Un viaggio nel labirinto dell’anima

«Così conoscerete la verità e la verità vi farà liberi» 

(Gv. VIII – 32) 

Un famoso filosofo cinese affermava: «Vi è una sola verità sulla terra: che qui non vi è verità». Pur comprendendo la plausibilità di tale tesi e pur essendo consci delle innegabili limitazioni della nostra mente, mezzo della «conoscenza», nonché delle numerose difficoltà che si presentano sul cammino del ricercatore, nessuno di noi può accettare di esimersi dal ricercare il «vero», che rappresenta la meta ultima della nostra esistenza intesa come esperienza conoscitiva. 

Nell’allegoria della Genesi, l’uomo e la donna si nutrono del frutto della conoscenza del bene e del male (o albero della scienza), che è stato loro proibito da Dio in quanto portatore di morte. E’ operando una scelta precisa che essi si dividono la famigerata «mela»; si tratta di un’unità simbolica che viene spezzata, e che li condurrà in un mondo sperimentabile esclusivamente attraverso l’esperienza nella duplicità degli opposti. Essi stessi, rappresentanti di questa dualità, nei loro opposti aspetti di «maschile» e «femminile» destinati a riunirsi, si inseriscono in un ciclo non più esclusivamente spirituale, rappresentato dalla «caduta nella materia», il cosiddetto «ciclo delle necessità», nel quale, entrambe le esperienze, sia quella del vissuto interiore che quella più esteriore di sopravvivenza nel mondo fisico, divengono la meta e il mezzo di conoscenza necessari ad attuare quella scelta costante tra «bene» e «male», ricerca di equilibrio tra gli opposti, e più avanti, superando l’impasse, lenta liberazione dai legami terreni. Ciò può essere rappresentato simbolicamente dal moto circolare discendente ed ascendente, dalla caduta al ritorno a Dio, dal cielo alla terra, dalla terra al cielo. 

L’aspetto fenomenico duale, sul quale ci soffermeremo più volte, è una costante legge della natura e del conoscibile, poiché appartiene ad ogni fenomeno indagabile dalla nostra mente. Come al giorno si oppone la notte, alla materia lo spirito, al bene il male, alla morte la vita, al sonno la veglia, così ogni fenomeno conoscibile presenta in natura il suo opposto complementare che lo rende intero. 

Il nostro stesso cervello simbolizza anche dal punto di vista anatomico l’aspetto duale: esso si divide in due lobi inscindibili, preposti, sembra, a due funzioni diverse ma entrambe essenziali, rappresentate in termini generici dall”«intuito» e dalla «logica». L’alternarsi paritetico delle due parti conduce ad un buon equilibrio dell’essere umano, mentre la preponderanza schiacciante di uno dei due aspetti è in grado di «squilibrarci», di renderci, cioè, sempre in termini molto generici, troppo «aridi» o troppo «astratti», ma è in ogni caso uno stato di cose che non può condurre alla «conoscenza» dello spettro di verità da noi raggiungibili, poiché rende incompleto e parziale il nostro «conoscere». 

Oggi possiamo affermare che la nostra «evoluzione» si stia servendo quasi esclusivamente del parziale mezzo di indagine della «logica», strumento razionale con il quale si è affidato alla scienza (termine che, propriamente o no, significa conoscenza) il compito di porre l’accento sullo studio dei fenomeni fisici, visibili, sperimentabili e ripetibili in laboratorio. 

Questo tipo di «conoscenza» alla quale sempre più esclusivamente ci affidiamo, ha avuto il pregio illusorio di offrirci una relativa sicurezza: difatti la legge sull’evoluzione darwiniana, posta a monte della «genesi scientifica», ha dato al nostro conoscere un doppio colpo di coda: da una parte la quasi certezza di non essere che animali evoluti, dall’altra, lo sfruttamento di tale possibilità evolutiva, la nascita di una volontà diretta alla dimostrazione del contrario attraverso l’affermazione della «ragione» che ci separa dal regno strettamente animale. 

Secondo Diel, l’intelletto umano trova il suo scopo specifico nell’adattamento alle necessità strettamente vitali dell’individuo, serve cioè alla sopravvivenza. Ma senza andare troppo lontano, potremmo allora affermare che se il frutto dell’intelletto dirige esclusivamente verso lo scopo della sopravvivenza fisica, dovremmo riconoscere anche agli animali tale tipo di «intelletto». 

Ma l’animale, a differenza dell’uomo, uccide veramente per sopravvivere, non si lascia condizionare dall’odio. L’animale non prova sensi di colpa, è giustificato dalla sua stessa natura quando uccide per fame. Si dovrebbe allora spostare il tiro dal termine «intelletto» a quello di «istinto», ed individuare la linea di demarcazione che separa gli uomini dagli animali nella cosiddetta «coscienza». Una coscienza, o consapevolezza di tipo morale, che conduce sempre all’eterna scelta tra bene e male, e con la quale l’essere umano è in grado di tenere salde le redini dell’istinto, di vincere, cioè, la sua natura animale combattendola e soggiogandola con la sua natura «positiva» o «morale». 

È luogo comune affermare che la nostra società «civile» sia una giungla nella quale si continua a lottare per la sopravvivenza, nella quale omicidio, odio e violenza non sono sconosciuti nemici, ma compagni di viaggio. Ma c’è un altro vero «genocidio» commesso ai danni dell’umanità, e non esclusivamente quello perpetrato con le armi. Esso si propaga anche con mezzi più sottili, con l’abuso di mezzi intellettivi al servizio della propria natura «negativa» a danno degli anelli più «deboli» della catena per inciso, contro i «giusti». 

Nella giungla umana il nostro successo, la nostra autoaffermazione, vengono fatti dipendere dal soccombere altrui; il nostro ego (o il nostro egoismo) è il piccolo limitato mondo dal quale non sappiamo uscire per andare verso l’universo del prossimo, e per la cui conquista siamo spesso disposti a tutto. Se è vero che la lotta umana si svolge ad un gradino «superiore» a quello degli animali, siamo davvero ben poca cosa rispetto ad essi, poiché il nostro errore è sempre intenzionale, volontario, privo d’amore, non più affidabile esclusivamente alla natura istintiva, non più giustificato dall’animalità umana. 

Sempre per esprimerci in termini simbolici, è la «Bestia» dell’Apocalisse che sorge in noi dal grande mare (dell’inconscio). È il Leviatano, l’antico serpente condannato a strisciare, che bisogna guardarsi dal risvegliare, perché non sollevi la testa: il latore delle forze negative dentro chi non accoglie in sé la forza dell’amore. Le sue sette teste, con su scritti «nomi di bestemmia» potrebbero rappresentare i sette peccati capitali, le forze negative sempre latenti nell’anima umana. 

