Antoine de Saint-Exupéry e Il Piccolo Principe
«Le petit prince, qui assistait à l’installation d’un bouton enorme, sentait bien qu’il en sortirait une apparition miraculeuse, mais la fleur n’en finissait pas de se préparer à ètre belle. [ … ] Et puis voici qu’un matin, justement à l’heure du lever du soleil, elle s’était montrée. Et elle, qui avait travaillé avec tant de précision, dit en bàillant: – Ah! je me réveille à peine… Je vous demande pardon … Je suis encore toute décoiffée …
Le petit prince, alors, ne put contenir son admiration: – Que vous
ètes belle!
– N’est-ce pas, répondit doucement la fleur. Et je suis née en mème temps que le solei!…” (*)
Negli anni della fanciullezza avevo letto Il Piccolo Principe, ma non gli diedi, allora, il peso dovuto. Non avevo colto nel vivo il suo messaggio: lo avevo letto come un bel racconto e basta. Tutto era finito li, come tante altre letture.
Ricordo di avere ammirato la semplicità, la dolcezza con cui il protagonista, un ragazzino biondo, si muove e agisce, ma, per il resto, non ero andato oltre. Ci sono dei momenti in cui non si dà spazio a cose che, magari, ripresentandosi, acquistano un significato cosi forte e pregnante da sentirne il fascino e da assaporarle.
Diversi anni dopo la relazione deludente e dissacratoria sul Piccolo Principe, tenuta da una signora agli studenti stranieri di una scuola parigina, mi produsse una reazione contraria; accese in me il desiderio di rileggere il libro, se non altro, per constatarne di persona la validità e considerarlo per quello che effettivamente è. Per me fu come se lo leggessi per la prima volta, come se quel ragazzino biondo mi si rivelasse nella sua totalità e mi dicesse, da buon amico. le piccole grandi verità che fanno l’uomo e lo rendono degno della vita.
Il Piccolo Principe è un libro stupendo, un monumento imponente della letteratura mondiale, che chiunque dovrebbe tenere caro e di tanto in tanto leggere, perché è patrimonio di tutti e parla la lingua semplice che va diretta al cuore per nobilitarlo e per rinsaldarlo nei valori, a cui l’uomo non può e non deve rinunciare.
Esso trova la molla ispiratrice nell’infanzia:
«Chiedo perdono ai bambini di aver dedicato questo libro ad una persona adulta. [… ] Tutti gli adulti sono stati bambini una volta. (Ma pochi di essi se ne ricordano)…»
In questa dedica a Léon Werth, che in sintesi preannuncia la dicotomia presente nel libro (il mondo dell’infanzia e quello degli adulti, evidenziando cosi due livelli di lettura), è riflesso lo stato d’animo del suo autore, che nei momenti più tristi soleva rivedersi bambino, ricreando i fantasmi buoni di quell’età.
***
Il piccolo principe, allora, non poté contenere la sua ammirazione: – Che sei bello!
– Vero, rispose dolcemente il fiore, e sono nato insieme al sole…”
Antoine de Saint-Exupéry fu scienziato e pilota, pensatore profondo e scrittore, ma, soprattutto, poeta degno di essere chiamato tale, perché in ogni suo scritto c’è l’uomo, vivo, parlante, che agisce e si muove sempre in direzione dell’uomo e per l’uomo.
Di famiglia aristocratica (nato a Lione il 29 giugno 1900, scomparso durante una ricognizione aerea sulla regione di Grenoble-Aubérieu-Annecy il 31 luglio 1944, per un guasto al motore del suo aereo, secondo alcuni, abbattuto dalla contraerea tedesca, secondo una fonte più accreditata), Antoine de Saint-Exupéry fu nella vita un signore, dedito al bene del suo Paese e del prossimo. Un signore come il suo piccolo principe, lui, piccolo grande principe alla corte dell’uomo.
L’impegno che lo caratterizzò fu frutto di un’intima esigenza di partecipazione e di dedizione agli altri, mai un bisogno di emergere e di farsi notare. Era tanto schivo quanto grande per non curarsi di quello che si diceva sulla sua opera, motivo di spunti polemici per i detrattori, mossi da invidia di mestiere piuttosto che da argomentazioni serie e degne di essere considerate. Dapprima gli si rimproverò che la sua letteratura era esperienza
vissuta (Courrier Sud, 1929; Vol de nuit, 1931; Terre des hommes, 1939; Pilote de guerre, 1942), ma quando cominciò a interessarsi più apertamente dell’uomo, come se ci fosse uno stacco tra le prime e le opere successive, non venne accettato nelle vesti di saggista e di pensatore.
Nelle opere di Saint-Exupéry non c’è stacco alcuno, non c’è il passaggio da un argomento ad un altro; la tematica è la stessa, dalla prima all’ultima. Cambia, semmai, l’approccio, seppure gradatamente, perché lo scrittore darà più peso alla riflessione; ed essa non è dovuta al mero ragionamento, che avrebbe trovato il tempo che vuole, ma diviene più insistente, perché più ricca è l’esperienza acquisita. Altrimenti Antoine non ne sarebbe stato capace: in lui l’azione, il vissuto quotidiano, precedono la scrittura; e questo sempre, anche in quelle opere che meno lo fanno notare, come ne Le petit Prince.
