L’arte in Sicilia alle porte della Seconda Guerra Mondiale e i suoi protagonisti
Nel 1934 la pittrice siciliana Lia Pasquali no Noto, in re lazione alla cultura figurativa isolana del proprio tempo, così scriveva su un noto quotidiano di Palermo: “Noi viaggiamo molto, ma ‘non emigreremo’ poiché crediamo oggi di avere il diritto di lavorare nella nostra casa senza essere perciò dimenticati”’.
La frase esemplificava con lucidità la particolare situazione delle arti in Sicilia nel terzo decennio del ventesimo secolo: a cavallo fra necessità di innovazione attraverso stimoli e intuizioni provenienti dall’Europa in fermento culturale e imperativa volontà di mantenere la propria originarietà.
L’ originarietà, o meglio forse la sicilianità, cui alludeva la Pasqualino Noto, la casa dove si ha diritto di rimanere senza essere dimenticati , doveva, infatti , possiamo oggi dedurre, prevedere, al suo interno, la coabitazione di indigeno, storico e moderno attraverso un nuovo alfabeto artistico in grado di consolidare la cultura figurativa dell’isola e formulare una nuova identità creativa: siciliana, italiana, europea.2
Al termine degli anni venti, infatti , sommariamente, questo era il contesto artistico siciliano con cui la giovane Pasquali no Noto si era nutrita: un terreno culturale in bilico fra forze creative centripete – qualche stridio folclorico, qualche filo di retorica filonazionale – e centifughe – le mode decorative europee del Liberty – cui si era aggiunta la meteora futuri sta3.
Come infatti scrive Anna Maria Ruta, […] l‘azione e la produzione futurista ebbero il grande merito di ridestare anch ‘esse l’ambiente siciliano, pur senza quel felice connubio operativo tra industriali, artigiani e artisti della precedente generazione dei Florio, dei Basile, dei Ducrot4.
Fu a Messina che precocemente il Futurismo si manifestò: Messina […] per la sua stessa condizione di città tragicamente terremotata e pertanto tutta tesa verso l’avvenire e la ricostruzione, sembrava il simbolo stesso del futuro e, per la sua posizione geo-culturale di città di punta dell’isola, naturalmente protesa verso l‘Italia e l‘Europa, avvertiva in modo più vivace e impellente lo stimolo allo scambio e al nuovo5.
A Catania, inoltre, presso la redazione della Gazzetta della Sera, mosse i primi passi nelle vesti di giornalista il futuro celebre pittore Umberto Boccioni, adolescente, che proprio dalla città etnea, ignaro del suo talento, scrisse alla madre di avere appena intrapreso l’arte del disegno per diventare illustratore6.
1. L. Pasqualino Noto, Arte Moderna in Sicilia, in L’Ora, Palermo, 20 Luglio 1934.
2. AI riguardo S. Troisi, Arte in Sicilia negli anni Trenta, in AA.VV., Arte in Sicilia negli anni Trenta, Milano, 1996.
3. S. Troisi, I Florio e la cultura artistica in Sicilia fra Ottocento e Novecento, in, (a cura di R. Giuffrida e R. Lentini) L’età dei Florio, Palermo, 1986.
4. A. M. Ruta, Palermo, Messina, Catania e Sicilia, in (a cura di E. Crispolti) Futurismo e Meridione, Napoli, 1996.
5. A. M. Ruta, Palermo … op. cit, 1996. Pag. 416.
6. G. Agnese, Gli anni di Catania nella formazione del giovane Boccioni, in (a cura di E. Crispolti) ibidem
Da un esame formale notiamo che la pittura siciliana futurista nasce dalla rilettura della ricerca figurativa romana. A Roma infatti era cresciuto il suo protagonista, il corleonese Pippo Rizzo, grazie alla familiarità con Balla, Boccioni, Dottori, Bragaglia, Prampolini, e Depero. Quest’ultimo aveva pure lavorato, negli stessi anni, in Sicilia, a Terme Vigliatore, nella provincia di Messina, alla realizzazione, unica per la realtà locale, di una dimora privata signorile, Casa Jannelli7.
