Lo scrigno 

Miniracconto di Aluysio Mendonça Sampaio 

Nella penombra della stanza (o del passato?) uno scrigno di madreperla con fregi dorati. Del nonno era lo scrigno, chiuso a sette mandate. 

Non una, mille volte aveva tentato di scoprire il tesoro gelosamente custodito. 

Chiese la chiave, ma il nonno non rispose. La chiese alla madre ma lei fece una smorfia. Lo scrigno del nonno, lo scrigno del nonno … Ah l’infanzia perduta … 

Solo quando fu cresciutello, il nonno lo chiamò: «Voglio farti un regalo.» Era il suo compleanno. Lo prese per il braccio, teneramente, e lo trasse nella penombra della stanza. Si avvicinò al comodino dov’era lo scrigno. 

Sorriso sulle labbra, prese la chiave dalla tasca del gilè. Lentamente l’ accostò alla serratura. 

Il cuore del ragazzo batté come il trotto d’un cavallo. 

Quando lo scrigno si aprì, guardò dentro, trattenendo il fiato. Era tutto vellutato, con bordo di cordoncino dorato. 

Guardò il nonno sorpreso, come a dirgli: «Dove sono i gioielli, i brillanti, le monete? Dov’è il tesoro?» 

Sguardo malizioso, il nonno capì la domanda fatta con l’avido, impaurito linguaggio del silenzio. Con la sua voce di vecchio (molto vecchio) rispose: «Qui è custodito il bene più prezioso del mondo: il tempo.» 

Aluysio Mendonça Sampaio

Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pag. 41.




 SENZA NESSO / NON SENSO 

La macchina passa urtando contro il tempo. E investendo la vita, il tempo corre. 

L’uomo, fermo a un angolo di strada, fissa la donna carina che avanza. Forse immagina che la strada sia una passerella. Immagina un amplesso, il sesso, ma tra l’uomo e la donna non c’è un nesso. L’uomo resta fermo al suo angolo, indeciso, rosicchiando le unghie, in un monologo complesso: un roditore ha roso il manto del re di Roma e non ha una rosa o una prosa da offrire alla dama. Nel transito stradale, l’amore è diventato intransitivo. Sparisce la donna e il desiderio perisce. 

L’uomo alza il braccio per fare segno all’autobus. Il veicolo e il tempo che rotola nello spazio. Ma urtando tra le idee arriva alla conclusione che, fermando ma macchina, non fermerebbe la vita. 

Felice, si sente re di Roma, senza il roditore a rodergli le vesti. 

(Rei sem nexo, «L.B.» n. 46, Sao Paulo) 

Mendonca Sampaio Aluysio

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pag. 53.




 L’OROLOGIO 

Lungo è il silenzio della notte insonne, 
ha l’orologio i battiti del cuore. 
Tic tac, tocco incessante 
metallico dell’ attimo che passa, 
la cadenza marziale verso il nulla. 
Eppure 
è ridente il fluire della vita 
lo sbocciare di un fiore 
festa di luce il sorgere del sole. 
Nel suo ventre la vita 
ha il germe della morte, silenziosa 
lama che il tempo affila. 
Vorrei fermare il cuore delle ere, 
il nostro istante eterno, il nostro amore
perenne … Maledetto 
orologio, coscienza dell’ effimero, 
perché non la finisci di segnare 
il ritmo monocorde, 
del minuto che passa? 
Lasciami consistere nell’istante 
ch’è la mia eternità. 

Aluysio Mendonça Sampaio 

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 47.




 Il caso del tacchino 

novella di Aluysio Mendoça Sampaio 

Di là fuori risuonò forte il bussare a mano aperta. Si udì la voce ferma, stridente: «Ohè di casaaa …» 

Quasi imprecando, posò di lato il merletto che stava lavorando e si avviò alla porta. 

In piedi, reggendo a braccia un tacchino che faceva glu-glu-glu, un giovane bruno e spalluto, lo sguardo fermo e il gesto sicuro. Si era appena avvicinato alla soglia, che si udì la sua voce: «Donna Zeferina, suo marito mi ha chiesto di venire a prendere la sua macchina da scrivere e portargliela in ufficio per aggiustarla …» 

Donna Zeferina non nascose la sorpresa per il messaggio inaspettato. In merito, il marito non le aveva detto nulla, né aveva mai visto il messaggero. Con voce incerta rispose: «Ma lui niente mi aveva detto, niente di niente, andando al lavoro.» 

