significa che l’applicazione, ladecisione non devono conformarsi a un modello prestabilito […]. Dal teorema di Skolem-Lowenheim discende…data una proposizione vera o una classe di proposizioni vere nel mondo reale e in tutti i mondi possibili, tale proposizione o classe di proposizioni, pur rimanendo vere, sono suscettibili, entro una notazione logicamente normalizzata, di ricevere una varietà di interpretazioni praticamente infinita”51.

Il principio di rimescolamento e il teorema di limitazione ci dicono allora che se un modello e la sua teoria garantiscono le condizioni di verità delle loro proposizionidentro il modello stesso e in tutti i mondi possibili, tuttavia, non determinano néil referente concreto dell’evento individuale né i diversi modi in cui si puòconcretizzare e dire il divenire dell’essere e delle sue possibilità. Questo rimane, infatti, comunque,un testo infinitamente aperto, imprevedibile e plurale,”epocalmente” dicibile.

8. Il testo, ologramma multiverso, complesso e paradossale

Un testo non è mai una somma di parti bensì un ologramma dinamico, una struttura complessa di elementi e di relazioni che s’intersecano vicendevolmente, e che, modificati da interventi diretti, indiretti e contestualizzati, danno origine atesti individuali, modelli di realtà e di verità che accettano la polimorfia e la plasticitàdel loro essere.

È ciò che succede nel mondo letterario e poetico allorquando si crea e si leggeun testo a partire da interventi che ne modificano le condizioni iniziali o in itinere, e le parole, i sintagmi e la sintassi, ecc., si prestano a più possibilità di lettura ecomprensione differenziate.

Allorquando, con gradi di “libertà” diversi, si creano variabili che si allontanano dal punto di partenza sintattico e logico-semantico appartenente a quel determinato mondo, infatti, si originano universi incrociati che, paradossalmente, fusi l’unonell’altro o ripiegati su se stessi, a livelli diversi, convivono interagendo e concretizzanomondi “reali” con-tingenti e possibili.

La non prevedibilità perfetta, dovuta al fatto che non possiamo rappresentarcil’infinito potenziale e tutto il suo tempo multiversum in una datità attuale o in una rappresentazione data e oggettiva, tuttavia, non esclude la determinabilità degli eventi e la costruzione di un loro senso, qualunque sia il testo che si configura nella con-tingenza dell’evento che ac-cade.

Il mondo del caos/complessità, come quello della poesia, tutt’altro che irrazio- nale, ricorsivamente, per salti, coniuga così, fluente e fluttuante, ordinato e dis-ordinato, la pluralità degli opposti e dei contrari, il sistema e l’assenza di sistema.Anzi, le costanti e le variabili, le regole e l’assenza di regole, il necessario e il possibile, la turbolenza e la coerenza, il determinato e l’indeterminato, la quiete e il movimento non sono leggibili più come coppie di opposti dialettici bensì comerelazioni interattive, circolari e aperte che si con-fondono e diversificano.

Paradosso e complessità, ancora una volta, attraversano e nutrono la poesia e l’arte: sistematico e non sistematico, linearità e non linearità vi coagiscono.

“Ogni fatto <individuale>, ogni <quasi quasi> in un testo artistico – come osserva Lotman -, è il complicarsi della struttura di base mediante una struttura aggiunta che complessifica l’intreccio stesso. Il testo nasce come intersecazione di almeno due sistemi, ciascuno dei quali nel contesto ha un particolare significato. Quanto più regolarmente s’intersecano in un dato punto strutturale, tanta maggiore quantità di significati otterrà quest’elemento, e più individuale, non sistematico esso apparirà. Il non sistematico nella vita si riflette nell’arte come polisistematico.”52

La ricorsività degli elementi e delle intersecazioni anziché ripetere l’identità trasforma la stessa in un moltiplicatore di somiglianze approssimate e di differenze infinite.

Lotman, esaminando le strutture semiotiche, dice che “la complessità di una struttura artistica dipende in modo direttamente proporzionale dalla complessitàdell’informazione trasmessa. […]. Il linguaggio poetico si presenta come una struttura di gran complessità. […]. E se il volume d’informazione contenuto nel linguaggio poetico e nel linguaggio comune fosse uguale, il linguaggio artistico perderebbe il diritto di esistere e, indiscutibilmente, morirebbe. La questione si pone però diversamente: la complessa struttura artistica, creata col materiale della lingua, permette di trasmettere un volume d’informazione che sarebbe assolutamente impossibile trasmettere con i mezzi della struttura linguistica normale. Deriva da ciò che la data informazione (il contenuto) non può esistere, né essere trasmessa fuori della struttura data. […]. In tal modo, la metodologia dell’esame del <contenuto ideologico> separato, e delle <particolarità artistiche pure separate>, tanto pervicacemente in uso nella pratica scolastica, si fonda sull’incomprensione delle basi dell’arte ed è nociva, in quanto induce nel lettore di massa una falsa rappresentazione della letteratura come di un mezzo per esportare in modo più lungo e abbellito gli stessi pensieri che si possono esprimere in modo breve e semplice.”53

Occorre, quindi, stabilire solo delle coordinate di riferimento e delle condivisioni possibili utilizzando tutte le condizioni di senso disponibili, comprese le credenzee le chiavi di trasmissione e lettura, per vedere la poesia come un mondo complessodove la ragione e l’ìmmaginazione, il previsto e il caso sono l’uno la ragione dell’altro e viceversa.

