STANlSLAO MINUTO E MARINA DI NOVO, La chiesa madre di Sciara. Un segno della memoria e il simbolo di una identità controversa. Premessa di Raimondo Piazza, «Prisma», Ila Palma, Palermo, 2008.

La chiesa madre di Sciara, redatto da Stanislao Minuto e Marina Di Novo, racchiude in ampia sintesi la sofferta storia della chiesa di Sant’ Anna, a Sciara. Il testo è un omaggio fatto ai suoi abitanti in seguito alla riapertura della chiesa madre. Evento accolto con immensa gioia da parte degli abitanti del paese che, ormai da troppi anni, erano rimasti privi di un luogo dove potersi riunire per pregare. La chiesa, realizzata nel 1681, fu chiusa dopo solo 61 anni perché ritenuta pericolosa per i fedeli; fu demolita e ricostruita dall’ingegnere Lo Bianco ed inaugurata nuovamente nel 1934. Ancora nel 1970 venne vietato l’ingresso perché inagibile e solamente nel maggio 2008 la chiesa madre di Sciara è stata riaperta al culto ed ai suoi fedeli. La chiesa è a croce latina con tre navate, quella centrale è più ampia; ha il presbiterio e due cappelle esagonali. All’esterno si trovano due torri che conferiscono all’edificio un’ aurea medievaleggiante. Tutta la decorazione, interna ed esterna, è molto sobria. 

In poche pagine gli autori riescono a far patire, al lettore, le pene sofferte dagli abitanti di Sciara, privati per anni della loro chiesa e, alla fine, riesce ugualmente a farlo gioire per la sua riapertura. È un testo che unisce magistralmente architettura e vita sociale, svelando la storia di Sciara tramite quella della sua chiesa. 

Elisabetta Lipari

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 60.




ROSANNA MARSALA, Popolarismo e costituzionalismo in Filippo Meda. Lettere a Giuseppe Toniolo, 1890-1917, collana «Quadrante», Ila Palma, Palermo, 2007.

Un protagonista del pensiero democratico e cristiano 

Filippo Meda (1869-1939), personaggio politico nell’Italia di fine Ottocento e del primo Novecento, fu colui che senti l’esigenza di un chiaro inserimento dei cattolici nella vita politica dello Stato. Pur riconoscendo la necessità di restare fedele alle indicazioni di Santa Madre Chiesa, ritenne indispensabile l’accettazione dei valori dello Stato moderno e delle istituzioni rappresentative della società. Per Meda, definito a ragione «il più politico dei giovani democratici cristiani», era di primaria importanza creare una coscienza costituzionale che preparasse i cattolici alla partecipazione alle elezioni politiche in Italia. 

Nel tentativo di dare un ruolo allaicato cattolico, si scontrerà con la posizione prevalente, in quel momento, all’interno della maggiore organizzazione nazionale del XIX secolo, l’Opera dei congressi. Ma il suo punto di riferimento sarà sempre Giuseppe Tornolo (1845-1918), altro personaggio primario e fondamentale del movimento cristiano-democratico, del quale Meda condivise in gran parte le teorie politiche e al quale si rivolgeva frequentemente per avere consigli e sostegno. 

Il travaglio interiore sofferto da Meda è attestato dal rapporto epistolare che egli intrattenne con Toniolo per quasi un trentennio. Al di là di ogni possibile giudizio, a Meda si deve riconoscere il merito di avere svolto un’importante funzione storica: aver condotto il movimento cattolico da partito astensionista a partito cattolico costituzionale. 

Elisabetta Lipari

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 55.




GIULIA ADRIANA PENNISI, All-inclusiveness in Legal Language, Cross-Cultural Perspectives in Specialized Discourse, Ila Palma – Athena, Palermo, 2008.

È un approfondito studio sui recenti cambiamenti avvenuti nell’analisi del linguaggio, diviso in due sezioni in quanto l’autrice, esplora inizialmente il rapporto generale tra linguaggio e contesto, per sviscerare lo studio di un linguaggio legale specializzato in questioni di diritto comparato. La prima sezione è dedicata alla teoria e ai metodi di analisi del linguaggio, basandosi sull’idea che qualunque approccio allo studio non possa essere condotto al livello meramente grammaticale, ma che debba tener conto anche del contesto sociale e del background istituzionale. Importanti correlazioni si scoprono, infatti, sull’organizzazione ed interpretazione di un testo quando si studia il retroscena socioculturale e psico-cognitivo. 