Rientrato a Palermo Rizzo, portò con sé le novità figurative che gli erano più affini e che maggiormente finirono con lo stimolare la pittura futurista palermitana degli anni venti, i modelli di […] Balla e Dottori, l‘uno per le ricerche condotte sulla scomposizione della luce, per le compenetrazioni ottiche e per il nitido esercizio cromatico, nonché per un dinamismo meno accentuato e dirompente rispetto alle soluzioni esplosive di un Boccioni o di un Severini, l‘altro per la semplicità e liricità dei suoi paesaggi umbri, manipolati con colori tenui – certi verdi intensi e smorzati insieme con certi caldi blu -, che richiamano scopertamente squarci della campagna siciliana, sempre presente in tutta la poetica del futurismo isolano, in stretta collusione con gli elementi metropolitani e tecnologico-industriali tipici del movimento8.
La Casa d’arte di Balla costituì il modello della casa creata da Pippo Rjzzo a Palermo, che a ‘sua volta fu esempio per l’attività promossa da due artiste siciliane: Rosita Lo Jacono9 e Gigia Coronal0.
Corona e Varvaro accompagnarono Rizzo nella sua avventura futurista palermitana. Gli stessi e Rizzo esposero nel giugno del 1927 insieme ai maggiori esponenti del movimento in Italia, alla Mostra d‘arte Futurista nazionale, grazie alla quale, come diceva Rizzo, Palermo finalmente entrò nel numero delle città moderne”.
L’anno precedente Rizzo e Corona avevano esposto, su invito di Marinetti, nella sala futurista della Biennale di Venezia. Nel 1928 tutto il gruppo dei futuristi siciliani partecipò pure alla Biennale accolti dalla sua massima autorità, lo scultore Antonio Maraini.
L’avventura futurista terminò il suo periodo di splendore nel 1929. Contemporaneamente Rizzo pubblicò Arte futurista italiana, numero unico della rivista che ebbe il pregio di tentare una presentazione complessiva delle tendenze pittoriche e letterarie futuriste della Sicilia occidentale e nel 1930, infatti, la componente dei futuristi che presero parte alla Biennale di Venezia fu molto esigua.
7. A.M. Ruta, Casa Jannelli a Terme Vigliatore, in (a cura di E. Crispolti) ibidem.
8. A. M. Ruta, Palermo … op. cit., 1996. Pag. 411.
In seguito, dal luglio del 1929 al luglio del 1930, Rizzo diresse il Bollettino dell ‘arte, l’organo mensile del Sindacato fascista degli artisti siciliani, prima di
riprendere la via diRoma, avvenuta nel 1933. L’ obiettivo era ora di proiettare, attraverso il nuovo prodotto editoriale, la funzione costruttiva dell’attività degli artisti siciliani nel contesto più vasto dell’arte nazionale ed europea contemporanea.
La più pregevole pagina di storia dell ‘arte futurista che ancora oggi permane a Palermo è costituita dalla realizzazione del Palazzo delle Poste in via Roma.
Il progetto del palazzo di Palermo, così come quello di Agrigento e Ragusa, era stato affidato a Angiolo Mazzonj, direttore della rivista Sant’Elia-Futurismo e firmatario, insieme a Somenzi e Marinetti del Manifesto dell ‘Architettura Aerea.
Il palazzo, monumento pubblico di regime, sembra ancora oggi affermare le coordinate artistiche affioranti sulla scena artistica italiana del tempo senza rinunciare alla qualità storica del territorio della Sicilia.
Il prospetto, ad esempio, magniloquente e imponente, dalle grandi arcate, ricorda le città
metafisiche di De Chirico. All’interno la varietà delle tecniche e dei materiali impiegati rammenta
la sperimentazione operativa che dali ‘art nouveau in poi ha attraversato l’Italia, Palermo in prima linea, nell’uso dei marmi colorati, della ceramica, il rame, e il vetro che evocano pure l’ attività feconda delle case d’ arte futuriste. Le possenti colonne dell’accesso inequivocabilmente conservano suggestioni provocate dai vicini resti antichj di Segesta e Selinunte. Dunque, come ricorda A. M. Ruta: Nel lavoro di Mazzoni emerge la complessa alternanza di elementi segnati da una indiscutibile vena inventiva e da una originalità di ricerca in linea con le più. sofisticate tendenze razionalistiche f. .. p>.