Il mondo della poesia e il tempo dinamico (kairos) che la fonda e l’attraversa, come ha detto A. N. Kolmogorov, l’accademico sovietico ricordato anche da J. M.Lotman in Struttura del testo poetico, hanno una processualità esponenziale cheè tipica dei sistemi complessi.

Ciò che fa di uno scritto un testo di poesia, infatti, dice Kolmogorov, è lapolisemia, ossia la plasticità della “lingua creola”, che se sopraffatta dall’informa- zione non genera poeticità. “[…] la creazione poetica è possibile solo finché la quantità d’informazione utilizzata per le limitazioni (6) non supera j3 < h2 , la plasticità del testo. In una lingua con J3 ❓ h2 la creazione poetica è impossibile”.54

Se il tasso d’informazione non supera “h2”, ossia la plasticità del testo, allora la creazione poetica è possibile, perché proprio “h2″ è la fonte della poesia e dellasua complessità non lineare, diversamente c’è entropia.

Un testo di poesia è come un sistema di alta complessità, il cui tempo e il cui ritmo esplode e implode, si ripiega e si stende in maniera così retificata eaggomitolata che è impossibile trattarlo con modelli semplici e procedure chiuse.Il modello di lettura, interpretazione e ri-interpretazione, è piuttosto paragonabile, sempre, ad un’ulteriore metafora linguistica più che ad un vero e proprio sistema di codifica e decodifica.

Il mondo della poesia di oggi è, poi, un insieme d’eventi particolarid’effetti ‘aalla” che poco hanno a che vedere con quello determinato della chiusuradella peezione dell’universalità classica sia nella suajorma antica che moderna. Gli eventi

che la costituiscono sono un complesso di processi chiusiaperti, e soprattutto locali, dove le contraddizioni che n’attraversanotessuto la individuano come esplosioneramficazione imprevedibile di declinazionicongiunzioni sintagmatiche che diconocontra-dicono… il tempo del poetaquello mescolato, temperato, il tempo della contingenza che il poeta è portato ad isomozare simulandolo…nelle sue varie articolazioni intermittenti…mentre la poesia n’è il verso, i versi del suo vertere nelle cadute d’angolonelle relative diramazioni che dialettizzano il campo semantico delle realtànzioni.55

Un esempio significativo, forse, è possibile averlo leggendo i versi del testo poetico “epimitio” 56 di G.Toti:

“…ma sì! Effetti parassiti di cosmolalìe io possoscrivermeli e scriviverveli anche se terribiliosiper me come i picosecondi del «ritardo di porta»

o per miliardesimo cubo i mille e uno romanzi o gli zilioni di byte – e il bit il byt-idiano alfabyt”

Del resto le contraddizioni e le anomalie logiche che s’incontrano nelle veritàpoetiche degli ossimori e/o delle metafore, ecc., assunte come “oggetti”, quasi-oggettied eventi logico-linguistici di mondi possibili, si ritrovano negli stessi universi delsapere scientifico, dove assumono verità di senso e di significanza solo relativamentealle coordinate di riferimento dei modelli scelti per navigare nelle correnti vorticose dell’essere e del tempo.

9. Il tempo e le logiche del poeta

All’orizzonte di questa rivoluzione di paradigma c’è l’apporto delle sperimentazionie dello sviluppo delle nuove logiche (la logica temporale, quella affermativa del “forcing”, epistemica, frattale, topologica, fIoue, ecc.) che sono in grado di cogliere, come abbiamo visto, il divenire delle possibilità del tempo, che non è più, così, “attimo” (discontinuità di punti atomici, fissi e sempre identici, tagliati nelcontinuum regolare del tempo stesso) bensìfluenza eflusso, instabilità, periodicitàe non periodicità, dissolvenza che miscela gli opposti, le contraddizioni e le anomalie che scoprono/creano possibili significanze.

Senza l’apporto delle nuove logiche le cose diventerebbero maggiormente magichee inesplicabili.

Il tempo non più un continuum lineare regolare bensì un textum che miscela i complessi intrecci del sistema caotico carico d’informazione da esplorare, così cometextum è la poesia che simula e de-clina i versi non lineari della con-tingenza degli eventi linguistici che affermano sempre nuove verità anche quando sembrano negarle.

La conoscenza di cui è portatore un testo poetico, come avviene nella logica speciale epistemologica e affermativa, è, infatti, una affermazione che non conoscemai la sua negazione. Il sistema di conoscenze parziali che “costringe” l’affermazionead essere “vera”, infatti, anche qui, con il suo continuo e coerente ampliamentoassociativo dei campi semantici, che s’intersecano ed esplodono nuove combinazioni conoscitive, non gode del principio del terzo escluso, come, invece, succedenell’ambito della bivalenza.

La mente del poeta è come se fosse una soggettività che crea l’«oggettività»e conserva tutto quello che ha conosciuto precedentemente e costruisce ipoteticimondi avvenire – il non-essere ancora – che negli stati successivi non potendo conoscere mai non-a conosceranno sempre e solo a.

Questi mondi certamente vivono dell’incertezza e dell’aleatorietà della congettura semiotica e della con-tingenza, ma non hanno mai interrotto né interrompono ilsentiero della poesia che porta verso l’infinito dell’essere che, in quanto costruzione·di mondi determinati nel tempo-kairs, è anche un impegno etico per mondi erapporti senza dominio, volti alla felicità, alla libertà e alla pace.