La «Bibbia di Gerusalemme» definisce la Bestia apocalittica come «un mostro del caos primitivo… che incarna la resistenza contro Dio delle potenze del male». Nella cosmogonia babilonese esiste in merito questa descrizione: «Tiamat, il Mare, dopo aver contribuito a dare la vita agli dei, era stata vinta e sottomessa da uno di loro. L’immaginazione popolare o poetica riprendendo questa immagine attribuiva a Jahvè questa vittoria anteriore all’ordinamento del Caos o lo vedeva sempre mantenere in soggezione il Mare e i Mostri che lo popolano»1. 

L’evoluzione del negativo non ricerca Dio come Entità superiore, ma desidera emularLo; nasconde in sé l’insidia del desiderio di sconfiggerLo, superarLo, svalutarLo, spiegando razionalmente i Suoi «piani segreti»: il mistero della vita, la sconfitta della morte. Ma se è vero che Dio è Amore, nessuno di questi «imitatori» potrà penetrarne il segreto, poiché l’Amore è partecipazione della natura divina, è immedesimazione, «incarnazione», è unione che non può non essere raggiunta assemblando dei pezzi casualmente o razionalmente nemmeno per milioni di anni. 

Questa illusione di potere e di sapere, che fu già prerogativa degli angeli ribelli ed arma che condusse alla disubbidienza dell’uomo fu causata dall’uso sconsiderato dell’albero della scienza che conduce alla morte. «Ma …erano condannati a “cadere e perdere i loro poteri” non appena le due metà della dualità si furono separate. Il frutto dell’Albero della Conoscenza dà la morte senza il frutto dell’Albero della Vita. L’uomo deve conoscere se stesso prima di poter sperare di conoscere l’ultima genesi anche di esseri e poteri meno sviluppati, nella loro intima natura, dei propri. Così avvenne per la religione e la scienza: unite in uno erano infallibili, perché l’intuizione spirituale era pronta a supplire i limiti dei sensi fisici. Una volta separate, la scienza esatta rifiuta l’aiuto della voce interiore, mentre la religione diviene una semplice teologia dogmatica: e ognuna è solo un cadavere senza anima»2. 

Questa illusione misconosce Dio come volontà intelligente ed organizzatrice della vita, Lo nega indirettamente, sostituendoLo con il «caso» (anagramma di caos) e le sue combinazioni. In sostanza essa è estremo orgoglio di disconoscimento dei propri limiti umani, totale mancanza di umiltà. D’altra parte, un Dio costretto nella materia, ricercato con il microscopio, chiuso in una provetta, sarebbe una ben misera cosa rispetto all’uomo che lo osserva. Ma la somma delle esperienze attuali ci porta ad affermare che lo scienziato-antagonista non cerca Dio, cerca le prove del suo essere Dio. 

Questa illusione, questa univocità di direzione finalizzata a questo scopo, oltre ad aver ridotto il pianeta ad un immenso letamaio avvelenato dai residui chimici e dalle nubi atomiche, ci ha posti al centro dell’universo per dimostrarci oggi sconfitti dalle nostre stesse opere. 

Questo folle «illuminismo oscuro», con un lavorio costante durato in fondo pochi anni rispetto all’esistenza dell’uomo sulla terra, ha soffocato la nostra spiritualità, già poco sorretta dalla freddezza dell’interpretazione ufficiale dei dogmi religiosi: non ha interrogato affatto l’«intuizione» (e a me sembra neppure la ragione) per prevedere quali sarebbero state le conseguenze dell’operare umano. Quella intuizione o spiritualità che anche i popoli antichi, considerati ingiustamente «incivili», non tralasciavano mai di considerare. 

Si è affermato che le religioni nacquero proprio da uno stato di soggezione che l’uomo antico provava verso i fenomeni inspiegabili della natura. E che nel tentativo pavido di placarli, li divinizzò sottomettendosi ad essi con un’adorazione che tentava, come poteva, di dominarli. Ma il famoso, e più attuale, asserto di Campanella, che insegna come la natura si possa dominare solo servendola, possiede molta di questa antica saggezza e resta teorema pur sempre valido. 

L’uomo, con tutta la sua «scienza» non è e non sarà mai in grado di dominare la natura. Egli non si è voluto abbassare al livello di «guardiano» affidatogli da Dio, come compito e poi come punizione («E tu, perché hai dato ascolto alla donna (natura istintiva) coltiverai la terra con gran fatica, raccogliendo coi frutti spine e triboli, con il sudore della tua fronte»). 

Oggi, la nostra «disubbidienza» recidiva, la ricerca di supremazia ad oltranza su una natura che sta divenendo sempre più ostile, ha abbrutito la nostra moralità, ha compromesso i rapporti con la propria coscienza, con il prossimo, con il pianeta, con Dio stesso. I frutti coltivati dall’uomo con gran sudore sono i risultati nefasti della scienza. «L’albero si riconosce dai propri frutti» afferma Gesù in una parabola, rispondendo al dilemma umano sull’individuazione e il riconoscimento della differenza tra bene e male. 

Noi, quali frutti abbiamo prodotto? E dove, presumibilmente conducono le nostre opere? E ancora, Dio•, dove l’abbiamo nascosto? 

L’altra metà della mela, quella non dominata dal «caso», ma dalla volontà unita all’amore, libera meta del libero arbitrio, l’Intuizione, gemella della ragione, madre dell’arte, delle invenzioni, del sogno, è da troppo tempo racchiusa nel blocco di ghiaccio della materia; atrofizzata e schiacciata dalla Logica, non può essere trascurata oltremodo. Essa ci lancia disperati messaggi attraverso i sogni, ma spesso usa anche sensazioni, premonizioni o comunque esperienze che ci informino della sua esistenza, che ci facciano intuire l’«insostenibile leggerezza dell’essere» citata da Kundera. 

• N.B. – In un lavoro come questo, il ricorso a Dio è molto frequente. È bene precisare che usando il termine «Dio», l’autrice non si riferisce al Dio specifico di qualche religione. Questo testo, pur con tutte le difficoltà legate all’oggettivazione, non vuole condurre a soluzioni specifiche né a indirizzi forzati. Esso si limita a riportare quanto di comune ci sia nelle scelte religiose, filosofiche, morali o psicologiche dei diversi popoli, partendo anche da quelli antichi fino a ripercorrere le tappe dell’evoluzione interiore dell’uomo. Il termine usato va quindi inteso in senso generico molto ampio poiché ‘siamo tutti figli di un unico Creatore’ afferma più avanti. Esso sottintende dunque I diversi significati di Creatore, Padre, Energia Primaria, Ordinatore del Caos, Causa Prima, Forza Positiva, Volontà Organizzatrice, ecc., così che anche I Suoi attributi, come ad es. Intelligenza, Bontà, Verità, Eternità, vengano sostantivati. Il termine comprende tutto questo e molto di più, seppure ridotto al minimo per facilitare la scorrevolezza del testo e rivolgersi ad ogni uomo, di qualsiasi razza sia e a qualsiasi religione appartenga. Esso è espressione di unione, desidera allontanarsi dai termini di separazione, e dalle lotte che per questo sono state perpetrate nascondendosi dietro la propria bandiera religiosa, uccidendo spesso, c per assurdo, proprio «nel nome di Dio». 