La seconda parte approfondisce il discourse specifico e analizza il rapporto esistente tra il linguaggio legale, la cultura ed il contesto legale. Esemplificativo è il paragrafo che compara, in maniera volutamente semplificata, alcuni termini ed il relativo significato nellinguaggio della common law e della civii law: ad esempio contractlcontratto. 

Il libro, strutturato in maniera semplice, permette, anche a chi non è del mestiere, di capire i progressi avvenuti nello studio del rapporto tra linguaggio e contesto nel discorso legale. Illustra anche come il linguaggio non sia uno strumento neutrale, ma tenga conto dei cambiamenti politici, sociali e culturali del contesto di riferimento; lo fa perfino un linguaggio specializzato e professionale come quello, appunto, legale. 

Giulia A. Pennisi è ricercatrice in lingua e traduzione inglese presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Palermo, con diploma Master in «Arts in Comparative Literature» presso la Michigan State University (U.S.A.), specializzata nell’insegnamento della seconda lingua per scopi specialistici. Il suo ambito di ricerca verte sugli specialized discourses, con particolare riferimento all’analisi lessico-grammaticale del linguaggio giuridico-legale in un contesto multiculturale. 

Fra le pubblicazioni di G. A. Pennisi, si menzionano La traduzione legale nel panorama internazionale, Agorà 2004; Decodificazione del testo normativo. Conoscere per tradurre, Ila Palma 2004; e il saggio The lexicon 01 community “acquis”: how to negotiate the non-negotiable, in Atti del XXIII Convegno dell’ Associazione italiana di Anglistica «Forms of Migration», Università di Bari, 2007. 

Elisabetta Lipari

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 57-58.




MARIA CRISTINA MAGGIO, Il soprabito all’ingresso, collana di narrativa «Meridiana», I.l.a. Palma, Palermo 2008.

 Se la vita di un uomo trascorre come un soprabito appeso all’ingresso 

Il soprabito all’ingresso è il nuovo coinvolgente romanzo della scrittrice Maria Cristina Maggio, ambientato nella Palermo. anni trenta e incentrato sulla vita di Santi e della sua tipica famiglia sicula, costretta a fingere per non subire l’onta di quel «peccato» che solo alla fine il protagonista comprende realmente. Il racconto si dipana agli occhi del lettore come un viaggio mentale che il protagonista fa rievocando il passato, «un’infanzia tabù, con un padre inesistente, una nonna fulcro e una madre che potevo chiamare mamma sempre con il timore di vederla sbiancare in viso». Lo fa, a ritroso, nel momento in cui la sua vita sta subendo una svolta, nel momento in cui rischia di perdere un membro della sua particolare famiglia. 

Il libro, che privilegia un taglio psicologico ed emotivo, è incentrato su riflessioni che il protagonista svela, a noi lettori, meditando sulle relazioni che ha tessuto con chi ha colorato la sua dissimulata esistenza. In questa storia il lettore è emotivamente coinvolto fino a divenire il confidente del narratore e del suo riscatto da una pedissequa quiescenza, da una vita trascorsa .. . come un «abito da uomo appeso in un armadio» in casa propria. 

Il contesto in cui si svolge la storia è descritto in modo tanto accurato da permettere, a chi legge, di crearsi un’immagine nitida e particolareggiata della situazione narrata. Così come dettagliati sono i gustosi spaccati della Palermo di allora. 

I personaggi sono presentati, uno ad uno, attraverso gli occhi del protagonista con una semplicità ed innocenza tipicamente infantile, fusa però ad una matura saggezza; bagaglio interiore che la scrittrice riesce abilmente a trasmettere al suo personaggio. 

L’autrice continua a meravigliarci sposando passato e presente, dettagli e personaggi reali, ripescati dal suo passato, con altri magistralmente inventati e descritti con una puntigliosità tale daapparire realmente vissuti. Esemplare è la descrizione del lavaggio delle mani di uno dei personaggi che il protagonista-bambino osserva, rimanendone sempre affascinato e ammutolito; la minuziosa descrizione fa vacillare la mente del lettore tra realtà e fantasia. Altro elemento di rilievo è il linguaggio, che possiamo dire antitetico. Infatti riesce ad armonizzare quotidianità e poesia, semplicità e raffinatezza, dialetto e lingua italiana, in un modo che solo una scrittrice e palermitana doc può fare. I dialoghi concitati e le descrizioni lente completano l’articolata struttura del romanzo. 