Il palazzo costituisce un piccolo ma prezioso museo futurista, nel quale oltre al progetto di Mazzoni, sono visibili capolavori delle arti applicate prodotte nel territorio. Sono presenti nella stanza del Direttore tempere e tappeti di Paolo Bevilacqua13 cui si unisce la collaborazione di Manlio Giarrizzo, Leo Castro, Pippo Rizzo e Gino Morici. Cinque tempere ad encausto di Benedetta Cappa14 – Sintesi delle comunicazioni terrestri, marittime, aeree, telegrafiche e telefoniche, radio foniche – moglie di Marinetti arricchiscono la sala delle Conferenze, cui si aggiungono due tele di Tato facenti parte di un trittico esposto alla Quadriennale di Roma del 1931, Il lavoro e Giovinezza fascista15.
9 – Sulla personalità eclettica di Rosita Lo Jacono, dedita alla promozione delle arti applicate all’inizio del secolo XX in Sicilia, vedere: A. M. Ruta, Arredifuturisti, Palermo, 1985.
10 – Gigia Zamparo Corona, friulana, creò con il marito Vittorio Corona, nella loro casa di via Candelai 59 a Palermo, nel 1926, un rinomato laboratorio artistico. Vedere: E. Di Stefano, Il Futurismo in Sicilia, in, a cura di V. Fagone, Gli artisti siciliani 1925 – 1975, Capo d’ Orlando, 1976.
11 – Le parole di Rizzo sono tratte da A. M. Ruta, Palermo .. . op. cit, 1996. Pag. 413
12 – A. M. Ruta, Nel palazzo delle Poste, a Palermo, (a cura di E. Crispolti) ibidem.
13 – A. M. Ruta, Nel palazzo… op. cit. Pag. 229. [Bevilacqua] Direttore dell’Istituto d’Arte di Palermo, artista duttile, moderno, proiettato verso il rinnovamento, senza peccati di sicilitudine, ammiratore di Giò Ponti e allento a lUllO ciò che di illleressante si produceva in ambito internazionale, fu l’unico siciliano cui fu affidato l’incarico di realizzare un progetto completo, seppur limitato ad una stanza, nel palazzo. Bevilacqua progettò mobili dall ‘impianto novecentista sobrio e lineare, eseguiti dalla ditta Ducrot, amalgamando qualità della materia, gusto pittorico-decorativo e funzionalità, e ravvivandoli con l‘uso dell’intarsio, in cui è possibile che gli sia stata presente la lezione di Depero, che in quegli anni ideava mobili in bu.xus.
14 – Le tele di Benedetta, Sintesi delle comunicazioni terrestri, marittime, aeree, telegrafiche e telefoniche, radiofoniche furono dipinte fra il 1933 e il 1934.
15 – La terza tela del Trittico era Lo sport.
Alla fine degli anni venti il panorama artistico a Palermo, dunque, aveva assunto una poliedricità di forme grazie pure alla presenza in Sicilia, dal 1928, del Sindacato regionale delle belle arti. L’istituzione, voluta dallo stato fascista [...] ebbe almeno tre conseguenze immediate: J) il confluire del vivace drappello dei futuristi siciliani nei ranghi di un novecentismo più o meno di maniera; 2) un maggiore spazio dato dalla stampa locale alle questioni dell‘arte, mentre l’episodio futurista aveva incontrato sempre una certa ostilità; 3) l‘affermazione nel giro di pochi anni di una nuova generazione di artisti16.
L’ istituzione fascista dei sindacati era nata con l’obiettivo di creare opportunità espositive omogenee per tutti gli artisti della penisola.
Già nel decennio precedente era maturata in Italia una forma di familiarizzazione fra ambienti fascisti e futuristi.