I mondi del poeta, sebbene conflittuali e instabili, sono i mondi della pace diHermes e di Venere perché la loro logica non è quella dell’estetica del sentimento disimpegnato e disinteressato, dell’individualismo e dell’esclusione, bensì la logica del terzo incluso, dei “corpi miscelati” della complessità e del “noi” plurale dell’etica della contingenza dove ognuno assume le responsabilità delle scelte fatte per vivere e dia-logare.

Il poeta è il custode-custodito dell’utopia possibile come il filosofo o lo scienziatopossono essere i custodi-custoditi dell’essere come possibilità di reti di mondipossibili che hanno di mira la libertà e la pace, e sono disposti “a cedere il posto, a reggere sulle proprie spalle il peso di un esodo senza fine […]. La filosofia del < corpi miscelati> è allora una scommessa augurale che, nelle figure congiunte deimessaggero Hermes e della bella Afrodite, annuncia la novella della pienezza edell’abbondanza, la logica del terzo incluso, la mescidanza dei nostri corpi nellamiscela infinita della vita sociale e naturale (già compresa dai fisici della Ionia)”.57

Il ” linguaggio del poeta”, come diceva Niels Bohr, non serve solo per studiareil mondo della microfisica (realtà altamente complessa e aleatoria) ma serve anchecome esercizio etico di responsabilità, che è tanto maggiore quanto, come dice ilpoeta Antonio Machado, gli uomini sono quegli itineranti cui bisogna ricordare che per il “caminante, no hay camino/ se hace camino al andare” (“viandante, non c’èvia/la via si fa con l’andare/con l’andare si fa la via”). Gli itinerari della conoscenzae della costruzione, volti al senso delle cose e degli uomini, non possono, infatti,essere se non nel/col peso delle responsabilità di chi, in patria o in esilio, rifiutandovie e metodi deterministici, si mette in cammino verso gli orizzonti delle risposte che non sono mai né concluse né definitive, e rimane nello stesso interrogare come nel luogo proprio. Il terreno di misura, di rischio e di scommessa dell’uomocontemporaneo della certezza dell’incertezza è il movimento, lo stesso cercare. Ilmetodo o la via, infatti potrebbero, arrestare il gioco della vita e della ricerca. Unragionevole paradosso? “E questa ragionevolezza […] ci fa vedere che senza questairragionevole rischio ci ridurremmo tutti all’immobilità, esito sicuro di ogni falso movimento o di ogni <andare a cercare>. E anche di ogni sentirsi sicuri in terra straniera, di ogni esilio cercato, singolare. Si tratta di sapere se preferiamo tracciaredei confini domestici, con oggetti e voci che ci fanno eco, o se ci risolviamo ad avventurarci in un bosco dove più nessuno ci accompagna e dove le promesse diverità restano tali perché subito vacillano e spariscono”.58

La vita è un esodo permanente e gli uomini sono eterni “para-sitos”, e come uomini di cultura, poeti ed artisti, in ogni modo, sono promessi e compromessi in una “cosmicità profetica” e in un impegno volto a realizzare nella società contem-poranea efutura i valori di una dimensione utopico-scientifìca in un soddisfacimento di bisogni fondamentali ed irrinunciabili, come quelli della pace, della libertà,dell’eguaglianza, dell’Eros, che sono la negazione di quelli che padroni e dirigenti hannofatto assimilare alle masse e agli individui nel sistema costituito. Ciò richiede naturalmente un linguaggio nuovo, se vogliamo sperimentale, non coriformista nelsenso più ampio, nuoveforme comunicative ed espressive, adeguati ai nuovi obiettivi,per spezzare codici ed immagini interiorizzati, ormai cristalizzati e naturalizzati, inventando magarireinventando in senso sovverssivo per esempio gli strumenti tradizionali dell’arte e della poesia: la natura, lo spirito, la psiche, il sociale, il politico,il sogno, le passioni, il male e la gioia di vivere e di esistere, le metafore, le analogie…59,perché “todo y cada uno de los poemas…son <inter-rog(o)azione> de la realidad, delos ombres, de su hybris y praxis, de la historia.6o

La hybris della poesia, in ogni modo, è la forza della trasformazione e delle metamorfosi, della ribellione e dell’interrogazione ironica, a volte satirica e dissa- crante con cui la praxis po(i)etica degli scrittori e degli scienziati scatena le contra-dizioni delle contraddizioni e degli assurdi che appartengono più alla civiltà, alla cultura e alla storia delle “naturalizzazioni” forzate e ideologiche che agli stessi processi della vita e dei saperi.

Lasciata libera di frammentare le cose e di aggredire la loro adaequatioidentificante alle idee, la hybris dei testi di poesia come pratica di comunicazione trasformazionale e “politica” – denuncia e rottura dell’ordine esistente delle cose attraverso la rottura della linearità univoca del discorso monologico perseguita con la non-linearità del verso – rimane, forse, l’unica via praticabile perché la storia materiale concreta, eterologica, degli uomini e delle cose continui ad esprimere la propria carica creativa e rivoluzionaria recuperando la sperimentalità dei soggettida un lato e la materialità dialettica dei loro rapporti sociali contraddittori dall’altra.