Si tratta di fenomeni confinati genericamente sotto la assurda dicitura di «Paranormale». D’altra parte la casistica di tali fenomeni è vasta e innegabile e fortunatamente si sta uscendo dall’oscurantismo razionale, o anche dalla paura, che impediva a molti di esternare le proprie esperienze in tal senso. Ufficialmente, il dileggio o l’allusione all’ala della pazzia, erano la punizione per chi osava parlarne. Ma in verità, ognuno di noi almeno una volta nella vita ha avuto a che fare con tali manifestazioni, poiché esse sono retaggio umano. Si tratta di fenomeni che non sappiamo spiegare, perché sfuggono alla stretta razionalità, e sembrano piuttosto far parte del mondo dei sentimenti; e come tali sono difficilmente riproducibili «a comando». Ma se la scienza rappresentasse un vero desiderio di conoscenza dovrebbe occuparsi anche di questo, senza paraocchi, senza paure, senza preconcetti. Occorre, è vero, una grande apertura mentale per conciliare gli opposti, per mettere in campo i risultati scientifici accanto a quelli spirituali. Ma io credo che il giusto atteggiamento di chi desidera veramente «conoscere» non sia quello di infilare la testa sotto la sabbia. Dovremmo accettare l’idea che anche questo accade e accade non lontano, ma dentro di noi, perciò anche questo diviene normale (e non para-normale), sebbene i nostri mezzi limitati non siano ancora riusciti a spiegarci i «perché», i «come», e i «quando». 

Questo esercizio mentale conduce all’umiltà, al riconoscimento di qualcosa che ci sovrasta e che è in grado, se glielo permettiamo, di penetrare fin dentro le nostre fibre. C’è qualcosa di sconosciuto, da tempo in attesa di essere risvegliato per trasformarci in esseri completi, per condurci ad un’evoluzione vera e positiva. 

I messaggi in bottiglia provenienti dall’anima o dal grande mare dell’inconscio, se preferite, sono sintomi di naufragio e di malessere spirituale. Sono richieste d’aiuto dell’anima destinate spesso a rimanere inascoltate a causa della nostra crescente aridità. Forse è proprio questa la tanto temuta -apocalisse.: una morte interiore già iniziata, dalla quale, come detto più avanti, la bestia nemica dell’uomo sta emergendo per condannarlo in un terribile autodafè. 

Il nostro mondo interiore, insondata sede delle opposizioni, del bene e del male, del patrimonio spirituale ma anche istintivo dell’uomo, è già di per sé emblema dell’anima racchiusa nella materia. Esso è microcosmo nel macrocosmo, ma attenzione, anche macrocosmo nel microcosmo, poiché il grande contiene il piccolo, ma anche il piccolo contiene il grande. Ciò espresse Ermete Trismegisto nella Tavola di smeraldo posta a base dello studio delle scienze esoteriche: «E come è in basso così è in alto… per rappresentare le meraviglie della Cosa Unica». 

I due mondi si compenetrano e non sono scindibili fino alla morte della forma fisica. Le due fasi del pensiero conoscitivo, la «negativa» e la «positiva», si alternano nel preponderare l’una sull’altra, producendo movimento e non stasi. evoluzione e non status quo. Esse conducono inevitabilmente verso una scelta. Spogliano l’anima degli inutili orpelli e, dirigendosi verso i comportamenti e le scelte più costanti e ripetute di un’anima, conducono l’essere ad una scelta libera e cosciente tra bene e male. 

Questo mondo segreto, Eden abbandonato dall’uomo, sede della nostra vita più vera, ha avuto diverse definizioni nel corso della nostra storia culturale e spirituale, legata alle diverse connotazioni imposte dalle differenti scelte individuali: la psicologia ci ha parlato di inconscio, le religioni e le filosofie di anima. spirito, energia, pneuma, l’esoterismo di corpo astrale, la scienza di cervello; ed il loro frutto. l’astratto pensiero, dovunque abiti in noi, ha così subìto diverse interpretazioni; da essenza divina a energia di origine fisica prodotta dal cervello; da fenomeno biochimico ad incompresa astrazione. Ma poco importano i termini. È importante scoprire ciò che unisce alla base e non ciò che divide. Ciò che ogni scienza, ogni religione. ogni ramo dello scibile umano hanno in comune con le altre teorie, è quanto più si possa avvicinare alla plausibile parte di «verità» a noi concesso comprendere. In ogni tempo, sotto ogni scuola di pensiero, si è riconosciuta all’uomo una parte luminosa e sfuggente, che non può essere costretta nella materia fisica. Almeno non esclusivamente. 

Essa passa nel nostro cielo interiore come una meteora. Si mostra e fugge, ma ci informa della sua esistenza. È la nostra parte più autentica, vera e distintiva del sé individuale che conduce alla porta del Sé universale. Una porta alla quale non tutti sono in grado di accedere. Ma esiste una chiave che ci permetta di aprire quella porta? 

Diana Garland 

1. J. Chevalier – A. Gheerbrant, Dizionario dei simboli, Rizzoli, Milano, 1988, vol. II, pag. 23. La nostra dunque è un’evoluzione o un’involuzione? E’ un ritorno a Dio o al Caos iniziale? La strada che abbiamo scelto coscientemente, per percorrere una ipotesi di evoluzione, è principalmente quella scientifica, che abbiamo visto più avanti. Sebbene la scienza non sia di per sé negativa, poiché ha molte ragioni di essere, essa contiene nel suo polo negativo molte insidie. Il pessimo uso che spesso se ne fa, non solo si volge verso la distruzione, ma ci rende diretti antagonisti di Dio. E come non notare che il nome del «distruttore» per antonomasia sia proprio Satana, che significa antagonista? Come ignorare il parallelismo esistente tra il peccato di orgoglio degli angeli e quello di Adamo ed Eva? Come non notare che entrambi furono scacciati dalla presenza di Dio? S. Agostino identificava la stessa umanità nella schiera degli angeli ribelli. Ma per ora, fermiamoci qui. Parleremo di questo in altro momento. 

(2) H. P. Blavatsky, Iside svelata (trad. di M. Monti), Ed. Armenia, Milano, 1984. 

Da “Spiragli”, anno I, n.4, 1989, pagg. 23-30.