Con un sorriso a mezza bocca, il giovane disse: «Mah, vede come sono le cose? Nemmeno io potevo venire, poiché devo portare questo tacchino a casa del senatore … Ma suo marito mi disse che potevo lasciare qui il tacchino per portargli la macchina e di tornare poi a prenderlo. Così, non potevo negare il favore al signor Torquato …» 

Non ebbe più dubbi donna Zeferina. Prese l’uccello e si diresse al cortile per metterlo nel pollaio (le galline fecero in coro co-ro-cocò). Strusciando le ciabatte rientrò dalla cucina, si affrettò allo studiolo del marito, prese la macchina e tornò all’ingresso. 

Prima di andarsene, il giovane disse: «Poi vengo a riprendere l’animale. Se non non mi sarà possibile, manderò il mio amico Zé. Lo potrà consegnare a lui.» 

Si ritirò donna Zeferina nella sua stanza a sferruzzare col suo merletto. Così indaffarata, si scordò della vita, sinché l’orologio della sala sciolse i dodici rintocchi del mezzodì. E subito dopo avvertì i passi del marito che rincasava. 

Il signor Torquato non si era ancora seduto a tavola per il pranzo che lei si affrettò a domandargli: «Tutto a posto per la macchina?» 

«Che macchina?» 
«Quella da scrivere, che hai mandato a prendere.» 
«Ma io non ho mandato a prendere macchina nessuna … » 
«Ma se il ragazzo ch’è venuto a prenderla ha perfino lasciato un tacchino, che dovrà poi consegnare a casa del senatore … » 
«Tacchino? Macché! Sarà stato un malandro di strada. E vado subito a denunciarlo …» 

Si alzò deciso, malgrado la moglie insistesse: «Almeno mangia prima qualcosa 

Nossa Senhora, Madonna mia, com’è che ho potuto dare la macchina?» 

Torquato non stava a udire, nella foga. 

Non passò mezz’ora e donna Zeferina udì bussare alla porta là fuori. Era un picciotto con un testone mal sostenuto da un collo fino. Pareva confuso e rovesciò le parole. 

«Il signor Torquato manda a dire alla signora che il ladro della macchina è stato preso. E manda a dire che pure il tacchino era rubato. Perciò la signora me lo deve dare per portarlo alla polizia, ora stesso.» 

Con un sospiro di sollievo, donna Zeferina corse al pollaio (con le galline che 

fecero co-ro-cocò) ed ebbe un po’ da fare per prendere il tacchino (che faceva glu-glu). E fu quasi di corsa fino al portone. Consegnò l’uccello al ragazzo magro col suo testone e si applicò al suo ricamo per tutto il pomeriggio. 

Era già sera, la bocca della notte, quando il marito rincasò. 

La donna si stranizzò vedendolo a mani vuote e si premurò a chiedere: «Dov’è la macchina?» 
E lui: «Meno male ch’è rimasto il tacchino … » 
«Ma non l’hai mandato a prendere?» esclamò la donna, lasciandosi cadere sulla sedia. 

Aluysio Mendonça Sampaio

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 34-35




 HAIKU PER UNA PRORA IN MARE 

Naviga la mia nave solitudini 
nel mare senza fine 
verso orizzonti che non hanno approdi. 

Aluysio Mendonça Sampaio

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 63.




 CANZONE DEL QUOTIDIANO 

 

Può cadere la notte ed oscurarsi 
lo splendore degli astri … 
L’onda del mare 
continuerà a baciare l’arenile 
e le turgide dune della bionda 
sabbia. 
Si avrà sempre un’aureola 
a cingere di verde la montagna 
e ci sarà qualcuno nella notte 
sempre a sciogliere un canto, 
un ubriaco che alzerà il bicchiere 
e svestirà di senso le parole. 
Il fischietto del vigile notturno 
sarà un filo sottile dentro il buio. 
Ci sarà come ieri 
una scalea. di marmo e tra i gradini 
corpi distesi al freddo. 
Ci sarà un savio curvo sopra un libro 
ed una prima al cinema e a teatro 
e il pulcinella stretto 
al petto del bambino addormentato. 
Può calare la notte ed oscurarsi 
lo splendore degli astri … 
ma è tutto come prima il quotidiano. 
L’orologio non ferma il suo pulsare, 
come non ferma i battiti il mio cuore 
per te, 
che sei nel mio pensiero 
ornamento e sostanza, carne e sangue, 
sei luce, 
sei musica e parole del mio canto 
quotidiano. 
Può calare la notte 
ed oscurarsi il luccichio degli astri 
ma l’orologio 
là, sarà sempre a misurare il tempo 
anche dopo che il sole avrà lanciato 
saette sulla luna. 

Aluysio Mendonça Sampaio 

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 47.