I testi di poesia, infatti, in quanto produzione trans-linguistica e inter-testuale nell’interscambio intrecciato dei linguaggi e degli enunciati, nella ridistribuzionedella parole rispetto alla langue e delle logiche teoretiche, sono “pratica significante[…] processo di produzione di senso” 61 e contra-dizione contro lo stato di cose esistenti in termini di azione e di lotta progettuale. Essi, infatti, anticipano una pratica antagonista dell’ordine del logos identificato come ordine delle cose e dellarealtà come struttura cosificata (che, invece, è e rimane una miscela di contrad-dizioni come rapporti permanenti e dinamici di entropia e negentropia, di afferma- zione e negazione), avanzano un progetto di destabilizzazione e di alternativasignificante che non propugna “l’abrogazione dell’ideologia e del pensiero, per sperdersi nell’illusione regressiva di una condizione aurorale della vita, di un magma indistinto di affetti e pulsioni senza scopo “62, bensì un’eccedenza di paradosso esenso viva via itinerante.

In questa fine millennio, il rapporto creativo e dinamico degli uomini con il mondo materiale degli eventi (il cui “delirio creativo è stato già cantato da un poeta come Lucrezio”63) e la poesia possono e debbono continuare, allora, ad essere praxis, poiesis e pratica significante e porsi come una mina vagante che porta alla deriva i nuovi e possibili sensi della temporalità anche attraverso il dolore di una scissione-unione continuata, moltiplicata e polifonologica. Infatti, “Senza questo dolore di una schize moltiplicata, non c’è possibilità di parlare il processo del soggetto, della materia, della storia, come di un processo dialettico, cioè uno ed eterogeneo”.64

La poesia textum, però, deve stipulare una alleanza dissonante tra materialitàe sperimentalità plurale, tra con-tingenza e progettualità e svelare la barbarie dellenuove povertà indotte; deve farsi “follia socializzata” di soggetti critici che fanno apparire le alle-gorie demistificanti il mondo in cui viviamo e innescare processi ditensione verso il novum. Certo non può fare la rivoluzione e cambiare il mondo ma può mettere in crisi l’assetto percettivo alienato con cui i dormienti vivono il/nelmondo. Può mettere a nudo, scardinandone i linguaggi rilevandone le contraddi- zioni materiali, l’ordine di classe delle holding planetarie della finanza e dell’infor- mazione, la nuova merce dematerializzata della società elettronica e multimediale dei padroni dell’economia neocapitalistica del mercato globale, il cui plusvalore èrubato ai nuovi bitoperai e alla qualità della vita.

Facendosi luogo, altresì, del transito permanete della logica della contraddizione, del paradosso e della contradi-zione che aggredisce e mette in crisi il quotidianopubblico e privato, alienato e demenziale, incuneandovi i sensi nuovi emergenti, può frantumare l’universalità ideologica del modello liberaI-borghese che si ammanta diumanesimo, di necessità e di oggettività concettuale per dare spazio, di nuovo, allaphronesis del saper decidere e agire nell’equilibrio mobile dell’incertezza conflittuale della pluralità delle opinioni o dei mondi della doxa errante.

Doxa e poesia, infatti, hanno una po(i)sis e una praxis che, pur nel contesto dellepluralità soggettive, sulla base di un comune e intersoggettivo senso del vivere e dell’essere, le legano alla responsabilità della parola e dell’azione dialogica dei puntidi vista diversi che debbono coesistere e convivere al di fuori di qualsiasi pretesariduzionistica o all’universalità astratta e ideologica dell’identità del concetto o all’épisteme univoca della legge di un unico sistema.

Il comune contesto del vivere e il dialogo tra diversi, infatti, obbliga i protagonisti ad abbandonare la deresponsabilizzazione della “banalità del male”, come dicevaHannah Arendt, e, nell’accadere della con-tingenza degli eventi del kairos, ad assumersi l’onere di un’azione e di una parola dialettica e conflittuale ma responsabile dell’etica della contingenza per progettare e costruire, così, il mondoucronotopico della coesistenza e della convivenza delle identità diverse.

La poesia, come la doxa, è testimonianza della praxis della parola che interpre- tando giudica l’esistente, prevede, rappresenta, vuole e progetta un mondo diverso, il mondo degli uomini che “spettatori partecipi” e soggetti critici ad un tempo continuano a dire che è possibile un’azione dei sogni e delle utopie. È il mondo degliuomini che, come “Omero <il poeta cieco> che narra il passato e quindi siede ingiudizio sopra di esso>, o come l’angelo di Benjamin che <sosta nel giudizio>”65, “fedeli al primato della esemplarità, dell’apparenza e del dialogo”, si oppongo almodello teleologico della storia e proteggono “lo spazio dell’azione e del giudizio quale luogo di relazioni autenticamente umane, esonerate dal fatalismo che condanna l’accadere all’automatismo e alla ripetitività caratteristici del mondo naturale”66 o alla necessità storicistiche degli sviluppi di una concezione metastorica e metafisica.

Da una terra, la Sicilia, che “si fa privilegiato osservatorio per un’indagine sull’uomo e sulle cose […] da arcipelago si fa galassia” 67, la praxis della parola poetica e narrativa, del resto, oggi, tempo di spazi ideologico-politici senza memoriae senza confronto, non può eludere l’impegno della “politicizzazione” dell’arte e della poesia. Se la storia della sua cultura plurale è la memoria delle differenze che hanno costruito un’identità politica dinamica che si confronta nello spazio della comunità,lo richiede, infatti, ogni nuova differenza che nasce e pone il suo diritto alla vita, alla parola e alla libertà.

Antonino Contiliano

NOTE
Nec tecum, nec sine te vivere possum.

Da “Spiragli”, anno IX, n.2, 1997, pagg. 14-45.




