La terra 

Quando gli artigli dell’Aquila 
s’aggrapparono alla crosta della Luna 
e apparvero montagne grige 
crateri bui 
e distese incenerite di silenzio 
una voce 
varcò gli spazi: 
– bella 
meravigliosamente bella 
resta la Terra 
dove il verde degli alberi 
cancella gli autunni 
e fiorisce 
di pensieri e di sogni 
il sangue umano. 

Dino D’Erice 

Nota introduttiva




 La montagna 

La montagna tu la guardi: ciuffi verdi 
s’affacciano dagli spacchi delle rocce 
spezzano il grigio uniforme 
la patina di noia 
fioriscono di giallo 
ginestre aperte al cielo. 
È viva la montagna 
e tu non sei nato ancora 
uomo 
tu 
sei nei semi che premono 
le viscere profonde con la forza dei millenni 
ancora chiusi 
nel guscio dell’infinito. 
Il vento 
strappa rami di sole 
e li depone festoso 
sulla cima. 

Dino D’Erice 

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pag. 48.

 




 Il suo amore 

Il suo amore 
era senza effusioni 
e senza parole. 
Il suo amore 
era la cura con cui stirava 
i miei vestiti 
carezzando ogni piega. 
Il suo amore 
era la veglia per spiare 
il mio rientro in casa 
ogni volta che la sera tardavo. 
Il suo amore 
era il bacio che posava 
sulla mia fronte al mattino 
credendomi ancora addormentato. 
Mia madre era nata nella valle 
desolata del Tangi 
ove la vita 
ha l’asprezza delle pietre 
affioranti dalla terra arida 
e l’amore 
è voce di silenzio 
che solo l’anima avverte. 
Col suo carattere forte 
mia madre 
così mi amava: in silenzio. 

Dino D’Erice 

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pag. 46.




 IL PROFUMO DELLA VITA 

Alla casetta solitaria (coi tufi smozzicati e le crepe alle pareti) 
sita 
sul muraglione della ferrovia 
l’estate 
arrivava con folate calde 
di vento 
e odori intensi 
di grano mietuto e di fieno 
ammucchiato a ruota 
in mezzo ai campi. 
Sulla fronte larga di mio padre 
che s’affrettava a ripulire 
il fondo dell’aia 
invaso dall’erbaccia 
si spianavano 
le rughe d’ansia scavate 
da un anno lunghissimo d’attesa. 
Il perché mi sfuggiva. A nove anni 
ignoravo 
che il profumo della vita 
è l’odore del frutto maturo 
nato 
dal seme 
messo a dimora 
con le nostre mani. 

Dino D’Erice 

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pag. 45.