Infatti, come ricorda Perfetti: La contiguità tra futurismo e fascismo movimentista fu certo riscontrabile in tutta Italia proprio per una comunanza di sentimenti e atteggiamenti di fronte alla guerra, al dopoguerra, alla stessa concezione della vita, ma nel Meridione essa si rafforzò, probabilmente anche per altre motivazioni riconducibili al desiderio di abbandonare un’atavica situazione di marginalità territoriale e di arretratezza economicosociale proprio in virtù della combinazione di due movimenti, l‘uno politico l’altro culturale, caratterizzati da una proiezione verso la modernità e verso i suoi miti, da quello industrialista a quello della creazione di un uomo vero17.
All’inizio degli anni trenta, l’istituzione dei sindacati si proponeva nel contesto siciliano come un tramite che avrebbe consentito di superare il limite della distanza rispetto agli epicentri culturali della nazione. I sindacati in cui si ramificava l’istituzione nazionale erano diciotto e costituivano una sorta di vivaio destinato alla selezione delle presenze da inviare alle mostre maggiori, quali erano le Quadriennali di Roma e le Biennali di Venezia.
La strategia delle mostre, nell’Italia fascista, era fondata sull ‘ampia diffusione delle stesse nell’intero territorio nazionale e su di un ‘organizzazione espositiva gerarchica (Biennali, Quadriennali e Interregionali) non facente leva su norme iconografiche e stilistiche.
All’atto della costituzione il sindacato siciliano si suddivideva in occidentale e orientale. Il sindacato occidentale era guidato il primo anno di attività da Rocco Lentini18, il successivo da Pippo Rizzo. Il nucleo iniziale del sindacato era composto dagli elementi che nel 1925 avevano esposto alla Mostra d’arte primaverile siciliana: un drappello di giovani determinati a svecchiare la pittura locale.
La I mostra del Sindacato ebbe luogo a Villa Gallidoro il 23 aprile 1928 dove Rizzo e Corona esposero ancora tele futuriste; la II Mostra del Sindacato, nell’anno successivo, diversamente, testimoniò il mutato clima culturale: la mostra, infatti, era concepita in due sezioni: una retrospettiva dell’Ottocento siciliano cui si aggiungeva un’ampia panoramica di pittura moderna composta da circa settanta artisti presenti con più opere.
16 – E. Di Stefano, Palermo anni ’30: Lia Pasqualino Noto e il Gruppo dei Quattro, in Lia Pasqualino Noto, Milano, 1984. Pag. 15.
17 – F. Perfetti, Futurismo, fascismo e Meridione, (a cura di E. Crispolti) ibidem.
18 -Rocco Lentini, palermitano, pittore della cerchia di Lo Jacono, fu prioritarimente paesaggista.
La I mostra del Sindacato ebbe luogo a Villa Gallidoro il 23 aprile 1928 dove Rizzo e Corona esposero ancora tele futuriste; la II Mostra del Sindacato, nell’anno successivo, diversamente, testimoniò il mutato clima culturale: la mostra, infatti, era concepita in due sezioni: una retrospettiva dell’Ottocento siciliano cui si aggiungeva un’ampia panoramica di pittura moderna composta da circa settanta artisti presenti con più opere.
La sezione antica aveva il compito di accreditare storicamente la più recente che era composta da un nutrito gruppo di “novecentisti”: Giarrizzo, Catalano, Schmiedt, Mimì Lazzaro, Bevilacqua e i giovanissimi Lia Noto e Renato Guttuso. Nel 1929, inoltre, un gruppo di diciotto artisti fra cui la Pasqualino Noto, Guttuso, Rizzo, Catalano, Castro e Giarrizzo esponeva a Roma presso la Camerata degli artisti, ovvero partecipava alla mostra che ancora oggi rappresenta la piena affermazione del novecentismo siciliano.