 Sull’ironia di N. Martoglio 

Vito Titone, L’agro della favola, ed. Centro Servizi Stampa Facoltà di Magistero, 

Palermo, 1988, pagg. 130, s.p. 

Con il suo consueto stile, che coniuga stringatezza, chiarezza e capacità critico-analitica, il prof. Vito Titone, docente di Lingua e Letteratura italiana dell’Università di Palermo pubblica i risultati della sua ricerca sulla Centona di N. Martoglio. 

È un lavoro questo che, ci sembra, consente all’autore, con tipica e pertinente penetrazione, di rappresentarci il complesso mondo martogliano e l’humus che lo sorregge. Un mondo che Vito Titone articola attraverso l’esame dei seguenti temi portanti: società e linguaggio, le suggestioni letterarie, tra eros ed ethos, preludio al teatro. 

Certamente, per lo spazio di una semplice e modesta recensione, non possiamo parlare distesamente (come meriterebbe) della fatica di Titone. Non possiamo tuttavia esimerci dall’individuare nel «realismo» e nell’«ironia» del Martoglio la chiave di lettura del saggista, il quale, inoltre, nota anche i limiti ideologici del poeta e drammaturgo siciliano nella mancata occasione di una «vasta dialettica della società isolana» (p. 93). 

Il realismo del Martoglio è quello filtrato dall’anima di un poeta che contemporaneamente è uno «scettico razionalista» e un «moralista», «reprensore (e nel contempo difensore) di un atavico costume, che tradisce una certa disposizione ad un’etica solo assai genericamente cristiana» (p. 98). 

Da questo campo d’osservazione la «mimesi» dell’artista, sia nella Centona che nell’opera teatrale, non può condursi che attraverso l’ironia, la cui fabula non può che avere il sapore dell’agro (da cui, secondo noi, L’agro della favola), specie se il campo semantico di «agro», pur da radice diversa, abbraccia sia il pungente, l’aspro della satira che la campagna come metafora del popolare. 

Ma l’ironia di Martoglio dove il «riso» ha una valenza conoscitiva e non di puro divertimento o di scarica ilare, dice il Titone, si serve di una parola, come delle ipotiposi e delle metonimie, per aderire con mimesis e verosimiglianza al mondo tragico dei catanesi e dei siciliani e renderlo nella vividezza dei suoi contrasti eterni, spesso emblematizzati nella dialettica metafisica di vincitori e vinti per eterno destino. 

La mimesis dell’ironia martogliana però non riproduce né il vero né il verosimile come copia fotografica, perché la mimesis non è oggettivo riflesso bensì azione della poiesis dell’artista, così come documenta la morfologia di questi termini che sono diventati cardini paradigmatici della cultura letterario-filosofica occidentale. Né tanto meno il «verosimile» è da tradursi e leggersi come «simile al vero» ma come credibile perché ragionevole nella praxis del poeta che rimpasta la realtà. 

Ma l’ironia martogliana non nasce solo dalle tragiche condizioni del mondo siciliano e dall’altrove, dallo spostamento di senso che l’ironia sistematicamente comporta come chiave di lettura e artistica. Essa nasce anche da una convinzione ideo-logica di vedere e rappresentarsi la realtà nella sua contingenza e casualità (forse un inconsapevole precursore letterario della «sfida della complessità»?). 

La mimesis martogliana come la realtà è permanente processualità dinamica 

e aperta come i processi del «non-equilibrio». «Poeta realista, nel significato più vero della locuzione, Martoglio, paradossalmente, distrugge la realtà nella sua apparenza fenomenica per reinventarla nella sua significatività; e la reinvenzione è affidata ad un interessato processo di costruzione e distruzione. Un processo cioè di accumulamento e di depauperamento di significati, di fissaggio, di amplificazioni e di modificazioni di immagini, di scarti successivi, talora vistosi, talora appena percettibili dei registri linguistici» (p. 125). 

Antonino Contiliano 

Da “Spiragli”, anno I, n.4, 1989, pagg. 50-51.




R. Onano, Le ancora chiuse figlie marine, Bologna, Book ed., 1994.

La poesia di questo nuovo libro di Onano indossa le vesti del racconto, della narrazione. L’incipit, ellitticamente costruito o meno, spesso affidato ai connettivi temporali e ai tempi verbali del caso, decolla ora dalle sorgenti dell’indeterminazione ora da quelle delle anacronie del futuro e/o del passato: «Ancora, ancora le vedo attraverso le sbarre dove mi apposto»; «Quando divenni re degli Scebili, subito dopo il sole»; «Quando avevamo nostalgia dei conti dell’oste»; «Così raccontava il buffone di corte, noi ancora/incerti a chi corrispondere, riflessivi, la proiezione». 

Le iterazioni retoriche e l’accento espressivo, sottolineati dalla posizione trasgressiva e di scarto sul piano sintagmatico del verso, aiutano il lettore a cogliere meglio quella “fermezza gentile” che è stata osservata dalla nota di E. Grasso che accompagna e permea il testo dei toni e delle significanze, delle “parentesi” e delle trasparenti tensioni di tutte le poesie del libro. 

Antonino Contiliano

Da “Spiragli”, anno VII, n.1, 1995, pag. 63.




Matilde Contino, Dove soffia il vento, La Meridiana, Palermo 1995, pp. 45.

Dove soffia il vento è l’ultima silloge poetica pubblicata da Matilde Contino. 