Le chiavi dell’anima

 L’uomo ha diverse chiavi a sua disposizione. Diversi mediatori che aprono le porte che conducono nelle due fasi opposte. Il cervello, in senso generico, la mente o, comunque, il proprio sé, mediano le due realtà: quella esteriore e oggettiva con il vissuto interiore soggettivo. Ciò significa che ogni realtà non solo diventa una realtà diversa per ognuno, ma anche lo stesso individuo può viverla in diversi modi dipendenti strettamente dal suo stato d’animo” o “mentale” che dir si voglia. Esiste dunque una realtà per ognuno di noi: una realtà che sfugge dalla sua oggettività, caricandosi di tutti quei significati che noi gli attribuiamo. “L’oggetto osservato non può prescindere dall’osservatore”, affermava Groddek. Questa la porta di entrata che usa il mondo per penetrarci. 

La chiave che l’uomo usa invece per entrare a far parte della realtà oggettiva, o per aprire la porta di uscita dal sé, è rappresentata dalla parola. La parola è il medium, il mediatore tra pensiero e oggettivazione del pensiero. Con questa chiave noi possiamo penetrare in altre menti, dare informazioni che ci riguardano, scoprire una parte di noi, non sempre la più vera. La parola è un “segno” unanimemente riconosciuto, ma non per questo perfetto. Anzi, essa è un mezzo assai limitato se pensiamo che deve racchiudere il pensiero, astratto ed infinito, riconducendoci al contrasto più volte rappresentato della convivenza degli opposti. 

Della parola e del suo uso corretto o scorretto si è detto tutto o quasi (Gesù: “Che la vostra parola sia: Sì, sì – NO, no.) Per quanto limitata essa sia, è anche l’unico mezzo che abbiamo per comunicare, per mostrare realtà soggettive. Per assurdo, essa può essere usata per nascondere invece che per mostrare. La parola è in grado di mascherare il pensiero, la verità, essa può vendere piombo per oro. L’uso della chiave della parola ci costringe, pur con tutti gli intenti di sincerità, ad essere interpretati, a costringere l’infinito nel finito. La parola è delimitazione, ma unita all’intuizione, legata all’arte, è in grado di mostrare la nostra piccola parte di verità, può “pescare” nell’inconscio collettivo. 

Se al segno scritto, concretizzazione del suono, partecipa anche il nostro mondo interiore, la parola smette di essere segno per diventare simbolo: 

allora essa è in grado di librarsi, come accade nella poesia e nella letteratura, se le opere sono tali da mostrare tra le righe l’anima comune: se sono tali da cogliere sentimenti universali, attimi che sono uno specchio nel quale ricercarsi soli per ritrovare il mondo, essere uno e divenire moltitudine. L’arte è una delle manifestazioni dell’interiorità umana, un raro momento in cui si dà voce all’infinito che è in noi. 

Se in qualche caso la parola può divenire “voce dell’anima”, per la maggioranza 

dei casi essa viene usata nel suo ruolo specifico di “segno”. Se, per esempio, esprimiamo delle teorie matematiche, essa può razionalmente contenerle, poiché il “segno” attribuito ha un valore unico per tutti. Ma se “sconfiniamo” come normalmente accade e cominciamo ad esprimere sentimenti o sensazioni, ecco che essa diviene interpretabile, passibile di valutazioni personali che mettono in gioco il filtro delle esperienze personali di chi ascolta. Una carta difficile da giocare senza bluffare. 

L’altra chiave, la più densa di misteri interpretativi, è il simbolo, voce dell’intuizione, parola dell’anima. Essa apre la porta che conduce dall’incoscio al conscio, dall’infinito al finito, dall’interno all’esterno. Così come l’intelletto serve all’uomo per adattarsi alla realtà e alle condizioni di vita, così l’intuizione insegna 

che la realtà non si limita al suo aspetto fisico e materiale. Essa viene sfuggita perché scuote le nostre pseudo-verità, le nostre labili certezze. Essa offre sicurezze, offre dubbi, speranze, paure, meraviglie. È umiltà e non ribellione a Dio: tentativo di avvicinare il segreto senza violarlo, poichè questa é la parola che conduce a Dio, la “strada stretta” del Vangelo, il mezzo attraverso il quale si acquistano “occhi per vedere” ed “orecchie per sentire”. Ciò significa che non tutte le orecchie sono in grado di ascoltare, che non tutti gli occhi sono in grado di vedere, perché offuscati dalla propria razionalità, dal proprio smisurato orgoglio. L’intuizione riconosce Dio come Padre, fa nascere il bisogno di ritorno allo spirito. Ma è, comunque, una chiave molto, molto difficile da usare. 

Il simbolo, mediatore e chiave dell’intuizione, parla attraverso i sogni, ma non esclusivamente così: passa per l’anima e si dirige verso la nostra coscienza, mascherato con qualcosa di comprensibile. È la maschera della verità, una verità forse troppo grande per noi, che per toccarci senza distruggerci, deve nascondersi sotto il velame simbologico. 

Nel Dizionario dei simboli Chevalier – Gheerbrant, il simbolo viene così definito: “Il simbolo è bipolare… Coglie relazioni che la ragione non coglie. Ha forza centripeta stabilendo un centro di relazioni al quale il molteplice si riferisce trovando la sua unità. È elemento unificatore… perché è in grado di farsi comprendere da chiunque, qualunque lingua parli… esso non usa parole ma solo ciò che di vero in comune hanno gli, uomini. E si comunica solo in proporzione alla misura e all’apertura delle capacità personali”. E ancora: “… [L’intuito] risveglia energie che il simbolo concretizza. Esso va indagato con l’anima ed ogni anima vi nasconde le sue verità”. G. Durand lo definisce in “dinamismo organizzatore”; J. Jacobi afferma che “mantiene sempre viva la tensione tra i contrari che è alla base della nostra vita psichica”. “Il simbolo separa e unifica, ha in sé l’idea di separazione e riconciliazione”. Ha quindi un’importanza determinante in un mondo dominato dalla legge degli opposti, poiché ha un potere equilibratore, ma non impedisce il “movimento” dell’energia psichica. 

Secondo Jung, esistono dei simboli comuni all’intera umanità, che definisce “archetipi”: Più il simbolo è arcaico e profondo più diventa collettivo e universale”. Esistono quindi delle basi comuni, che poi vengono “elaborate” dalla cultura e dal contesto sociale e religioso di ognuno. L’archetipo è comune retaggio, ma non mostrandosi uguale per tutti, diviene assai importante saperne riconoscere la radice. 

Anni fa, discutevo con un ragazzo egiziano conosciuto casualmente di come a volte i problemi religiosi possano condurre, al di là dell’apparente ricerca del bene, a guerre sanguinose e fratricide. Era da poco tornato dalla guerra e l’esperienza era ancora molto viva in lui, pregna di emozione. Io, da parte mia, ero molto disponibile all’ascolto. emozionalmente partecipe. Forse proprio per questo, senza quasi avvedercene, iniziammo a comunicare in maniera molto profonda, quasi che le nostre anime o i nostri inconsci fossero entrati in contatto diretto. superando le difficoltà linguistiche e poi il bisogno stesso di parole. Difatti, diverse volte comunicammo telepaticamente. 