Écrits de guerre (1939-1944) ce lo conferma con molta evidenza: quando ha la possibilità di volare, per rendere un servizio al suo Paese, Antoine è allegro, dimentica i dolori delle tante cadute, giuoca, come a Napoli, librando aquiloni tra le grida festose dei bambini, si sente di avere «un cuore di vent’anni» (1); quando, invece, non gli si consente di volare per l’età avanzata, allora è triste, gli sembra avere «notte nella testa e freddo nel cuore», e non è capace di scrivere. Ecco cosa dice in un’intervista rilasciata a Dorothy Thompson di “The new York Tribune” e pubblicata il 7 giugno 1940:
« – Vi sbagliate appieno, ha risposto. Nessuno, attualmente. ha il diritto di scrivere una sola parola se non partecipa personalmente alle sofferenze della società. Se non opponessi la mia stessa vita, non sarei capace di scrivere. E ciò che è vero per questa guerra deve essere vero per tutte le altre cose. Bisogna servire l’idea cristiana del Verbo che si fa Carne. Lo si deve scrivere, ma con i! proprio corpo (2)»
Il mestiere di pilota, che Antoine de Saint-Exupéry esercitò dal 1927 fino all’anno della morte e che dà lo spunto ai libri sopraccitati, non lo chiuse agli uomini, come si sarebbe potuto verificare; anzi, operò in lui una metamorfosi rispetto al giovane aristocratico che era stato, L’altitudine lo avvicinò alla terra e all’uomo più di quanto si possa immaginare e gli fece amare la vita, con lo stesso entusiasmo e la commozione di quando si trovava dinanzi ai cartoni animati di Walt Disney.
Antoine de Saint-Exupéry non è il narratore dei suoi voli, bensì il poeta innamorato degli uomini e delle sue cose. Il volo gli apre il cuore all’ascolto di milioni e milioni di altri battiti che, seppure a diecimila metri, negli agglomerati urbani, minuscoli e lontani, o nelle lanterne delle singole abitazioni, sono in stretta comunione con lui.
«Ed ora, come un guardiano nel cuore della notte, scopre che la notte evidenzia l’uomo: i suoi richiami, le sue luci, questa inquietudine. Una semplice stella nell’ombra: l’isolamento di una casa. Essa si spegne: è una casa che si chiude sul suo amore. O sulla sua noia. È una casa che cessa di far segnali al resto del mondo. Non sanno cosa sperano quei contadini seduti attorno alla tavola dinanzi al loro lume: nella grande notte che li circonda non sanno che il loro desiderio va tanto lontano. […] Quegli uomini credono che la loro lampada splenda per l’umile tavola, ma a ottanta kilometri da loro, qualcuno è già toccato dal richiamo di quella luce, come se essi l’agitassero disperati, da un’isola deserta, davanti al mare (3)».
Nelle opere successive il richiamo all’uomo diviene sempre più insistente. Già Terre des hommes inizia con una dichiarazione molto significativa: la terra ci insegna a conoscere noi stessi più che tutti i libri messi assieme (4). Vale a dire che basta guardare attorno per considerarci e apprezzarci per quelli che siamo, senza torcere mai l’occhio da questo che dovrebbe costituire il nostro vero interesse: conoscere e amare l’uomo.
Antoine de Saint-Exupéry ama e considera l’uomo senza andare lontano, attorno a sé: nell’aereo che pilota, nei compagni di lavoro, nella solitudine del deserto. Non è facile, se si considera che spesso barriere invisibili e insormontabili si frappongono al nostro cammino, rendendoci ciechi sopraffattori di noi stessi.
In Pilote de guerre, pubblicato nel 1942, c’è la consapevolezza di una guerra impari e assurda che, nonostante tutto, andava combattuta.
«Noi lottiamo in nome di una causa che consideriamo causa comune. È in giuoco la libertà, non soltanto della Francia, ma del mondo: consideriamo troppo comodo il ruolo di arbitro. Ma siamo noi che giudichiamo gli arbitri (5)».
Nel suo racconto Antoine affronta da uomo, prima che da soldato, l’amara realtà, andando indietro nel tempo, alla sua infanzia, quasi per crearsi un baluardo, un blocco di forza che lo faccia resistere e continuare. E qui non è più il pilota – scrittore con cui abbiamo a che fare, è il poeta che qua e là emerge con prepotenza e s’impone per dire delle verità molto elementari, che durano fatica ad essere prese in considerazione, eppure fanno parte di noi e per questo occorre reimpossessarcene per renderci degni della vita che, altrimenti, non avrebbe senso.
A maggiore conferma di quanto abbiamo esposto, dobbiamo rifarci a Citadelle, l’opera postuma, di cui era geloso, e a cui affidò tutto se stesso. Il titolo, che tradotto significa “fortezza”, è molto indicativo, perché è una fortezza costituita da quei valori (l’amicizia, l’amore, la libertà, la giustizia, la famiglia, il senso di Dio, ecc.) a cui l’Autore è attaccato morbosamente e che difende a spada tratta, riprendendoli, sottolineandoli nella loro importanza, andando contro i pregiudizi, smussando i contrasti, dando ascolto ai sentimenti, perché l’uomo possa emergere nella sua totalità.
