PINO GIACOPELLI, Quando verrà, Edizioni Fotograf, Palermo, 2008.

Quando verrà di Pino Giacopelli, un testo della maturità in cui confluiscono, amalgamate, in misure perfette, istanze poetiche di diversa germinazione e trovano un assetto espressivo efficace e denso. La poesia di Giacopelli ha sempre avuto più anime. Si è mossa in un andirivieni di accensioni che vanno dalle sperimentazioni labirintiche di Sanguineti e Pagliarani, fino alle sperimentazioni di Ezra Pound, ma non si è mai infossata nel gorgo morto che ha affidato ai soli significati il senso primo e ultimo del suo dire. Egli è poeta a tutto tondo, che sa discernere e valutare, riuscire a calibrare forti emozioni con rigore linguistico: «E adesso, come se un obliquo / pensiero avesse attraversato / improvvisamente la mia mente ormai / ròsa da false certezze / voglio capire essere sapere / e, soprattutto, non dimenticare che ogni / vera passione è senza speranza... » Ecco una dichiarazione di poetica: vuole capire, essere, sapere, cioè entrare per la via maestra dentro il senso riposto della vita, e per ottenere ciò non si deve passare dai circuiti consueti, ma cercare ciò che s’addensa dietro le facciate. 

In fondo, è la lezione dilatata di Baudelaire che serpeggia e riannoda Giacopelli ad una stagione felice della poesia, quella simbolista. Comunque, egli non si è adagiato in quel clima, ne ha tratto soltanto indicazioni da sviluppare ed è arrivato agli esiti odierni che sono soltanto suoi. A questo proposito, si leggano Perché tutto ricominci, E questo è il momento, Verso Nord, La leggerezza della parola, Siamo noi il futuro, testi emblematici di un percorso che ha saputo far tesoro della cultura e della vita per trarne il miele del canto fermo e robusto, capace di affrontare i temi più scabrosi, come quello della morte, con la serenità necessaria per guardarla in faccia e sorridere. 

Insomma, la saggezza si è congiunta con le passioni, i desideri si sono coniugati con la serenità e le parole ormai grondano di quelIa vita che occorre perché siano portatrici di messaggi alti, di inviti che travalicano la pura occasione e si fanno testimonianza dell’eternità. 

La poesia di Giacopelli, in altri termini, è consustanziata dalla necessità di squarciare il velo del rrustero e farlo diventare un incontro normale: «Da qui la mia aspirazione all’illimite / che si nutre di sguardi e si abbevera di assenze / in una sorta di tempo dell’anima / che mi riporta a maggio / nel suo fragare di odori sospesi nel!’ aria vuota / senza sconti sulla verità.» Giacopelli è poeta di grande tempra, rara oggi a trovarsi, poeta in pienezza, che sa maneggiare il verso con una perizia davvero invidiabile. 

Dante Maffia

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 65.




GIORGIA STECHER, Album, editrice «Il Vertice», Palermo, 2008.

 Di solito gli album, soprattutto quelli di famiglia, sono ingialliti dal tempo e a sfogliarli emanano odore di stantìo che respinge la curiosità e allontana l’interesse. 

Vi si accumula polvere e vi si abbarbica una patina rugginosa che smaglia le immagini e rende cupi i volti, sfuggenti le espressioni. 

Questo Album di Giorgia Stecher è riuscito a compiere un miracolo, ad annullare il tempo cronologico e ci dà ritratti che non hanno subìto contaminazioni. Pochi, essenziali connotati, qualche volta solo un particolare per focalizzare una persona che poi però è simbolo di un mondo, di un’epoca, di un clima. Forse perché «sono sempre con me! quelli che se ne andarono», come avvisa Giorgia in limine, le figure disegnate dal ricordo e dalla memoria appaiono vivi riflessi della poetessa che evita quasi sempre di raccontare senza ricorrere ad altri. 

Nella sua mente di artista le immagini si sono accumulate e adesso guardano idealizzando e partecipando, addirittura mitizzando taluni particolari che sembrano sfumature e sono invece il nucleo vitale delle esistenze. La zia Angelina che mette sette calze una sull’altra per difendersi dalla magrezza, zio Salvatore che inforca quattro lenti, sono elementi di rituali nei quali si risolveva la giornata, ma la poetessa non esalta e non s’identifica, la sua vita è interamente sua e non è proiettata nel passato e forse per questo il sapore che ne cogliamo è genuino e autentico, privo di finzione e di frustrazione. Per evidenziare ciò Giorgia mette a fuoco degli autoscatti, in modo che la sua vita si stagli nel suo percorso e non interferisca in quella degli avi e comunque delle persone che entrano a far parte dell’album. 

Il «vigile pudore» di cui parla Carmelo Pirrera mi sembra sia il tocco di finezza 

che regge queste poesie che sanno creare forti emozioni senza mai indulgere a false carezze o a momenti di nostalgia e sanno entrare nell’animo con forza e persuasione. Foto di Eufemio (ma anche Altra foto di mia madre) mi sembra compendii il volumetto nei suoi vari aspetti, aspetti che non restano nel loro limite e illuminano, con grande efficacia, anche ciò che sta dietro le cose, dietro l’apparenza delle forme. 

Dante Maffia

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 64-65.