Fu un’esperienza assai insolita che ci lasciò una sensazione di fratellanza. O che, comunque, aveva stabilito un legame che andava al di là di ogni limite umano. Eravamo proprio sulla stessa “lunghezza d’onda” e lo eravamo già da tempo, probabilmente ancor prima di conoscerci, perché, parlando scoprimmo di aver fatto dei sogni molto simili che, ad un’analisi più approfondita, ci mostrarono delle “verità”. In un sogno fatto molti anni prima, avevo ricevuto un messaggio da un “angelo”. Era un messaggio, il cui contenuto non riporto, che riguardava la mia persona. Fu con grande sorpresa che A. mi disse di aver ricevuto lo stesso messaggio, che però lui aveva ascoltato da una voce proveniente dal sole. L’elemento in comune, oltre al messaggio, era anche la luce, una luce sconosciuta, indimenticabile. 

Era la stessa energia ad essersi manifestata in noi, seppure simboleggiata in due modi differenti legati alla nostra cultura socio-religiosa. Come non pensare infatti, alla lunga tradizione storica religiosa e culturale egiziana, nella quale il sole, Ra, era considerato un Dio? Quella tradizione che A. portava in sé, forse geneticamente, forse in maniera più ancestrale, aveva dato vita a quel simbolo, tanto diverso ma tanto simile al mio. Sorridemmo pensando che allora, un induista poteva aver ricevuto lo stesso messaggio da una Mucca Sacra, ma comprendemmo una cosa assai importante e cioè, che pur essendo due persone appartenenti a due gruppi etnici diversi, provenienti da culture e religioni differenti, in momenti diversi delle nostre “storie”, avevamo trovato quell’anello che legava le nostre esistenze: la fratellanza, quella vera, data dall’essere figli di un unico Creatore. E, inoltre, che il messaggio ricevuto conduceva ad un’unica fonte, conteneva una verità comune ad entrambi e a tutti quegli esseri sparsi per il pianeta che si fossero trovati in grado di riceverla in quel momento (infatti, per uno strano “caso” avevamo fatto quel sogno la stessa notte di molti anni prima). Questa strana simbiosi di anime era scevra da qualsiasi altra implicazione di tipo più umano. Ed ebbi la prova della non casualità della cosa, quando, con l’aiuto inconsapevole del ragazzo stesso, riuscii a salvare la vita in una situazione molto difficile. 

Non l’ho più visto. Credo che ormai sia tornato al suo Paese, ma il nostro incontro è stato determinante, ha acquisito un significato profondo e una magia che sembrano inspiegabili. Da parte mia, una profonda riconoscenza, che vorrei dimostrargli. Ma so che è impossibile, poiché all’epoca non ci scambiammo né indirizzi né cognomi. Sembrava che tutto ciò che ci riguardasse si fosse esaurito lì: in quello strano incontro finalizzato alla “conoscenza” di alcune cose. E che noi ne fossimo consapevoli, seppure a un livello molto lontano dalla coscienza razionale. 

Questa esperienza mi insegnò che le differenze di espressione non tolgono ai simboli il loro aspetto di specchi della verità, di universalità, poiché la mente, una volta entrata a contatto con energie che non conosce e che non è in grado di afferrare, le simbolizza in qualcosa di accettabile, di comprensibile. Nella stessa Bibbia. Dio appare a Mosè sotto diverse forme, come il fuoco, la nube ecc. Era Dio a mettersi alla portata dell’uomo o viceversa era l’uomo stesso a simbolizzare, a trasformare cioè la realtà superiore in una realtà finita. più consona ed abituale alla sua natura? 

In questo senso. ogni religione. ogni cosmogonia. può essere spiegata completamente e razionalmente. perché una volta logicizzata perderebbe il suo valore spirituale di comunicazione tra le anime. E il messaggio non è per tutti. Cristo spiegava agli apostoli i misteri della fede. ma parlava in parabole agli uomini comuni. Così facendo Egli operava una scissione, una scelta tra chi sia in grado di “comprendere” e chi no, tra chi sia dotato di spirito e chi sia racchiuso ancora nel suo piccolo mondo materiale. “Non date perle ai porci”. Questo insegna il Vangelo. Ed anche: …..affinché guardino bene, ma non vedano, odano bene, ma non intendano, perché mai avvenga che si convertano e sia loro perdonato” (Mc N, 11-12). 

Uno dei tanti motivi della caduta della fede sta proprio in questo voler razionalizzare Dio, in questo credere come Tommaso, solo se ci viene offerto il costato. Ma la chiesa, qualunque essa sia, non può confrontarsi con la scienza. Non possiamo pretendere di spiegare la “genesi” con le leggi scientifiche. alle quali, in ogni caso, l'”origine” sfuggirebbe comunque. Ciò significa che anche se accettassimo il “Big-Bang” come “inizio”, non potremo comunque spiegare il pre-esistere dell’energia e della materia che costituivano la massa informe in seguito esplosa formando i pianeti del nostro sistema solare. È come dire che il Caos si evolse, ma ciò non spiega l’esistenza del caos stesso. 

É il confine tra esistenza e non esistenza che sfugge ad ogni nostra volontà 

d’indagine. È l’amletico “essere o non essere”. 

Così come dal caos biblico emerse una volontà organizzatrice, lo spirito di Dio librato sulle acque dell’abisso che fecondò le acque originando la vita, così dentro di noi, nel nostro caos interiore, fusione di bene e male (Plinio: il bene è commisto al male), di natura e spirito, emergono quelle forze organizzatrici o distruttrici. Il caos è porta della vita, ma contiene anche l’idea dell’abisso, la fase disgregativa, la porta della morte, proprio come la figura femminile, rappresentazione dell’istinto, contiene in sé l’aspetto di datrice della vita, ma anche il suo opposto, poiché “Eva” offre ai suoi figli una vita mortale. Una vita che contiene in embrione il suo opposto. È essa stessa rappresentazione, nel teatro simbologico, di un’evoluzione involutiva. 

Ma non possiamo comprendere a fondo il concetto di vita e, di morte, di essere e non essere, se ci arrocchiamo su posizioni prestabilite, se non ci apriamo spiritualmente, se non ci svuotiamo lasciandoci liberamente penetrare dalla verità; se non smettiamo di opporgli dei muri a difesa della nostra roccaforte personale legata all’io e alla difesa strenua dell’io. 