Antoine de Saint-Exupéry, lontano da ogni ideologia, tende al recupero della parte più buona e sana dell’uomo («Se voglio giudicare il cammino, il cerimoniale O il poema, considero l’uomo che ne viene fuori. O meglio, ascolto il battito del suo cuore» (6)) in nome di un umanesimo integrale che lo veda finalmente all’unisono con gli altri per costruire un mondo migliore, dove, non esistendo più le velleità che rendono vani i nostri sforzi, egli possa volgere la sua attenzione a ciò che c’è di vero e di duraturo.
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Nel Piccolo Principe, come del resto in ogni altro suo libro, Antoine de Saint-Exupéry dichiara la sua professione di pilota e si presenta tale, pur trovandosi in una situazione poco piacevole di forzato riposo. Questa dichiarazione è importante, perché viene a confermare quanto abbiamo detto, che, cioè, l’azione precede ogni suo scritto, anche quelli – come in questo caso – che in parte sono frutto di inventiva e di immaginazione.
Nella notte fra il 30 e il 31 dicembre del 1935, nel tentativo di stabilire con il suo aereo Simoun un primato nella trasvolata Parigi-Saigon, un guasto al motore lo costringe a fare un atterraggio di fortuna nel bel mezzo del deserto del Sahara, a 200 km. del Cairo. Verrà soccorso, assieme al suo meccanico André Prévot, da una carovana di nomadi, dopo una lunga ed estenuante marcia.
A parte la permanenza in Africa, che gli fece apprezzare la pace e la solitudine del deserto, questa avaria gli procurò un’esperienza che non poté mai dimenticare e che qua e là affiora nella sua opera.
«Ricordo il giorno in cui, essendomi smarrito in inviolate distese. mi sembrò dolce, quando ritrovai le tracce dell’uomo, poter morire tra i miei. Ora, niente distingueva un paesaggio da un altro, se non da lievi impronte nella sabbia. per metà cancellate dal vento. E tutto era trasfigurato.» (7)
Di fronte alla tragica fine che si sarebbe potuta verificare di lì a qualche giorno, o a poche ore, in mancanza d’acqua, invece di chiudersi dinanzi al pericolo minacciante, si apriva alla comprensione e all’amore del suo simile, materialmente lontano, ma molto presente e vicino al suo cuore.
Il Piccolo Principe maturò nel clima della comprensione e nella calma del silenzio, piano piano, come il bocciolo della rosa, in un momento particolare della vita dell’uomo e del poeta, che viveva in prima persona un’esperienza di guerra atroce e fratricida pronta a svuotare ogni nobile sentimento e a rendere vano il tentativo di quanti volevano fermarla. Di qui la tristezza che è del piccolo principe, ragazzino biondo con i capelli sciolti al vento, pensoso più di quanto non lo fossero gli adulti, capace di agire e di giudicare, perché lontano dai loro interessi e pregiudizi. Eppure, guardando gli uomini, li commisera per la loro stoltezza, ma li ama per il fondo buono che li accomuna.
Già il titolo dice molto. Vero che ci troviamo dinanzi ad un piccolo principe, ma, a tutti gli effetti: egli ha l’autorità di un principe. Non appartenendo a questa terra, è come un angelo, proveniente da un asteroide lontano. Si è venuto a trovare cosi, senza volerlo, in quel regno grande, di cui fanno parte gli uomini che egli richiama con l’autorità disarmante dei piccoli, spesso capaci di mettere in difficoltà i grandi. In poche parole, è come un extraterrestre che s’avvicina agli umani, ma, nel momento che lo fa, trova molto strano il loro comportamento.
Antoine de Saint-Exupéry inizia il libro (cap. I) con un ricordo della sua infanzia accompagnato da alcuni disegni che gli diedero l’opportunità di conoscere gli adulti e di diffidare di essi, visto che i loro interessi non corrispondevano ai suoi.
Un colloquio, un vero rapporto di amicizia, lo avrà più tardi, per caso, con il piccolo principe, e il ricordo di quei disegni d’infanzia lo aiutò molto a comprendere il bambino biondo e le sue esigenze. Sicché la sosta nel deserto gli fu piacevole e salutare, più che stare con gli uomini, perché lo fece meglio accostare ad essi. Questo dominante senso del reale è il motivo per cui Antoine non iniziò la sua storia come di solito iniziano le fiabe; volle che fin dall’inizio venisse considerata come un racconto (<<Perché non voglio che il mio libro si legga con leggerezza» (8), con il rispetto e l’importanza che gli sono propri.
Così, dopo i primi approcci (siamo ai capitoli II-VIII, e passeranno alcuni giorni perché Antoine ne venga a conoscenza), il piccolo principe paleserà i suoi sentimenti, i suoi timori, le apprensioni e l’insofferenza verso il complicato e il cervellotico propri degli adulti, l’amore per le cose a cui essi non danno tanto peso.
I capitoli XI-XXIII raccontano il viaggio che il bambino biondo compie per arrivare nel pianeta Terra, mentre il XXN riprende il dialogo tra lui e l’autore ed ha il suo culmine nel XXVI capitolo, quando il piccolo protagonista muore per far ritorno nel suo asteroide. Solo allora Antoine si reimpossessa del racconto e nel XXVII capitolo vuole rendere consapevole l’uomo di ciò che ha importanza e che realmente resta.