Nel 1931 il sindacato dominava completamente la vita artistica palermitana; malgrado ciò, Rizzo, manager e promotore dell’attività, riuscì a inviare pochi nomi siciliani alla l Quadriennale: Amorelli , Giarrizzo, Bevilacqua, Casto e Guttuso. Quest’ultimo lo stesso anno esponeva a Palermo nella Mostra dei dieci giovani.
La III mostra sindacale del 1932 rappresentò l’espressione del consolidamento della presenza del novecentismo a Palermo; nell’occasione il Municipio di Palermo, il Ministero dell’educazione nazionale e il Banco di Sicilia, realizzarono parecchi acquisti , indice che la manifestazione godette di un notevole riscontro nell’opinione pubblica. Lo stesso anno Rizzo inviò una selezione di opere da presentare prima a Milano alla Galleria del Milione, dunque a Roma presso la galleria diretta da Piermaria Bardi. Questi due eventi espositivi nella penisola furono definiti da Rizzo stesso una felice conseguenza dell‘opera di propaganda e valorizzazione che esso ha finora svolto a pro dell’Arte Siciliana19.
Scrisse Guttuso a proposito dell’esposizione milanese: Questa esposizione vuole soprattutto dimostrare la presenza di un gruppo di siciliani nel movimento artistico nazionale: presenza tutt’altro che trascurabile. Se si pensa che cosa era fino a sette od otto anni fa la Sicilia artistica, se si guardano le ultime esposizioni del Sindacato regionale e la odierna al Milione si può vedere quale e quanto cammino s‘è fatto20.
Il critico Raffaello Giolli, sul Giornale d’Italia, individuò all’interno della mostra promossa dal sindacato la prova di un ricco movimento nazionale che congiungeva idealmente Milano a Palermo, segnando ormai il declino dei provincialismi e degli accademismj regionali: […] è inutile avere la nostalgia, davanti a quest’acqua senza colore, davanti a questo mare di morte, quasi senza cielo, delle allegre marine cantanti di Lo Jacono. Soprattutto si intende che è ormai ozioso, di fronte ai nuovi stati d’animo sorgenti, incolpar questi giovani d’aver tradito Sciuti o Lo Jacono ... Siciliani senza folclore, li amiamo proprio perché parlano senza accento dialettale, come parlano schietto italiano i lombardi e i torinesi che amiamo [...] Sono uomini come noi: e leggono i nostri
19 -P. Rizzo, Giornale di Sicilia, 2 Febbraio 1932.
20 – R. Guttuso, Pittori siciliani a Milano, in Vecchio e nuovo, Lecce 19 giugno 1932, presente in E. Di Stefano, Palermo .. . , op. cit. Pag. 20.
stessi libri. Perché mai la loro dovrebbe essere pittura soltanto siciliana? La Sicilia che essi ci portano è tutt‘altra: quella che essi stanno creando21.
La mostra milanese ebbe grosso seguito di stampa, come del resto la stessa III sindacale. Il 1932 si rivelò un anno particolarmente vivace per la cultura palermitana. Rizzo, che aveva consapevolmente vinto la sua personale battaglia contro il provincialismo, – […] la nostra battaglia è rivolta soprattutto verso quelle città fuori di Sicilia dove la penetrazione è ancora tenace. Regionalismo? Campanilismo? Le difficoltà si presenteranno. Facendo un bilancio vedremo bene queste vittorie. Il movimento artistico siciliano moderno oggi ha vinto22 – fondò una galleria sindacale, la Bottega dell ‘arte, che aprì a giugno dello stesso anno, nel centro della città, in via Mariano Stabile23.
La personalità di Rizzo rappresentò indubbiamente il traino più forte per l’attività culturale palermitana di quegli anni, al punto che, quando il pittore si trasferÌ a Roma, all’ inizio del 1933, le iniziative di carattere artistico diminuirono.
La IV sindacale ebbe luogo a Catania e la V di nuovo a Palermo. Alla V sindacale fu abbinata la Prima mostra autonoma dell‘artigianato artistico. Le opere esposte nelle ultime due sindacali testimoniarono un’inversione di tendenza rispetto alla III. Si erano configurate infatti una nuova forma di routine espressiva nutrita da nuovi accademismi e una nuova retorica, cui si aggiungeva l’affievolita attenzione della stampa.