La natura ci mostra come ad ogni fine corrisponda un nuovo inizio, scandito dal continuum, dall’eternità del tempo. “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Questa legge scientifica, che a prima vista sembra negare Dio. poiché nega il potere creativo, invece, forse involontariamente, la preesistenza del “tutto”, l’assenza della “fine”, della morte, sostituita dal “mutamento di stato”. Essa mostra l’universo e noi, parte di esso, in moto, in continua trasformazione, in evoluzione. Il moto circolare, forza creativa dell’universo, tendenza di ogni pianeta, è come il serpente che si morde la coda. È metamorfosi senza fine, poiché la fine di un ciclo conduce in un altro ciclo, la fine di un’esperienza conduce in un’altra esperienza che è suo prodotto, risultato finale di quella anteriore. 

Così si esprime H.P. Blavatsky nella Dottrina segreta: .All’inizio di un periodo attivo avviene un’espansione di questa essenza divina dall’interno all’esterno, in obbedienza all’eterna e immutabile legge, e l’universo fenomenico o visibile è l’ultimo risultato di una lunga catena di forze cosmiche messe così, progressivamente, in moto. In egual modo, quando riprende una condizione passiva, avviene una contrazione dell’essenza divina e il precedente lavoro di creazione è gradualmente e progressivamente distrutto. L’universo visibile si disintegra, il suo materiale viene disperso, e la “tenebra” solitaria e unica si raccoglie ancora una volta sulla faccia dell’abisso. Per usare una metafora che chiarirà ancor più l’idea, una espirazione dell”‘essenza” produce il mondo, e una inspirazione provoca la sua scomparsa. Questo processo avviene da tutta l’eternità, e il nostro attuale universo è solo uno di una infinita serie che non ha inizio e non avrà fine •. Ma in questo aprirsi e chiudersi di porte del nostro spaziotemporale, dietro quale porta cercare Dio? 

Il famoso “conosci te stesso” è la risposta implicita alla nostra annosa domanda. “Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo”, ci insegnavano a recitare all’oratorio. 

Dio è anche in noi, Dio è una parte di noi, Dio è nell’uomo che si fa Buddha, Dio è nell’uomo che supera le prove iniziatiche che la vita gli pone. Dio è quell’essenza che lotta per venire alla luce, e non è assurdo pensare che saremo noi stessi a giudicare le nostre azioni e le nostre opere; ma non con la nostra attuale coscienza egoista, parziale e interessata, che ci induce ad essere tanto benevoli con noi stessi quanto malevoli siamo con il prossimo, che ci mostra la pagliuzza nell’occhio altrui ignorando la trave conficcata nei nostri occhi che ci impedisce di “vedere”. 

Sarà la nostra parte divina, la verità ora nascosta a giudicare. E giudicheremo noi stessi con lo stesso metro con il quale avremo giudicato gli altri. Questo è il potere della nemesi, la vera giustizia, la legge di causa-effetto, il karma o che dir si voglia. Soltanto il vero può giudicare il falso, poiché il falso non può conoscere la verità. 

Uscirà dal fondo dell’uomo l’anticristo che condurrà all’apocalisse. E sarà una battaglia tra le forze del bene e del male, non necessariamente combattuta a livelli atomici o mondiali. Sarà la lotta che ognuno già conduce dentro di sé, nel suo luogo segreto e interiore; una guerra che separerà i “giusti” dai “malvagi”, in cui il bene sarà scisso dal male, poiché le “forze” in noi si stanno accrescendo, stanno emergendo, stanno maturando un’evoluzione su due binari opposti. Forse allora il bene non sarà più commisto al male, e l’apocalisse non avrà più il significato che gli è sempre stato attribuito ingiustamente. Apocalisse significa rivelazione. Ma attenzione: rivelare significa svelare, sollevare il velo del segreto, ma anche ri-velare, riscoprire, rinascondere. Ciò significa che il “segreto” si mostra per attimi sfuggenti, si illumina e scompare di nuovo nel mistero. L’apocalisse si preannuncia dunque come una rivelazione: come il raggiungimento della verità. Il punto finale di uno stato di cose che prelude ad un nuovo inizio piu consapevole. 

Ci attende, ed è inevitabile, una “revolutio”, e sarà un’esplosione o un’implosione. Un buco nero o il Big-Bang di un nuovo inizio. Una battaglia che a livello esoterico si annuncia combattuta sui campi dell’anima, dove nella lotta tra gli avversari solo uno dovrà soccombere. 

La rivelazione è già iniziata, sebbene pochi se ne avvedano. Pensiamo alle parole di Cristo: «…Quando sentirete parlare di guerre vicine o lontane, non abbiate paura: tutto ciò deve accadere, ma non sarà ancora la fine… Ci saranno terremoti e carestie in molte regioni. Sarà come quando cominciano i dolori del parto… E quando vi arresteranno per portarvi in tribunale, non preoccupatevi di quel che dovete dire: dite ciò che in quel momento Dio vi suggerirà, perché non sarete voi a parlare, ma lo Spirito Santo». “Cristo annuncia quindi la “discesa” dello Spirito Santo negli ultimi tempi. Questa è la “forza”, la “luce” che si sta accrescendo e che ci condurrà a quanto fu annunziato per mezzo di Gioele: «Ecco – dice Dio – ciò che accadrà negli ultimi giorni: manderò il mio Spirito su tutti gli uomini: i vostri figli e le vostre figlie avranno il dono della profezia, i vostri giovani avranno visioni, i vostri anziani avranno sogni. Su tutti quelli che mi servono, uomini e donne, in quei giorni io manderò il mio Spirito ed essi parleranno come profeti…». Finalmente i doni dello Spirito saranno rivalutati, il veggente vedrà compresa l’origine della sua luce interiore, perché chi è stato scelto per “intendere”, intenderà. 

È bene precisare che anche in questo campo sarà saggio applicare la parabola 

dell’albero e dei suoi frutti. Bisognerà, cioè, saper discernere alla luce della propria verità e coscienza, i frutti del male che apparentemente sono assai simili a quelli del bene. Non dimentichiamo che il “falso profeta” ha conosciuto il cielo, ha collaborato alla “creazione”, ed è un buon imitatore dei poteri divini, sa mescolare la verità alla menzogna, sa illuderci che il nostro male sia il nostro bene. Non saranno i “negromanti” le stelle da seguire nella navigazione della notte dei “tempi bui”, ma ancora quelle “voci che gridano nel deserto” nel deserto di silenzio interiore della nostra epoca. 

Ma come uscire dal labirinto di confusione che è dentro di noi, quel labirinto formato da strade vane, da nozioni culturali e religiose acquisite passivamente? lo non possiedo il filo di Arianna, né ho la presunzione di conoscere la verità. Posso soltanto limitarmi a mostrare la strada scelta per ritrovare verità comuni, delle conoscenze vicine o lontane nel tempo e nello spazio. La ricerca parallela tra scienza, arte, religione, filosofia, mitologia e scienze esoteriche mi è sembrata un buon mezzo di conoscenza. L’uso costante di intuito e ragione mi ha aiutato a mettere da parte i pregiudizi, ad aprirmi ad ogni possibilità di verità, nella ricerca della libertà, nella libertà. La libertà offerta da un cammino non ostacolato da freni di imposizioni culturali o religiose. Uno svincolarsi da ogni sovrastruttura mentale per far affiorare il sentire più vero. Una ricerca dell’Amore compiuta con amore. 