Antoine de Saint-Exupéry è uno scrittore che non schematizza ciò che sente di scrivere; ubbidisce solo agli stimoli che via via riceve e li struttura senza badare ad una vera e propria architettura del racconto. Sicché la struttura che abbiamo evidenziato è il risultato a cui l’autore è pervenuto, non il tracciato che si era prefisso. Ecco cosa scrive a proposito:
«Se, prima di scrivere, delineo a tratti qualche piano della mia opera [… l. non sarà quello schema a condizionarla. Altro non è che l’espressione dell’opera da scrivere. Perché evidentemente l’essenziale si presenta per prima cosa come struttura.» (9)
Uno scrittore non può essere condizionato dagli schematismi; guai se fosse così, tutto andrebbe a scapito della creatività, che altro non è se non la libertà di esporre e di esporsi, come hanno fatto da sempre i veri scrittori, come Antoine, in questo e negli altri suoi libri.
Per quanto riguarda il tempo in cui si svolge l’azione, Antoine de Sainte-Exupéry ci dà una precisa indicazione. Nel suo libro si rifà ad un guasto al motore del suo aereo e il riferimento risale alla fine di dicembre del 1935, anno della sosta forzata nel deserto del Sahara (101. Il Piccolo Principe verrà scritto nell’estate del 1942.
Lontano dagli uomini e dal mondo, al secondo giorno di sosta, Antoine ebbe la visita o, meglio, si trovò dinanzi, con un’apparizione improvvisa, il piccolo principe e con lui colloquierà per otto giorni (nella realtà rimase tre giorni nel deserto prima che arrivassero gli aiuti), giusto il tempo per non morire di fame ed essere tratto in salvo, e anche il tempo perché il bambino biondo potesse ritornare nel suo asteroide.
A parte il primo giorno, in cui Antoine fu veramente solo («Mi sentivo molto più isolato di un naufrago su una zattera in mezzo all’Oceano») (11), gliene bastarono sette perché potesse scoprire il mondo umano e spirituale del piccolo principe e innamorarsene fmo al punto di farsene banditore e amarlo.
L’azione, quindi, si svolge nel bel mezzo del deserto, per quello che attiene al racconto dell’autore, mentre, per quanto riguarda quello del piccolo principe, in buona parte, nell’immensità dello spazio planetario, costellato da una miriade di asteroidi, alcuni dei quali visitati prima di scendere sul pianeta Terra.
«La Terra non è un pianeta qualsiasi! Vi si contano centoundici re (non dimenticando. certo, i re negri), sette mila geografi, novecento mila uomini di affari, sette milioni e mezzo di ubriachi, trecentoundici milioni di vanitosi, vale a dire circa due miliardi di adulti.» {l2)
Se circoscritta e limitata la vita negli asteroidi, immensa appare al piccolo principe la Terra, molto varia nei paesaggi e nei suoi abitanti, ma altrettanto aperta a tutte le aspettative e al bene. Sicché, lo spazio reale di Antoine e quello illusorio degli asteroidi del piccolo principe risultano integrati in un’unica concezione della vita che, a sua volta, lega i due in un’amicizia indissolubile molto costruttiva e offre loro l’opportunità di riflettere sulle cose e sugli uomini. Ne deriva che la narrazione è un misto di monologo, di forma indiretta e di dialogo, ma essa diviene via via più serrata verso l’ultimo, quando comincia ad essere più manifesto il messaggio del libro e il ruolo del piccolo protagonista.
Il monologo smorza ed esplica il dialogo, come se l’io narrante prendesse coscienza delle verità che vanno emergendo dalle brevi battute e dalle secche domande dell’interlocutore, perché ogni domanda e ogni battuta non sono dette a caso e, più che un senso, hanno una motivazione ben precisa: mirano ad asserire qualcosa che già per lui è scontata, ma passata sotto silenzio e trascurata dagli adulti, che di ben altro si curano. Perciò, all’inizio, c’è una specie di incomprensione e solo dopo abbiamo la presa di coscienza e l’attaccamento al piccolo principe e al suo insegnamento.
«Mi ci volle molto tempo a capire da dove venisse. Il piccolo principe, che mi poneva molte domande, sembrava che non sentisse le mie…»;
«ogni giorno imparavo qualcosa sul suo pianeta, sulla partenza, sul viaggio. Aweniva pian piano, per via di riflessioni. ..».
«Ah, piccolo principe! Ho capito cosi, a poco a poco, la tua piccola vita malinconica. Non avevi avuto tanto per distrarti se non la dolcezza dei tramonti. Ho appreso questo nuovo particolare il quarto giorno, quando mi hai detto: – Mi piacciono i tramonti. Andiamo a vedere un tramonto… » (13)
Così il distacco, con cui Antoine aveva accolto il piccolo principe, cede il posto ad una curiosità che va al di là del semplice voler conoscere. Tra i due comincia ad instaurarsi un’amicizia e una comunione d’intenti che difficilmente possono essere intaccate.