Il soprabito all’ingresso è un exploit, un delirio di sentimenti, emozioni, colori e profumi indimenticabili. Credo che Maria Cristina Maggio continuerà ancora ad emozionarci con i suoi romanzi. 

Elisabetta Lipari

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pagg. 58-59.




GIUSEPPE DI STEFANO, C’era ‘na vota ‘na lumera antica, a cura di Iolanda Di Stefano, lla Palma, Palermo, 2009.

 Sfide in lingua e in dialetto con la spada e col fioretto 

Giuseppe Di Stefano è un noto autore di poesia in dialetto siciliano e in italiano, nato a Ciminna nel 1903 e scomparso nel 1998. In questa opera, C’era ‘na vota ‘na lumera antica, l’autore ha riassunto (anche se il tenni ne è riduttivo e restrittivo rispetto alla ricchezza del testo) la sua vita vissuta dalla nascita fino al ’68. II libro, così come lui stesso lo definisce, «non è un trattato di storia, né di politica, né di antropologia, ma un po’ di tutte queste cose insieme e qualcos’altro ancora». 

È un incredibile tessuto di vita privata con le esperienze fatte, di storia siciliana, di storia italiana e di politica; intreccio creato però da piccoli cenni, da riferimenti che non permettono al lettore di confondersi o di allontanarsi dal filo conduttore del testo. Richiami che spazi ano da Mussolini ad Aldo Moro, dai caroselli agli Ardizzone del «Giornale di Sicilia». 

Oltre alla ricchezza contenutistica è d’uopo sottolineare la raffinatezza, l’eleganza e la singolarità che caratterizza lo stile in cui è scritto. Anche la scrittura, così come la storia, è un intreccio di lingua italiana e di dialetto siciliano, di prosa e di emozionante poesia. 

Così come la vita dell’ autore fa da filo conduttore e la realtà circostante viene intercalata a questa, così la prosa in lingua italiana fa da colonna portante e le poesie in dialetto siciliano da contorno, da dettaglio, d’approfondimento. 

Giuseppe Di Stefano nel libro, infatti, rievoca tutta la sua vita, le circostanze vissute e le spinte interiori che lo hanno di volta in volta portato a scrivere sonetti, per difendersi e per attaccare, e che poi ha riportato all’interno del testo. 

Solamente per dare dimostrazione della raffinatezza e della maestria della sua poesia riporto alcuni versi della poesia che ha poi dato il titolo al testo: 

C’era ‘na vota ‘na lumera antica 
Ca pi lu meccu d’ogghiu sempri china 
Lucia comu un faru di marina 
Sibbini fussi di statura nica. 
A lu so’ lustru ognunu travagghiava 
Secunnu lu misteri chi facia 
E sulu cocchi gatta si vidia 
Ch’attornu di la lampa firriava. 
S’allisciava li baffi e cu la scusa 
D’allucintari i fila d’a tistera 
Si saziava d’ogghiu dda lagnusa. 
Cancianu i tempi. .. Sicca è la lumera 
Ma prontu, pi sucarisi a micciusa, 
c’è u sìnnacu e crisceru i cunsigghiera. 

Elisabetta Lipari 

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pag. 64




GIOVANNI GIORDANO, Cuntari Bellanova. Campofiorito tra storia e memoria popolare, collana «Memorie/Testimonianze», Ila Palma, Palermo, 2008.

Il cuntu su Campofiorito di Giovanni Giordano, Cuntari Bellano va è un tripudio di colori, immagini, suoni e parole di questa terra fiorita di pensieri inascoltati, fiorita da gemme di desideri irrealizzati. Dall’ origine misteriosa e nefasta della città, fondata dal Principe di Campofiorito, l’autore ripercorre sentieri tortuosi in cui si racconta di miti, episodi ed usanze del piccolo centro dell’entroterra palermitano. 

Il nobile scopo di Giovanni Giordano è quello di realizzare un dono, per le generazioni presenti e future, per svelare e far conoscere l’identità e l’anima di Bellanova, termine ancora usato nel dialetto locale. Durante la lettura si partecipa, così, a diverse occasioni tipiche della «città nuova» come la festa di San Giuseppe, A festa d’u Signuri, ‘A Festa d’i Morti, ‘A Festa d’u Bamminu e per finire all’addio al pupu nella notte di Capodanno; si assaporano, sempre mentalmente, alcuni cibi tipici come i ficu sicchi e nuci della feste dei morti, la cuccìa di Santa Lucia, i cucciddati e cuddureddi di San Giuseppe. 