In un articolo del 1932, il critico Giuseppe Pensabene, dopo avere sottolineato la funzione di rottura e rinnovamento che aveva rappresentato l’ istituzione del sindacato nello stato fascista, scriveva: Riapparve, così, il pericolo di una nuova accademia e di una nuova retorica: Era inevitabile quindi una crisi. Ne fu occasione una mostra di gruppo, tenutasi di recente a Milano, presso la Galleria del Milione; .e se ne ebbe come conseguenza la recessione degli elementi più intransigenti, che formarono un nuovo gruppo: il gruppo dei Quattro24.
La mostra a Il Milione, cui Pensabene alludeva nel testo, era quella dei sei siciliani del maggio – giugno del 1932. I Quattro indicati nello stesso testo erano Renato Guttuso, che aveva già partecipato alla mostra de Il Milione del 193225, Lia Pasqualino Noto e gli scultori Giovanni Barbera e Nino Franchina, arti sti accomunati da una lettura antiretorica di Novecento.
21 – R. Giolli, Sei pittori siciliani a Milano, in Giornale d‘Italia , Roma, 24 Giugno 1924.
22 – P. Rizzo, La cultura artistica il! Sicilia, in (a cura di L. Pignato) Almanacco degli scrittori di Sicilia, 1932.
23 – La cura [della bottega] è affidata a una commissione composta da Paolo Bevilacqua, direttore dell’Istituto statale d’arte, dal pittore Manlio Giarrizzo e dallo scultore Benedetto De Li si. La funzione è quella di destare interesse con mostre a periodicità quindicinale e faci litare gli acquisti offrendo le opere a prezzi relativamente bassi. E. Di Stefano, Palermo … , op. cit. Pag. 2 I.
24 – G. Pensabene, L’arte nuova in Sicilia, in Il Secolo XIX, Genova, 19 Ottobre 1932.
25 – Migliore, è in Sicilia, lo condizione della pittura: questo è stato un merito indubbio del Sindacato regionale degli artisti. L’opera sindacale è stata benefica e valida; ha spazzato via senza esitazione, tutto il vecchiume. In tre anni, dal ’27 al ‘30, lo situazione si è cambiata. A nulla è servita l’opera negativa di certi ambienti: prima di tutto l’Accademia di belle arti. L‘arte moderna è riuscita a penetrare in Palermo. Sotto l’unica insegna di “novecento” si affermavano giovani di tendenze diverse, ma tuui con una impronta di modernità [. . .]. Questo movimento ha seguito tutte le vicende del novecento. Dopo le prime entusiastiche affermazioni è apparsa anche qui la necessità di un riesame. Si è intravisto il pericolo di una burocratizzazione, che un intervento troppo minuto e continuo del sindacato potrebbe apportare. La sua azione, utile in un primo momento, non può mutarsi in WIO specie di controllo della produzione avvenire. [ … ] Dobbiamo dunque abolire, in occasione delle grandi mostre, i consigli e i giudizi generosamente anticipati, secondo un presunto gusto ufficiale. Questo sistema, che cominciava già ad essere apertamente seguito, ha portato dei danni anche in Sicilia, distruggendo quella coesione che era nata in un primo momento tra artisti giovani, animati tutti dallo stesso desiderio del rinnovamento, e benlungi dal pensare a compromessi di questo genere. [ … ] G. Pensabene, op. cit.
A Milano, nel 1931, per la mostra dei sei al Milione, Guttuso aveva avuto modo di rendersi conto della crisi sindacale che si andava configurando in Italia e del ruolo ormai essenzialmente opaco del movimento novecentista.
Nel 1933, fortificato dalla proficua esperienza milanese il gruppo irruppe sulla scena artistica nazionale con una clamorosa protesta: una lettera aperta, polemica, contro Maraini per l’esclusione delle nuove leve artistiche siciliane dalla Biennale, firmata pure dallo scultore Cuffaro e pubblicata da Il Tevere del l Settembre26.