L’io narrante dell’autore-pilota espone in prima persona, dal I al IX capitolo, le conoscenze acquisite sul piccolo principe e il suo mondo. Successivamente, a partire dal X fino al XXIII capitolo (il tempo necessario perché questi potesse esporre le tappe del suo viaggio e gli incontri avuti), la narrazione si serve della terza persona, Solo nella parte finale, dal XXIV al XXVII capitolo, il discorso riprende alla prima persona, quasi a voler sottolineare il ritorno alla Terra, alla realtà del guasto e del deserto o, forse, per dare meglio l’idea che ciò che viene detto interessa da vicino e tocca fino a scuotere l’io profondo.
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Proprio per questo, il vero protagonista del racconto è no, voce e silenzio della nostra esistenza; è no che non si riconosce tra le storture esistenti e vuole evadere; ma, nel momento in cui lo fa, prende consapevolezza, s’afferma e s’impone per quello che è: buono, desideroso di vivere in armonia con sé e con gli altri; e, per far questo, ha bisogno di confrontarsi e fare delle scelte.
Chi sono, allora, gli altri personaggi? A ben guardare, è il mondo dei tanti io di quanti è effettivamente formato, ed è anche e soprattutto il mondo del poeta, frastagliato e ricco di nobili aperture.
Ma Antoine de Saint-Exupéry rimane nell’ombra ed è di supporto al piccolo principe, a cui crede profondamente. Sicché, egli segue sul filo del racconto il piccolo amico; qua e là interviene, il più delle volte si mette dalla parte dell’uomo, subisce per dare spazio alle acquisizioni e per meglio evidenziare quei bisogni che, pur essendo dell’uomo, spesso non vengono apprezzati o, addirittura, ritenuti di altro tempo e di altro luogo, di un asteroide, anziché della Terra. Per questo, spesso si chiude in se stesso e riflette. C’è nella vita di un uomo un momento in cui si comincia a fare un bilancio, accorgendosi che si è realizzato ben poco di quanto si sarebbe potuto fare. Antoine, a 43 anni («Il giorno delle quarantatre volte eri dunque talmente triste?» (14)), avendo sentore della propria fine, guarda indietro nel tempo e si rivede, con i sogni belli che lo aprivano alla vita, nel mondo favoloso e puro dell’infanzia. Si rivede, magari, a giuocare al cavaliere Aklin, con accanto Paula, la cara governante e compagna di giuochi rievocata in Pilote de guerre (15).
Ed ecco venir fuori come dal nulla il piccolo principe, il ragazzino biondo dai capelli al vento, che non si accontenta di una risposta e insiste nella sua semplicità di fanciullo. È l’irradiazione a 360 gradi dell’innocenza che stenta a capire (e non ammette) le banalità di cui è piena la vita e s’adopera perché si dia spazio ai sentimenti; è l’alter ego di Antoine che finora ha urtato contro gli interessi degli adulti, ed è anche la bontà che nel silenzio apre strade aperte da sempre e sempre trascurate per manie di grandezza e di superiorità, e gli uomini gli appaiono bizzarri e strani, poco affatto straordinari.
«Che strano pianeta! pensò allora. È secco, pieno di punte e tutto rovinato. E gli uomini mancano d’immaginazione. Ripetono ciò che si è detto loro… Da me avevo un fiore: parlava sempre per primo… » (16)
La malinconia del piccolo principe è data dal disagio di vivere e dalla constatazione che è difficile contrastare con le abitudini consolidate e ritenute buone. Sicché, a mano a mano che è preso da questa consapevolezza, diventa sempre più nostalgico per ciò che ha lasciato (per il suo fiore, per i tre vulcani, anche per la solitudine che gli permetteva di essere se stesso) e medita il ritorno nel suo asteroide incontaminato.
Tutti gli altri personaggi (il re, il vanitoso, l’ubriacone, l’uomo d’affari, il geografo) sono delle comparse; rappresentano gli adulti con i loro interessi e le loro meschinità e, come tali, hanno un’azione limitata, quasi a dire che non bisogna loro dare tanta importanza.
Un posto a parte occupano, invece, la volpe e la rosa. Contrariamente a quanto si possa pensare, esse avvicinano il piccolo principe agli uomini. “Addomesticata” prima la rosa, poi la volpe, sarà la volta di Antoine e di quanti accolgono il messaggio di amicizia e di amore di cui si fanno banditori.
A differenza di tutta la favolistica antica e moderna, che presenta la volpe furba, pronta a rubare e a scappare, mettendo nel sacco i suoi antagonisti, la volpe del Piccolo Principe è solo guardinga, agisce per spirito di conservazione, ma è fondamentalmente buona e tende ad addomesticare, come farà con il piccolo principe, e si rivela saggia.
«Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. […] – Gli uomini hanno dimenticato questa verità, disse la volpe. Ma tu non devi dimenticarla. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile per sempre della tua rosa… » (17)
Questa della volpe è una toccante umanità che, se coglie sulle prime di sorpresa, rende consapevoli e fa molto apprezzare ciò che ci appartiene: la vita e, con essa, l’amore in ogni sua manifestazione.
La rosa è una protagonista silenziosa. Sicura della sua bellezza, degna di ogni attenzione, più che parlare, fa parlare. Antoine la descrive sul nascere, e il piccolo principe la vede gonfiarsi di giorno in giorno e aprirsi. La sua semplicità, il mostrarsi cosi com’è («Il piccolo principe, allora, non poté contenere la sua ammirazione: – Che sei bello! – Vero, rispose dolcemente il fiore, e sono nato insieme al sole…»), potrebbero irritare ed invece conquistano e la fanno amare, perché niente può contrastare con la purezza che di per sé rende molto docili e arrendevoli.