Anche in quest’opera, il mondo della Contino è quello delle due precedenti pubblicazioni – Symbiosis e Bagliori -, il “reale” filtrato dall’immaginario emotivo e immaginale dell’autrice. “Per i tuoi occhi! da berei con la vistal del cuore”; “Vecchio leone, I quante battaglie hai combattutoI quanti pericoli hai affrontatol e adesso? I Nessuno nella forestal si accorge della tua finel … 1″; “.. ./ Anche i bambini persero I la voglia di giocare, né scherzi, né risate I solo l’angosciai di non poter fuggire / … I”. 

Breve ma densa, la scrittura poetica di Matilde Contino, a volte, sembra imporsi con l’incisiva e tagliente leggerezza dell’espressione aforistica o, come ha osservato Ida Rampolla, con l’agilità e il salto degli Hai-Kai giapponesi. 

Fresche sono le immagini del metaphorein che mediano l’indeterminabile complessità del “reale” vissuto, pensato e filtrato nell’estetico della logica sensoriale rappresentativa o solo immaginata. 

Se la vita è della stessa sostanza delle ombre e dei sogni, come più di un poeta ha detto, la poesia della Contino, anche in quest’ultima tensione poetica, può esserne lo specchio più fedele e infedele al tempo stesso. Come nei sogni, infatti, nei testi di Matilde si emigra da un’assenza presente ad un’altra presenza assente che rimanda altrove, come i sogni che si riallacciano in una continuità di cui non è né facile né possibile rintracciare gli inizi e la regolarità. 

Antonino Contiliano

Da “Spiragli”, anno IX, n.2, 1997, pag. 62.




M. T. Verdirame, L’album dei percorsi, Ragusa. ed. Libroitalia. 1993. pagg. 62

La vita, il tempo, il loro intreccio, il loro articolarsi e snodarsi come in un “nastro della memoria” sono il testo di questo libro di poesie della Verdirame. 

Il nastro che si concretizza in immagini, simultaneamente, fissa i percorsi – impegni, sogni, emozioni, resoconti, speranze e partenze – in appropriati e seducenti fotogrammi che costituiscono, appunto, un album. 

E. Block direbbe che la produzione della poetessa è attraversata, poeticamente, dalla “malinconia dell’essere” e dalla “nostalgia del non essere ancora”, visto che, comunque, il sogno come proiezione e possibilità di ricominciare rimane una dimensione viva e lievitante. «Ricominciare / come se la vita iniziasse / domani / raccogliere respiri / … / stupirsi ancora… 

Privi di punteggiatura interna per aderire quasi analogamente al dettato fluente e fluttuante del tempo, il filo del libro coniuga in modo efficace sia le unità concettuali del messaggio – le parole forti e virtuali di significati e sensi – sia le unità della coesione predicativa del verso, sì che la “comunicazione trova la via sia per la se-duzione estetica che per la complicità partecipativa”. 

Antonino Contiliano

Da “Spiragli”, anno V, n.2, 1993, pagg. 47-48.




M. G. Cataudella, Risveglio. Ragusa. ed. Libroitalia. 1993. pagg. 64

Risveglio è la rimemorazione, tentata poeticamente, degli eventi esistenziali che l’Autrice richiama nel campo della coscienza attraverso le configurazioni rappresentative. 

Emozioni, ricordi, riflessioni, desideri, allora, utilizzando il veicolo di un linguaggio né traumatico né sperimentale, si ob-iectano come “piena, ciclo, croce, contatto, isola, dialogando. …” e si fanno ascolto comunicativo piano, disteso, senza, tuttavia. ignorare la regolarità trasgressiva del dire poetico e la tipicità essenziale della scrittura poetica. 

L’essenzialità, allora, per dirla con F. Hoefer, per cogliere il silenzio, si fa voce e parola sonora che naviga “tra immenso e immenso” perché “volare / è ancora possibile”. 

La definizione metaforica, altre volte, invece, nei testi dell’Autrice gioca a dar spessore logico-visivo alla sfera psicologica del soggettivo e dello scoramento e trasforma la riflessione empatica in riflessione di pensiero: «Non è credibile / quella nullità / … / È solo / tenera solitudine / sopravvivenza… 

Antonino Contiliano

Da “Spiragli”, anno V, n.2, 1993, pag. 47.




Lucette Junod, Verso un’altra dimora, ed. La Meridiana, Palermo, 1991.

Il libro di poesie Verso un’altra dimora di Lucette Junod è stato tradotto in italiano da Amalia Contino e pubblicato a Palermo. 

Lucette Junod, vivo il poeta mazarese Rolando Certa, frequentava gli “Incontri fra i popoli del Mediterraneo” che ogni due anni, voluti da Certa, si svolgevano a Mazara del Vallo. 

Verso un’altra dimora è un classico della poesia che sottende una visione spezzata della vita e della realtà, motivo per cui gli esseri umani, inquieti e in pena, cercando le cifre di una ricongiunzione possibile, di erranza in erranza, con il poeta tentano: -Ah! Saltare oltre le barriere/E correre verso l’acqua viva/Che sgorga da sotto i deserti». Orfeo riprova la discesa agli “inferi” per una “Ambizione cosmica”, ma le sue soste trovano gli approdi del freddo (parola che ricorre molto spesso nei versi di Lucette, e quindi emblematica), della morte, del deserto (“Sogno/Follia/Demenza”, “Vibrazione di luna/Sul fascino /Al vortice del tempo”, “Feralie noturne” e “Gli effluvi di Néroli”. 