Lo stesso anno Guttuso prese le di stanze, definitivamente, dal novecentismo e affermò l’attualità della pittura murale, così come pure fece Lia Pasqualino Noto, dichiarando, contemporaneamente, la necessità di un’arte antiretorica ma immersa con naturalezza nella contemporaneità27.
Le opere esposte dalla Pasquali no Noto e Guttuso nella IV sindacale siciliana, però, del marzo – aprile, così come nella I Mostra del Sindacato a Firenze, nel maggio dello stesso anno, non lasciarono trapelare alcuna mutazione sostanziale del loro percorso artistico quanto piuttosto una maturazione del linguaggio creativo finora espresso.
Nel 1933, infine, la Mostra dei venti artisti di Sicilia, al teatro Massimo di Palermo, promossa con gli auspici del sindacato, organizzata dallo scultore Barbera, dalla pittrice Topazia Alliata, e da tre artisti – Biancorosso, Buscio e Li Muli- assunse un significato antinovecentista e antiaccademico. Lo scultore Barbera, nell’articolo di presentazione, scrisse così: «II movimento artistico cosiddetto “novecento” ormai fortunatamente sorpassato è stato una vera disgrazia per alcuni che si iniziarono all’arte cinque anni fa. Ancora fino ad oggi i nostri occhi debbono girarsi in colli tubolari e mani a palette in composizioni in maniera dove l’artificio non è più una trovata geniale28».
26 – […] Quaggiù non si dorme e c’è qualche pittore che non fa cartoline illustrate di Monte Pellegrino, e qualche scultore che non fa leste di bambini col bavaglino ... malgrado il fallo che nessuno mostri di accorgersi della nostra vitalità: né il sindacato, né le commissioni ufficiali delle grandi esposizioni.
27 – Lia Pasqualino Noto, La “composizione” nella pil/ura Moderna, in L‘Ora, Palermo 14 – 15 Novembre 1933.
Sembra che la pittura moderna si orienti realmente verso la grande composizione. E così deve essere. Se vogliamo rimanere nella linea della nostra tradizione. Tale orientamento, riguardante sia lo concezione, sia l’esecuzione dell‘opera d‘arte destinata a decorare la casa, ci fa subito pensare alla necessità di ritornare alla pittura murale, che si intona magnificamente alla sobrietà dell‘ambiente moderno e che ricollega lo nuova tendenza architettonica alla più schietta tradizione pittorica italiana. A tal fine però è necessario conservare alla composizione pittorica nobiltà e grandiosità, sia nella scelta del soggetto che nella distribuzione delle masse, nobiltà e grandiosità che fu base di tutta la pittura murale dei nostri antichi pittori.
Non si dovrebbe più parlare di pil/ura decorativa nel senso corrente della parola, quasi ad indicare un‘arte a sé ben distinta dalla pittura di cavalletto, che al contrario viene chiamata arte pura. Tale distinzione è utile soltanto per mascherare lo meschinità di certe opere murali; fra pittura decorativa ed arte pura non esiste sostanziale differenza poiché ogni genere d‘arte ha funzione decorativa, e lo buona pittura murale deve essere tanto perfetta quanto si richiede alla pittura pura. [ … ]
Il carattere costruttivo della nostra epoca, per la stessa ragione per cui ha falla risorgere la tendenza della pittura murale, anche nel quadro di cavalletto tende a farci ritrovare il senso della composizione, senso che può esistere
in qualunque genere di piI/LIra ma che certamente raggiunge maggiore nobiltà nel quadro di figura. f..]
E‘ necessario quindi che i pillori di oggi guardino alla composizione come al mezzo migliore per creare opera duratura. f. .. ]
28 – G. Barbera, L‘Ora, Palermo, 1933.
Non venne messa in discussione allora, almeno pubblicamente, per questo gruppo di artisti l’identificazione tra arte moderna di qualità e ideologia fascista, anzi , come un po’ dappertutto in Italia, la battaglia per il rinnovamento del linguaggio venne combattuta proprio in nome di una più rigorosa fedeltà alla rivoluzione del fascio29.