Antoine de Saint-Exupéry, sempre puntuale persino nei dettagli, scrive e descrive ciò che vede e, d’altronde, non poteva essere cosi per uno, come lui, abituato all’osservazione. Pertanto, come abbiamo già notato, il vedere e l’osservare, per lui, vengono prima dello scrivere (l8).
Nel Piccolo Principe ne costituiscono anche una prova i disegni che lo corredano e che sono di supporto a tutto il discorso.
«Quando avevo sei anni, vidi, una volta, un magnifico disegno in un libro sulla Foresta Vergine intitolato “Storie vissute”. Rappresentava un serpente boa che mangiava una belva. Ecco la copia del disegno.» (19)
Il racconto del piccolo principe è una trasposizione del vissuto, e l’affabulazione si serve dei dati oggettivi dell’esperienza: il volo, il guasto, la presunzione che è negli adulti e il bisogno di ridimensionamento.
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Nel Piccolo Principe è compendiata la tematica sviluppata negli altri scritti, siano essi racconti, romanzi o saggi. Il volo o l’aeroplano in Antoine de Saint-Exupéry non sono motivo di esaltazione o di spinte nazionalistiche, bensì occasione di incontro con il piccolo principe; non evasione, ma avvicinamento all’uomo, un modo per comprendere meglio il finito e ciò che lo circonda. Per questo, ricorre spesso alla figura del giardiniere, e lo vorrebbe essere lui stesso («Ero fatto per essere giardiniere») (20), ma di buoni propositi e di valori; di quei valori e di quei propositi che elevano, allo stesso modo dell’aereo, l’uomo e lo rendono umanamente accettabile, e solo così la vita gli sorride.
La solitudine e l’ascolto del deserto riportano Antoine nel mondo o, meglio, nei tanti mondi in cui si frastaglia: quello degli adulti, che offre lo spunto (spesso in negativo) a tanta riflessione, e quello dei bambini e delle creature, come la volpe e la rosa, più bello, più umano e sicuramente degno di tanta considerazione. Se nei primi, però, la descrizione tende all’ironia, negli altri al sentimento, che viene recuperato senza peraltro cadere nel sentimentalismo, cosa che alcuni gli rimproverano (21).
Il deserto stesso non lo apre alla solitudine, ma costituisce motivo di ascensione e di arricchimento; esso non è chiusura con il mondo, è bisogno di ricerca: chi insiste troverà l’acqua dissetante per sopravvivere.
«- Il deserto è bello, aggiunse. Ed era vero. Mi è sempre piaciuto il deserto. Ci si siede su una duna di sabbia e non si vede niente, non si sente niente. E tuttavia qualcosa splende in silenzio…
– Ciò che rende bello il deserto, disse il piccolo principe, è che nasconde un pozzo in qualche parte… » (22)
Un pozzo è la speranza della vita, e la distesa ondulata di sabbia è capace di far «germinare e crescere come un sole»(23), L’incontro fortuito di Antoine con il bambino biondo nel bel mezzo del deserto fa nascere un’amicizia destinata a consolidarsi e offre lo spunto per una presa di coscienza contro il male, che affonda le radici dovunque (i baobab), e contro ogni pretesa degli adulti che danno peso al caduco («Gli uomini s’infilano nei rapidi, ma non sanno più cosa cercano. Allora s’agitano e girano attorno…»)(24), trascurando la semplicità del vivere nel rapporto disinteressato con gli altri. Così gli adulti, incapaci di svincolarsi dai loro interessi, sono oggetto di ironia.
La solitudine nel Piccolo Principe, come negli altri libri di Antoine de Saint-Exupéry, è soprattutto riflessione, bisogno di silenzio per favorire l’ascolto di quanto c’è di buono. Essa apre ai contatti, e se non propriamente a quei rumorosi che poi non dicono niente, di sicuro a quelli che sanno crescere e ingrandire come il bocciolo della rosa. Sicché la volpe, dopo essere stata addomesticata può dire: «Non si vede bene che con il cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi». Questo “essenziale” differisce la volpe e la rosa dalle altre simili a loro, e avvicina e lega Antoine al piccolo principe.
Ecco cosa dice il piccolo principe a proposito della rosa:
« – Voi non siete affatto simili alla mia rosa, voi non siete niente. Nessuno vi ha addomesticato e voi non avete addomesticato nessuno. [… ] Voi siete belle, ma vuote. Non si può morire per voi. Certo, un passante qualsiasi crederebbe che la mia rosavi rassomigli. Ma lei sola, lei è più importante di tutte voi, poiché è lei che ho innaffiata. Poiché è lei che ho messa al riparo. Poiché è lei che ho tutelata con il paravento. Poiché le ho uccisi i bruchi (eccetto due o tre per le farfalle). Poiché è lei che ho ascoltato lamentarsi, o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Poiché è la mia rosa» (25)
– Ce qui embellit le désert, dit le petit prince, c’est qu’il cache un puits quelque part…»
L’amicizia e l’amore vengono presentati nella loro luce migliore ed acquistano un effetto particolare perché è un bambino a farli riscoprire, nella semplicità dei suoi incontri, nell’attaccamento e nella dedizione con cui si dà agli altri, dando un esempio di come l’uomo può vivere a sua misura e a contatto con il prossimo.