Il linguaggio e lo stile, come ha fatto notare in prefazione Ida Rampolla, a questo punto, non possono che richiamarsi all’ermetismo e al simbolismo delle correspondances. Il verso ha l’andamento frammentato e una costruzione personalissima fatta, a volte, di versi monolessematici coesistenti, legati dalla tensione plurivettoriale del testo più che dalla sintassi dei singoli versi. 

Il costrutto poetico della Junod, per rispondere all’assunto movimentato del proprio viaggio, risulta dinamicamente vivacizzato dall’uso della poesia in verso e in prosa, della pagina bianca e del verso bianco. Giocano anche la dispositio, la sostantivazione degli aggettivi (“feralie, nérule”), le contraddizioni semantiche (“Fiori morti sempre vivi”) e altre chiavi retoriche. In esergo la intertestualità petrarchesca. 

Mi affascina pensare alla serittura della Junod come alla caduta della luce nel lago dello spazio-tempo della pagina bianca che provoca, per successivi e intrecciantesi cerchi e vortici, diversi “coni di eventi”. Qui la parola-evento del cono del passato condiziona la parola-evento del cono del futuro, rimanendo salva la “singolarità” dell’altrove -il verso dell’altra dimora- che si trova fuori dalla superficie dei due coni. In questo altrove, infatti, si possono saltare le barriere, vedere scorrere “l’acqua viva”, “…il sangue della memoria ferita” e “Immobile/In mezzo al deserto/La carovana” che “Insegue il suo sogno”. 

I fotoni, di volta in volta, sono parole ricercate e raffinate, esatte, rapide, leggere e visibili come se seguissero le “lezioni americane” di Italo Calvino. Ci sono anche fotoni fossili, i “rumori di fondo” di versi assolutamente indecifrabili, ma complementari al dettato della poetessa svizzera. 

Antonino Contiliano

Da “Spiragli”, anno IV, n.2, 1992, pagg. 66-67




 La poesia attraverso le persone

Il mondo della poesia di oggi è un insieme di eventi particolari e di effetti “farfalla” che poco hanno a che vedere con quello determinato della chiusura e della perfezione dell’universalità classica sia nella sua forma antica che moderna. Gli eventi che la costituiscono infatti sono un complesso di processi chiusi e aperti, e soprattutto locali, dove le contraddizioni che ne attraversano il tessuto la individuano come esplosione e ramificazione imprevedibile di declinazioni e coniugazioni sintagmatiche che dicono e contra-dicono. 

Un simile tessuto. si potrebbe dire, assume una logica stocastica e polivalente che ingloba come caso limite quella bivalente della significazione non contraddittoria e del senso lineare e sequenziale del verso tradizionale. Esso valorizza sia il vecchio che il nuovo della sintassi e delle trasgressioni “farfalla” che non sempre sono riconducibili a scarti rappresentabili. L’obliquità, infatti, della diagonale creativa. come punto plurale di diramazione della costruzione e della con-figurazione radioattiva del verso e della poesia, ha una dicibilità predicativa non sempre decidibile ed esauribile nella presenza del solo visibile in atto. 

La poesia così si fa verso perché si individua come attraversamento di “maschere” o persone che transitano da una sponda ad un’altra della riva, che simultaneamente è interno ed esterno perché bordo aleatorio di uno spazio. quello della pagina o della videopagina, che simula la fluenza del tempo. 

La poesia stessa così è sempre un sinolo indeterminato e determinato. un albero che gemma fiori non riconoscibili e noti. un tutto che non coincide con le sue parti, un insieme equipotente ai suoi sottoinsiemi e nello stesso tempo non equipotente. un ologramma dinamico di aperte “maschere” virtuali. 

L’insieme-testo della poesia. come direbbe l’antinomia del mentitore o quella autoriflessiva di Bertrand Russe!. è un insieme né chiuso né lineare; è “generico” quanto specifico e affermativo. La sua logica. infatti. è quella plurale del nostro tempo. che non fa più scandalo se non per il fatto che si sta consolidando con ritardo rispetto a quella imperante e riduttivistica della tradizione classica o dei testi della non contraddizione. 

Ora. in quanto equipotente alle sue parti, un simile testo contiene se stesso come parte. ma in quanto parte di una potenzialità in-finita non può più contenersi come insieme equipotente perché è continuo trascendimento, meta-phérein. – continuo movimento oltre/altro. medesimo/difTerente nell’apertura delle contraddizioni e delle nuove configurazioni. Le contraddizioni logico-linguistico-semantiche e le diverse configurazioni di senso sono però le contraddizioni e le emergenze creativo- materiali non contraddittorie della contingenza delle cose cui la poesia si riferisce e dice nell’inarrestabile processo della simulazione e dissimulazione che Ferdinando Pessoa ha definito del “fingitore”. 

Le parti, infatti, che qui sono la lingua e i linguaggi, i suoni, la luce, l’immaginario-razionale e il razionale-immaginario, il fattuale e lo sperimentale (in una parola il re-ale(a) – dire il caso-) nel loro mettersi in verso, percorrono un tragitto simulato che rassomiglia più ai fiordi e alle coste accidentate che a un moto rettilineo e uniforme. Esso è infatti rettilineo e curvilineo. fluente e fluttuante, fatto di cadute e di angoli, di declinazioni e coniugazioni, di catastrofi e biforcazioni, di necessità e di alee che richiamano il moto delle nubi o le traiettorie di un corpuscolo browniano. È il tragitto, in altre parole, della contingenza di tutte le variabili e perciò stesso intreccio e tessuto di relazioni dell’ordine caotico, che, poi, trova il suo assetto nel contesto del testo a partire dal tessitore della coscienza del soggetto poetante. 