Il centro del labirinto, meta da raggiungere è il tempio simbolico dello Spirito santo; è illuminazione, rivelazione, raggiungimento di Dio. È Buddhità, Nirvana o che dir si voglia, concesso a chi si accinge al viaggio e alle sue prove, con coraggio, amore, apertura mentale. Il labirinto è simbolo delle strade sbagliate, dei vicoli ciechi, delle anse del nostro cervello, ricerca di un centro di attrazione comune, di iniziazione spirituale, di superamento delle “prove” imposte dalla vita. Esso è il sogno di libertà (“Così conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”, Gv VIII – 32). 

Sono d’accordo: non si devono offrire perle ai porci, ma occorre almeno far conoscere la possibilità di salvezza a chi desidera tentare il cammino ma è offuscato dal rigido dogmatismo privo di anima, dalla scienza lontana di Dio. Con la speranza che per qualcuno il velo si sollevi, la mitica porta si apra. Ma attenzione: per vincere dobbiamo uccidere il mostro metà uomo e metà animale che è in noi, posto a guardia del segreto. Dobbiamo, cioè, combattere la nostra natura animale. E non limitarci all’uso della scienza. Icaro con le sue ali di cera si illuse di contrastare le forze della natura. Ma il sole lo abbatté, la legge di gravità lo precipitò di nuovo sulla terra. Ciò significa che non possiamo sfuggire alle prove che la vita ci impone. Sono proprio quelle prove lo scopo della nostra vita. Ed esse sono lì per renderci liberi. 

Diana Garland 

Da “Spiragli”, anno II, n.3, 1990, pagg. 31-39.

 




 L’altra medicina e silenzio stampa 

Sabato 9 marzo ’91 si é tenuta, nell’antica sala del Comune di Tarquinia, una Conferenza-stampa sul tema della Pronoterapia. durante la quale é stata conferita alla Dott.ssa Simona Cola una laurea “honoris causa” per la sua opera nel campo specifico. 

Alla Conferenza, presieduta dall’ex Sindaco di Tarquinia, Sen. Roberto Meraviglia e dal Presidente dell’Albo Professionale Europeo dei Pranoterapeuti, erano presenti, oltre alle telecamere della RAI, numerosi giornalisti e medici. Ma ciò che più attirava l’attenzione era il fatto che la grande sala fosse letteralmente gremita di pazienti ed ex pazienti entusiasti, pronti a testimoniare, ma soprattutto – e questo é ciò che più conta – tutti guariti o in via di guarigione. Quello che mi ha toccata profondamente. era la loro dignità, la loro serietà e serenità di giudizio; non si respirava aria di corte dei miracoli, ma quello stupore riconoscente di chi, dopo una lunga e indicibile sofferenza, spesso dopo essere stato dato per spacciato dalla medicina ufficiale, si ritrova improvvisamente, inaspettatamente in gioco, guarito senza sapersi dare una spiegazione, poiché era ricorso alla pranoterapia l’antica imposizione delle mani citata nei Vangeli – come ultima spiaggia, non avendo più nulla da perdere se non la vita stessa. 

Indubbiamente il soggetto da trattare era spinoso. Si doveva lottare contro la mentalità materialistica, e persino contro i propri pregiudizi morali e culturali. Per fortuna, poi, hanno parlato i fatti. 

Il Presidente dell’Albo, Mario Davanzo, bersagliato dallo scetticismo dei giornalisti, veniva quasi immediatamente richiamato all’ordine da uno di questi, per aver osato sfiorare un attimo la questione religiosa. Questo falso moralismo religioso non spiana certo la strada alla ricerca della verità. Ma mi domando quale fede abbia da salvaguardare una persona che solo a sentir parlare di miracoli si scandalizza. Con ciò non voglio dire che ci troviamo di fronte a dei miracoli, probabilmente tutto ciò accade perché possa essere spiegato – non si muove foglia che Dio non voglia – ma mi domando – ripeto – che tipo di fede si possa avere se si considera “il miracolo” come unico retaggio di antiche popolazioni ignoranti, le quali non potendo supplire con la cultura e la conoscenza, affidavano a Dio il loro destino, la loro salute, la loro stessa vita. Bene. Visto che Cristo sembra per molti essere morto su una croce definitivamente, forse è giunto il momento in cui gli scienziati – novelli detentori della “verità” – ci diano una razionale e ragionevole spiegazione di quanto accade. In mancanza di “prove” – visto che i fatti non bastano – nessuno di noi può permettersi dei pregiudizi, ma solo ed esclusivamente delle opinioni personali che non fanno testo. 

Io ho intervistato molti pazienti della Dott.ssa Cola, e ad ognuno ho chiesto, oltre all’esito della ·cura, quale idea si fosse fatto della pranoterapia. Devo dire che la platea era divisa equamente tra i fautori di una tesi energetica, naturale e scientificamente spiegabile (tra i quali il più convinto sembrava proprio un religioso) e i sostenitori del dono carismatico divino. Per dovere di cronaca devo riferire che una religiosa affermava di aver visto una stimmata sulla fronte di Simona: che ad una anziana signora appariva durante il trattamento una figura vestita di bianco ai piedi del letto, mentre ad altri sembrava addirittura che la pranoterapeuta assumesse un diverso aspetto. Tra questi, alcuni bambini. Anche queste “curiosità”, è chiaro, sono tutte da studiare e verificare. 

D’altra parte, lo stesso Mario Davanzo, nel suo discorso introduttivo, si manteneva sulle generali, affermando, ad esempio, che la pranoterapia non è una panacea universale: che può apportare miglioramenti in alcuni casi di artrosi, risolvere alcuni problemi nervosi e liberare da sintomatologie dolorose, ma che, certamente, non è in grado di guarire i tumori. E qui veniamo al dunque. Simona Cola ha guarito dei tumori. Ho sentito le testimonianze ed ho potuto consultare le documentazioni, le TAC, le lastre dei pazienti prima e dopo la cura. 