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Antoine vuole riportare l’uomo (lui che s’ostinava a scrivere questo termine a caratteri maiuscoli) nella condizione di riappropriarsi ciò che gli appartiene (l’amicizia, l’amore, la gioia di vivere nella libertà e nell’espletamento dei propri sentimenti, l’attaccamento alle piccole cose), ma vuole anche sia bandito il male che si manifesta con il vizio o dando troppa importanza alla materialità, che rende seriosi, facendo uscire dall’umana dimensione.
Ricorrendo ad un’immagine un po’ forzata, ma pregnante, Antoine è l’amante tradito che finge di non sapere niente pur di riconquistare l’amata e, per far ciò, ripercorre con la mente e con il cuore i tempi belli e i luoghi che lo videro felice. Di qui la forte malinconia che è alla base del libro, non dettata, comunque, dal pessimismo, bensì dal sincero bisogno di recuperare ciò che è suo e che, purtroppo, sente lontano, perché altri interessi, altre motivazioni lo distolgono e lo assorbono.
«Era veramente molto irritato, e scuoteva al vento i suoi capelli dorati: – Conosco un pianeta dove c’è un signor chermisi. Non ha mai odorato un fiore, non ha mai guardato una stella, non ha mai amato nessuno. Non ha mai fatto altro che addizioni. E tutto Il giorno ripete come te: “Sono un uomo serio! Sono un uomo serio'” …» (26)
Antoine de Saint-Exupéry piccolo principe vorrebbe che non fosse così e che si desse, invece, più ascolto alla natura e al cuore, ingentilito, quest’ultimo, da un amore forte che renda simultanei i battiti.
Il Piccolo Principe è questo: un atto d’amore verso l’uomo e il mondo.
Salvatore Vecchio
(*) A. de Saint-Exupéry, Le Petit Prince, Paris, Gallimard, 1996, pag. 31: «Il piccolo principe, che assisteva al formarsi d’un bocciolo enorme, sentiva che ne sarebbe venuta fuori una visione miracolosa, ma il fiore non la finiva di prepararsi ad essere bello. [… ]E poi ecco che un mattino, proprio all’ora del levar del sole, si era mostrato. E lui, che aveva lavorato con tanta precisione, cominciò sbadigliando: – Ah! mi risveglio adesso… Ti chiedo scusa… Sono ancora tutto spettinato…
l) A. de Saint-Exupéry, Écrits de guerre (Prefazione di R. Aron), Paris, Gallimard, 1994, pag. 395.
2) Ivi, pag. 97: «- Vous vous trompez tout à fait, a-t-il répondu. Nul, actuellement, n’est en droit d’écrire un seuI mot s’il ne participe complètement aux souffrances de ces camarades humains. Si je ne résistais pas avec ma propre vie, je serais incapable d’écrire. Et ce qui est vrai pour cette guerre doit rester vrai en toutes choses. Il faut servir l’idée chrétienne du Verbe qui se fait Chair. L’on doit écrire, mais avec son corps.»
3) A. de Saint-Exupéry, VoI de nuit, Paris, Gallimard, 1931, pag.19: «Et maintenant, au coeur de la nuit comme un veilleur, il découvre que la nuit montre l’homme: ces appels, ces lumières, cette inquiétude. Cette simple étoHe dans l’ombre: l’isolement d’une maison. L’une s’éteint: c’est une maison qui se ferme sur son amour. Ou sur son ennui. C’est une maison qui cesse de faire son signal au reste du monde. lls ne savent pas ce qu’Hs espèrent ces paysans accoudés à la table devant leur lampe: Hs ne savent pas gue leur désir porte si loin, dans la grande nuit qui les enferme.[ … ] Ces hommes croient que leur lampe luit pour l’humble table, mais à quatre-Vingts kilomètres d’eux, on est déJà touché par l’appel de cette lumière, comme s’ils la balançaint désespérés, d’une ile déserte, devant la mer.»
4) Id.. Terre des hommes, Paris, Gallimard, 1939, pag. 9: «La terre nous en apprend plus long sur nous gue tous les livres.»
5) Id., Pilote de guerre, Paris, Gallimard, 1942, pag. 130: «Nous luttons au nom d’une cause dont nous estimons qu’elle est cause commune. La liberté, non seulement de la France, mais du monde, est en jeu: nous estimons trop confortable le poste d’arbitre. C’est nous qui jugeons les arbitres.»
6) Id., Citadelle, Paris, Gallimard, 1996, pag. 409: «Sije veuxjuger le chemin, le cérémonial ou le poème, je regarde l’homme qui en vient. Ou bien j’écoute battre son coeur.»
7) lvi, pagg. 551-552: «Je me souviens du jour où m’étant égaré sur des plateaux inviolés, me parut tendre, quand je retrouvai les traces de l’homme, de mourir parmi les miens. Or, rien ne distinguait un paysage de l’autre, sinon, de faibles marques dans le sable à demi effacées par le vent. Et tout était transfiguré.»
8) Id., Le petit Prince, cit., pag. 20: «Car je n’aime pas qu’on lise mon livre à la légère.»