La lettura del cuntu è accattivante e formati va perché permette al lettore di conoscere la profonda e nobile identità antropologica di Campofiorito, inspiegabilmente ignota ai più. 

Elisabetta Lipari

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 60-61.




G. BONAFFINI, LUCIA BONAFEDE, TERESA DISPENZA, La Sicilia per l’unità del Mediterraneo, Collana «Cronache e Storia», Ila Palma, Palermo, 2008.

Per la cooperazione mediterranea bandiera sempre alzata a mezz’asta 

È una ricerca di studio storico-economico, ma anche una sorta di manuale con cui si vuole delineare una forma, un confine ed uno status del Mediterraneo. Questa shape mediterranea è disegnata affrontando diversi aspetti e problematiche della questione. 

Si inizia con una esauriente «introduzione » in cui si fa luce sulla situazione mediterranea attuale, sulla sua storia e sull’importanza della Sicilia che «non si inserisce come passivo punto di approdo o campo di battaglia di tre mondi diversi» e che risulta essere oggi «la più adatta delle regioni d’Italia a incentivare il concetto di multiculturalità, a promuovere e intensificare gli scambi culturali fra i Paesi del Mediterraneo». 

Si prosegue con un capitolo incentrato sulla politica nel Mediterraneo dove sono passati in rassegna molti anni, dalla nascita della Comunità Europea del 1957 ai nostri giorni, soffermandosi sul perché e sulla nascita di enti come l’Accademia del Mediterraneo, la Fiera del Mediterraneo e il Centro per la Comunità economica e culturale del Mediterraneo. Si ribadisce inoltre la centralità della terra siciliana: «Vista dal cielo la Sicilia appare quella che è sempre stata, non un lembo di terra tagliata dal resto dell’Italia e dall’Europa, ma la punta del nostro paese e dell’Europa, dove diverse correnti di civiltà vengono ad incontrarsi». 

Il terzo capitolo si incentra sulla sicurezza del Mediterraneo con un interessante approfondimento sul Maghreb (Tunisia, Algeria, Marocco e Libia). Si continua nel quarto capitolo con il diverso sviluppo che ha toccato i singoli paesi del Mediterraneo fino ad arrivare al turismo di questi stessi paesi. E si conclude, con varie considerazioni sulle migrazioni. 

La seconda parte, altrettanto importante, è l’ appendice, caratterizzata da quindici diverse testimonianze che affrontano diversi temi, quali la funzione economica e culturale della Sicilia o il mondo arabo e il M.e.c., giusto per fare qualche esempio. 

L’intera opera risulta istruttiva ed interessante. Nonostante sia ricca di dati tecnici e statistici, non risulta mai tediosa o ripetiti va. La Sicilia per l’unità del Mediterraneo è un’ottima fonte di conoscenza soprattutto per chi, magari molto giovane, non conosce le radici del Mediterraneo, la sua storia e la sua tra vagliata evoluzione. 

Elisabetta Lipari

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pag. 56.




CAMILLA SANTORO, Il ladro di sentimenti, romanzo, postfazione di Maurizio Piscopo, Ila Palma, Palermo, 2009.

 Un passato grigio non vissuto e un avvenire tutto da vivere 

Camilla Santoro con il suo Ladro di sentimenti tocca l’animo del lettore, rapendolo in un vortice crescente e sempre più profondo che non permette di distogliere l’attenzione dalla storia. Il libro si legge con una semplicità eccezionale. Ad essere chiaro e semplice è il modo in cui è scritta, la storia narrata, mentre profondi e complessi sono i sentimenti a cui si fa riferimento. Il nostro Professore, nostro perché alla fine del libro il personaggio fa parte di ognuno di noi che legge, è un ladro. Ma lui non ruba beni, né cose materiali. Ciò che cerca e prende per sé sono i sentimenti. Il suo è un rubare giustificabile, l’unico modo che questo personaggio ha per provare determinate sensazioni che nella sua vita sono mancate provocandogli un vuoto incolmabile. 

E così, ormai in pensione, decide di prenderseli da solo questi esperimenti, di prenderli dalla vita quotidiana anche se non gli appartengono. Ovviamente si appropria di quelle emozioni che solitamente caratterizzano e segnano la vita di un uomo, quelli senza i quali la propria vita non viene considerata «completa». Questo è il regalo che lui stesso si fa per il compleanno. Il più bello di tutta la sua vita. Anzi quello che finalmente segna l’inizio della sua vera vita. 