Il Davanzo si batteva per un progetto di legge giacente in Parlamento, con il quale si vuole ottenere il riconoscimento ufficiale della figura professionale del pranoterapeuta. Ciò, affermava, per operare una separazione del grano dalla gramigna, ovvero per selezionare un serio gruppo di pranoterapeuti ed evitare alla gente di cadere nelle mani di individui senza scrupoli, venditori di fumo e di illusioni, avvoltoi che gravitano attorno a gente malata, pronta a rivoltarsi le tasche pur di vivere o sperare di vivere. Sarà possibile questo nell’Italia dei raccomandati e delle bustarelle? In ogni caso, varrebbe la pena tentare, visto che in alcuni casi è stato proibito ai pranoterapeuti l’ingresso negli ospedali, sebbene richiesto da pazienti senza alcuna speranza, proprio a causa – o con il pretesto – della mancata professionalità. In realtà, i medici non dovrebbero sentirsi minacciati da questi operatori, i quali, va detto, non mirano a sostituirsi ad essi, ma desiderano soltanto collaborare. 

Quindi, ben venga una strumentalizzazione del “caso Cola”, se può servire una causa utile. Ma torniamo alla discrepanza tra l’affermazione che ‘la pranoterapia non guarisce i tumori” e le dichiarazioni dei pazienti usciti proprio dal tunnel di questo orribile male. 

Interrogato a tale proposito, il Davanzo affermava che indubbiamente si stava trattando di un caso eclatante. Ed è questo che voglio ripetere” poiché è molto pericoloso creare illusioni sulla pelle degli altri, e, cioè, per dirla senza mezzi termini, che non tutti i pranoterapeuti hanno le qualità, sebbene molti di essi siano ottimi “professionisti” ed ottengano risultati assai positivi. Ho parlato con alcuni di essi e consultato numerose opere sulla materia. Indubbiamente dalla pranoterapia si possono ottenere notevoli vantaggi, ma nessun pranoterapeuta, per sua onestà, ha mai affermato di poter guarire un tumore, né di poter – e qui veniamo ad un altro punto dolente – cambiare le informazioni del DNA. 

Vediamo alcuni casi. Un paziente presente alla Conferenza, affetto da poliomelite, dall’età di 15 anni, mi ha confidato di vedere il suo muscolo, prima del tutto atrofizzato, riattivarsi e crescere giorno dopo giorno. Un bambino miope, con un forte astigmatismo, dichiarato non curabile e destinato a una vita di occhiali, risultava aver recuperato 6 diottrie in pochi mesi di cura settimanale. Numerosi pazienti, in cura per esaurimento nervoso, dichiaravano di avere visto crescere sulla loro testa capelli perduti da anni, e non del loro originale colore: capelli neri su teste canute; capelli neri su teste bionde. 

Potrei citare numerosissimi altri casi, ma per questo vi rimando al libro che sto scrivendo: “Chi sei? Inchiesta su una guaritrice”. Qui vorrei invece soffermarmi su alcune considerazioni: se appare sterile parlare di miracoli, così appare indispensabile domandarci come possa accadere che un DNA venga “ristrutturato”, poiché di questo si tratta. Nel caso congenito dell’astigmatismo – che è una conformazione ovoidale anziché sferica della cornea – sembravano non esserci possibilità di regresso, a meno che non si cambiasse la forma della cornea. Oggi – sebbene il caso non sia ancora completamente risolto – c’è stato un notevole miglioramento della vista, probalbilmente proprio grazie ad un intervento sul DNA, poiché, lo ricordo, si trattava di un difetto congenito, ovvero di nascita, per il quale il DNA dell’occhio era programmato per vedere “male”. 

Lo stesso dicasi per i casi di pazienti biondi che hanno ottenuto la ricrescita di capelli neri. Le mani di Simona hanno in qualche modo impartito al DNA di natura – che è una sorta di “programma biologico personalizzato” che prevedeva sia i capelli biondi, sia l’età della loro caduta, sia il loro incanutimento – un diverso ordine. 

Ma cos’è questa energia? Da dove proviene, dal mondo spirituale o da quello materiale? È indubbiamente una energia positiva se il suo scopo è la salute. È indubbiamente una energia intelligente. se è in grado di uccidere le cellule malate e far proliferare quelle sane, se è in grado di mummificare. ma anche di rigenerare. 

Non credo esista attualmente qualcuno in grado di darci una risposta, esauriente. Ed anche se ci fosse, sarebbe molto difficile ottenerla. Simona Cola parla poco. Durante la Conferenza non ha parlato mai. Come sapesse ma non potesse dire. Non vuole che si sappia, ma da anni il mondo della medicina le è ostile, a parte quei medici che hanno beneficiato delle sue cure. E cito il Dott. Mariani, chirurgo di Tarquinia, perché ha avuto il coraggio di dichiararlo in pubblico. Da anni Simona Cola chiede di essere analizzata perché si trovino le risposte. Se ognuno di noi possedesse in latenza queste capacità, perché non saperne di più per imparare ad usarle per autoguarirsi? Oppure, se ciò non risultasse possibile, perché non cercare di scoprire se le facoltà della Dott.ssa Cola siano causate da meccanismi fisici, chimici, elettrici o spirituali? Perché le sue mani guariscono? 

Ma nessuno, sembra, vuole sapere. Ed ecco il silenzio-stampa che titola il mio articolo. Alla Conferenza, come ho già detto, erano presenti le telecamere della RAI e i giornalisti dell’ANSA. È passata una settimana ed il silenzio è sceso come un avvoltoio su questa verità. Neppure due righe in ultima pagina, neppure la voce di un giornale di provincia. 

Che cosa c’è dietro questo silenzio? L’interesse dei rattoppatori di carne umana? La paura della verità? L’orgoglio del proprio sapere? La sfiducia nella mano che Dio tende sempre agli uomini, in un modo o nell’altro? 

I fautori del silenzio sono pregati di rivolgersi esclusivamente alla medicina ufficiale in caso di bisogno. Di non venirsi a curare con gli occhiali neri e un falso nome. Tarquinia grida, qualcuno ha risposto, ma ora il silenzio è calato di nuovo sulla necropoli etrusca, sulla verità, sulle mani di Simona Cola che continuano a: lavorare e a guarire. 

Credo che la medicina ufficiale non possa più sottrarsi e che debba affrontare anche questo problema. Se questo non accadesse, se tutti continuassero a tacere, non si scandalizzi più quel giornalista che senta citare la parola “miracolo”. Cos’altro resta all’uomo, se non la speranza che la Provvidenza invii ancora sulla terra dei nuovi apostoli che sappiano lenire i nostri mali fisici e spirituali? Altrimenti per noi non c’è speranza. Non c’è speranza di allontanare da noi la “vecchia con le forbici”, perché tagli quanti fili? – magari a vent’anni? Siamo tutti qui, lungo la strada che inevitabilmente conduce a Thanatos, con la sola possibilità di soffrire, per gli interessi di quegli uomini che hanno sputato sul “giuramento di Ippocrate”. In un mondo nel quale, ancora, Dio parla, ma non viene ascoltato. E tutto diventa Silenzio. Un silenzio di morte. 

Diana Garlant 

Da “Spiragli”, anno III, n.1, 1991, pagg. 11-15