9) Id., Oeuvres complèts, in “Carnets V’. Paris, Gallimard. Bibliothèque de la Pléiade, 1959, pagg. 642-643: «Si, avant d’écrire, j’énonce en gros quelques mouvements de mon oeuvre […], ce n’est point ce plan-là qui conditionne mon oeuvre. Il n’est que l’expression de ce que j’ai une oeuvre à écrire. Car évidemment l’essentiel se présente d’abord en tant que structure.»
10) Id., Le petit prince, cit. pag. 11.
Il) lvi.
12) lvi, pag. 13: «La Terre n’est pas une planète quelconque! On y compte cent onze rois (en n’oubliant pas, bien sur les rois nègres), sept mille géographes, neuf cent mille businessmen, sept millions et demi d’ivrognes, trois cent onze millions de vaniteux, c’est-à-dire environ deux milliards de grandes personnes.»
13) Ivi, rispettivamente, pagg. 15, 21, 26: «Il me fallut longtemps pour comprendre d’où il venait. Le petit prince, qui me posait beaucoup de questions, ne semblait jamais entendre les miennes… »; «Qhaque jour j’apprenais quelque chose sur la planète, sur le départ, sur le voyage. ça venait tout doucement, au hasard des réflessions… »; «Ah! petit prince, j’ai compris, peu à peu, ainsi, ta petite vie mélanconique. Tu n’avais eu longtemp pour distraction que la douceur des couchers de soleil. J’ai appris ce détail nouveau, le quatrième jour au matin, quand tu m’as dit: – J’aime bien les couchers de soleil. Allons voir un coucher de soleil… »
14) lvi. pag. 27: « – Le jour des quarante trois fois tu était donc tellement triste?»
15) Id.. Pilote de guerre, cit.. pagg. 134-141.
16) Ivi, pag. 64: «Quelle dròle de planète! pensa-t-il alors, Elle est toute sèche, et toute pointue et toute salée. Et les hommes manquent d’imagination, Ils répètent ce qu’on leur dit… Chez moi j’avais une fleur: elle parlait toujours la première… “
17) Ivi, pagg. 72-74: «Voici mon secret. Il est très simple: on ne voit bien qu’avec le coeur. L’essentiel est invisible pour le yeux. (… ) – Les hommes ont oublié cette vérité, dit le renard. Mais tu ne dois pas l’oublier. Tu deviens responsable pour toujours de ce que tu as apprivoisé. Tu est responsable de ta rose…
18) «Il ne faut pas apprendre à écrire mais à voir. Écrire est une consequence» (A. de Saint-Exupéry, “Lettre à Rinette”, in Oeuvres complètes, cit. pag. 787.
19) Id., Le Petit Prince, cit pag.: «Lorque j’avais six ans fai vu, une fois, une magnifique image, dans un livre sur la Forèt Vierge qui s’appelait “Histoire Vécues”. ça représentait un serpent boa qui avalait un fauve. Voilà la copie du dessin.»
20) A. de Saint-Exupéry, Écrits de guerre (1939-1944), cit. pag. 429: «Moi, j’étais fait pour ètre jardinier.» Cfr., Id., Citadelle, cit., pagg. 612-15.
21) B. Placido, KaJka contro il principino, «La Repubblica», Roma, 30 maggio, 1992.
22) A. de Saint-Exupéry, Le petit prince, cit., pag. 77: « – Le désert est beau, ajouta-t-il. Et c’était vrai. J’ai toujours aimé le désert. On s’assoit sur une dune de sable. On ne voit rien. On n’entend rien. Et cependant quelque chose rayonne en silence…
23) Id., Citadelle, cit., pag. 374: «Et si je me suis borné à te faire parteciper de son langage, car l’essentiel n’est point des choses mais du sens des choses, le désert t’aura fait germer et croitre comme un soleil.»
24) Id., Le petit prince, cit., pago 80: « – Les hommes, dit le petit prince, Hs s’enfoument dans les rapides, mais ils ne savent plus ce qu’Hs cherchent. Alors ils s’agitent et tournent en rond…»
25) «- Vous ètes belles, mais vous ètes vides, leur dit-H encore. On ne peut mourir pour vous. Bien stir, ma rose à mo!, un passant ordinaire croirait qu’elle vous ressemble. Mais à elle seule elle est plus importante que vous toutes, puisque c’est elle que j’ai arrosée. Puisque c’est elle que j’ai mise sous globe. PUisque c’est elle que fai abritée par le paravent. Puisque c’est elle dont fai tué les chenilles (sauf les deux ou trois pour les papillons). Puisque c’est elle que fai écoutée se plaindre, ou se vanter, ou meme quelquefois se taire. Puisque c’est ma rose».
26) Ivi, pagg. 28-29: «Il était vraiment très irrité. Il secouait au vent des cheveux tout dorés: – Je connais une planète où il est un Monsieur cramoisi. Il n’a jamais respiré un fleur. Il n’a jamais regardé une étoile. Il n’a jamais aimé personne. Il n’a jamais rien fait d’autre que additions. Et toute la journée il répète comme toi: “Je suis un homme serieux! Je suis un homme serieux”’… ».
Da “Spiragli”, anno IX, n.1, 1997, pagg. 12-27.