«Sposo – padre – ladro – nonno, queste sono le parole intorno alle quali ruota l’intero racconto … Soprattutto ladro .. . Sei un miserabile ladro che elemosina gli altrui sentimenti, pur di sentirti vivo, incapace come sei stato di viverne di tuoi! Ma la vita, se non la vivi o non la puoi vivere, devi pure inventartela, per non morire.» 

Il testo è tutto colorato da un’alternanza di vita reale e frammenti che vengono in mente al professore grazie ad un dettaglio, una parola o una sensazione che lo catapulta indietro, al suo passato ed ai suoi alunni. 

Un racconto delicatissimo che emoziona ogni volta che si legge, che rattrista e che rallegra ad ogni parola, ad ogni periodo. Un linguaggio colto, elegante e raffinato è sposato ad una descrizione meticolosa dei particolari, dei colori e dei profumi soprattutto nei flashback della sua carriera di maestro; quella che per lui è stata la sua intera vita. 

Il libro è un unico viaggio onirico, sia nel passato già trascorso o mai avvenuto che in una realtà fantastica che il bimbo-professore si crea per cercare di sanare le cicatrici che la vita gli ha procurato. Alla fine il ritorno alla consuetudine lo lascia svuotato, spaventato di non poter più riprovare quei sentimenti e quelle sensazioni esperite per la prima volta. Ma queste emozioni, questo suo compleanno non è che il vero inizio della sua vita futura … 

Elisabetta Lipari 

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pagg. 61-62.




BIAGIO SCRIMIZZI, Spigolature dall’isola, prefazione di Tommaso Romano, collana «Le Giade», Ila Palma, Palermo, 2008.

 Spigolature dall’isola di Biagio Scrimizzi: più di questo non si dovrebbe scrivere per non far innamorare, il lettore di quest’opera. Il libro è equiparabile ad un viaggio che sviscera le fiabe e le superstizioni dell’ isola, i suoi modi di dire come anche i suoi paesaggi. Ogni capitolo è abilmente composto da diversi elementi intrecciati tra loro in modo da creare una melodia perfetta; ritroviamo infatti parti di racconti e di storie di personaggi più o meno noti, riferimenti all’esperienze di vita proprie dell’autore, così come citazioni religiose, filosofiche, letterarie e storiche. Biagio Scrimizzi, solamente per citarne alcune, richiama alla memoria parole di Pitrè, Leonardo Sciascia, Ariosto, Plinio e Martin Lutero; citazioni che rivelano quanto la conoscenza dell’autore sia vasta e profonda. Le stesse poesie che Scrimizzi inserisce nei capitoli per spiegare, completare o agghindare ciò di cui sta parlando, sono tratte da sue opere precedenti ma anche da quelle di Pablo Neruda, Federico Garcia Lorca e tanti altri. 

Tutto il libro è realmente coinvolgente; tanto per citare un argomento: il capitolo sui modi di dire in cui l’autore disamina il perché ed il per come di molte frasi fatte o di termini che si usano correntemente nella lingua italiana, di cui noi frequentemente ignoriamo l’origine o il reale significato. Una tra tutte la spiegazione del mobile di tradizionale uso domestico, comunemente chiamato credenza. 

Con piccole Spigolature dall’isola, con i riferimenti alle storie ed ai personaggi siciliani, ma non solo, e con le sue poesie l’autore racconta la storia della sua terra, la Sicilia. E lo fa creando un’assoluta armonia tra un linguaggio raffinato, colto, ma nello stesso tempo semplice e comprensibile; lo fa abbagliando il lettore con un uso puntuale dell’italiano ma intercalato, come in un tentativo di fusione, ad un dialetto siciliano colto ed elegante. Un dialetto, purtroppo, spesso abbandonato e deprezzato dai giovani. 

La descrizione accurata e realistica di alcuni luoghi palermitani, come la Villa Giulia, permette a chi conosce la città di rivederla nella propria mente e, a chi invece non c’è mai stato, di immaginarsi la bellezza dei luoghi. La lettura del libro è per tutti; per chi è già innamorato della Sicilia ma anche per chi ha ancora voglia di innamorarsi di «una Sicilia alla quale, forse più che a ogni altra regione italiana, si può adattare l’appellativo di sconosciuta, anche da parte dei suoi stessi abitanti, che poco o niente sanno del luogo in cui sono nati, delle splendide chiese antiche, dei monumenti favolosi, dei palazzi aristocratici e di quant’altro la Sicilia è ricca». 

Elisabetta Lipari

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 63-64.