Qui la coscienza però è sempre cum-scio (taglio e decisione) per delle relazioni che hanno il medium non nell’«è» statico del verbo essere della tradizione occidentale, bensì nel kann (la relazione dinamica dell’«è» del verbo essere della cultura araba che del dire fa anche un contra-dire). E se la coscienza è decisione nel taglio. il problema della poesia attraverso le persone diventa allora il problema della temporalità-tempera poetica che fa emergere le mille “maschere” che hanno fatto la storia e tante storie narrativo-poetiche. 

È il tempo del poeta come tempo tagliato, mescolato, temperato o dei corpi miscelati, come potrebbe dire il filosofo francese Michel Serres, il tempo della con-tingenza che il poeta è portato a isomorfizzare simulandolo. È solamente la simulazione, infatti, che, fingendone la complessità concreta, consente al poeta di dire e sentire – pensare -, cantare il tempo-essere-realtà con le sue persone-maschere. Rimanendo all’interno del processo temporale o tirandosene fuori, dicotomizzando e/o plurivocizzando il rapporto tra un dentro e un fuori, il poeta, allora, «versa», filmandola, la molteplicità nodale della contingenza stessa. Il risultato però è sempre un determinato mondo chiuso e aperto allo stesso tempo e un esito paradossale. Un paradosso che sconvolge le persone e le coscienze non meno dei paradossi che attraversano e fondano tutte le altre forme di sapere. 

Comunque, però, il poeta isomorfizzi e simuli il tempo nelle sue varie articolazioni intermittenti, i paradossi e le contraddizioni rimangono. Essi sono la non linearità zigzagata della sua tensione e della sua calma tempesta, mentre la poesia ne è il verso, i versi del suo vertere nelle cadute d’angolo e nelle relative diramazioni che dialettizzano il campo semantico della realtà-finzioni verso verità ulteriori. I corpi miscelati del “taglio” – il tempo come tempera – diventano così le persone relative dell’io romantico, del tu dell’ode, dell’egli dell’eroico, degli esseri immaginari, dell’identità trascendente (Dio, sacro) o immanente (la coscienza), della narrazione e dell’ironia più o meno dissacrante, ecc., di determinati universi in permanente ricomposizione. 

L’artefacere, il poiein qui non può più quindi aspirare all’universalità del proprio prodotto poetico. Le diramazioni e le biforcazioni sono locali e relative alla strutturazione del dire le circostanze con più o meno accentuata comunicazione immaginativo-razionale e aderenza ai testi delle maschere del caos o delle virtualità mescolate dello spazio-tempo storico e dei “modelli” culturali che si impiegano per tra-durli nella poesia dei versi. Il genere chiede piuttosto la specie e il singolo come testo specifico e contingenza concreta e non l’astratta universalità. 

Il dire del poeta, inoltre, ha una praxis che, appunto, in quanto legata alla parola del dire, alla lexis, è una attività tanto ambigua quanto imprevedibile. Essa tende infatti piuttosto a differenziare che non a uniformare la singolarità 

dell’emergenza verbale e segnica dei poeti. Il fatto dipende dalla stessa lexis che è azione e relazione fra soggettività che si individuano solo nella molteplicità plurale di persone, che essendo differenti possono cercare le analogie solo nell’ospitalità delle strutture comuni delle sintassi linguistiche e grammaticali tradizionali. 

Nel foro interiore- esteriore della coscienza del poeta, la poesia si presenta così come verso che è dis-corso di un per-corso di fessure che versano le cadute dalle quali provengono le derive poetate, le emergenze stocastiche delle solarità lunari o dell’ironia luminosa e leggera o dura, tagliente e/o sconvolgente, per dire anche altre forme del poetare nella nascita di un’altra e nuova razionalità plurale. 

E, forse, oggi, la nuova razionalità è quella di ripensare i mondi e i saperi nei limiti della con-tingenza. Questa, infatti, mentre fissa gli ordini e i ritmi delle cose, ricorda che gli stessi sono dis-ordini e “resi” nel rhein che si fa direzione e gusto sano del gioco del “verso” delle forze. Qui, allora, le “persone” della poesia dovranno cogliere le tensioni del flusso e fissarne le deiezioni nelle con-figurazioni che si fanno dis-forme, per riaffermare il piacere della vita e farla risposare con il suo stesso poiein plurale. È nella traccia-treccia dell’intermittenza creativa delle parole e dei sintagmi delle figure, che via via assumeranno l’aspetto del verso atomico, molecolare, ritmico, aritmico, continuo e discontinuo come ronda corpuscolare dei campi quantizzati, che le “persone” della poesia dovranno allora ripensare la tra-dizione come tra-duzione di un multiversum che, continuamente, di volta in volta, si è solo posto in un determinato universo: quello degli “eroi” di ieri o di oggi. 

Antonino Contiliano

• Le relazioni di A. Contiliano e di R. Tschumi (nella foto), La poesia attraverso le persone e Sur la traduction poétique rifatte per “Spiragli”, sono state presentate dagli autori al V Symposium degli “Incontri poetici internazionali” che ogni due anni si tengono a Yverdon-les-Bains-Neuchatel, nella Suisse Romande.

Da “Spiragli”, anno V, n.2, 1993, pagg. 25-28.