La sindacale regionale del 1934 fu scadente: gli artisti, anche i migliori, non tendevano più a presentare i lavori più riusciti e l’esposizione iniziò a perdere il suo ruolo guida.
Differentemente, lo stesso anno a Milano, i Quattro esposero al Milione, rivelando un linguaggio artistico di qualità, nuovo, scabro, privo di concessioni idealizzanti, che, come dice Eva di Stefano, sottomette forma e schemi compositivi tradizionali all’urgenza espressiva30.
L’esposizione fu oggetto di critiche lusinghiere31 e persino Carlo Carrà dedicò alla manifestazione un lungo articolo su L’Ambrosiano, il 14 giugno del 193432
Il critico Edoardo Persico33, in occasione dell’inaugurazione, pronunziò un discorso introduttivo, salutando l’esposizione come la prova più evidente di una problematica moderna nella giovane arte italiana, indispensabile per riaffermare, a suo avviso, la necessità di una mistica europea da opporre alla mistica fascista34
La mostra e il discorso segnarono un punto di arrivo per i Quattro: i riconoscimenti di critica e di pubblico maturati consentirono al gruppo di riconoscersi come parte attiva di un più vasto movimento d’avanguardia.
29 – L. Pasqualino Noto, La “composizione” … op. cit. “L‘arte segue da vicino lo storia dei popoli: noi che per sorte viviamo in un‘epoca di resurrezione dovremo necessariamente vedere e godere il frutto della nostra fatica e quello di coloro che ci hanno preceduti. Le scuole passate, le tendenze sorpassate, feconde per tutti noi, attraverso il misterioso lavorio della natura, costituiscono certamente lo base di una sempre maggiore elevazione spirituale, necessaria allo sforzo che ci siamo imposto per ritrovare il nostro equilibrio artistico.”
30 -E. Di Stefano, Palermo … , op. cit. Pag. 25.
31 – Una mostra clamorosa ed esplosiva nei giudizi dei critici del tempo che idealmente congiungeva i giovani artisti di Palermo alla nuova linea degli anni ’30 dell‘arte italiana: una linea nella quale si possono ricordare il lavoro del Gruppo dei Sei a Torino, di Sassu, Birolli, Manzù a Milano, di Mafai e di Scipione a Roma, per citare solo i nomi più rappresentativi. [...] Il Gruppo dei Quattro artisti siciliani che esponeva al Milione settanta opere (dal 26 maggio al 15 giugno 1934) agiva in una posizione periferica – ma certo non provinciale come nota Guttuso nel suo testo di presentazione a questa mostra rispetto alla operatività che già andava delineando a Roma o a Milano.
V. Fagone, I quattro artisti siciliani, in Gli artisti siciliani 1925/1975, Capo d’Orlando, 1976.
32 – La natura e il vero sono termini metafisici ai quali ciascuna epoca dà un particolare significato. Così, ad esempio, per gli artisti siciliani predecessori a questi giovani, la natura non ebbe che un attributo pseudoromantico e il vero fu un espediente folcloristico; mentre ora lo natura e il vero si sono trasformati e unificati in un concetto unitario e ordinato dalla personalità estetica dell‘artista. Tale assunto è, a dir il vero, ancora per lo più vagante nella produzione offerta dai quattro siciliani, ma per quanto non ancora ben determinato, appare già balenante realtà della loro arte.
Anche di questo si deve tener calcolo, dovendo noi giudicare artisti in piena evoluzione.
Epperò il sentimento artistico che si può notare in questi loro lavori, se talvolta appare come sommerso sotto schemi che ne infirmano in parte l’intima sostanza, già preannuncia lo sbocco in forme sensibili e unitarie.
C. Carrà, L’Ambrosiano, Milano, 15 Giugno 1934. Pubblicato in E. Di Stefano, Palermo … , op. cit.
33 – Edoardo Persico fu storico e critico d’ alte. Sostenne con visione cosmopolita, il legame fra avanguardie figurative e architettura moderna e avversò sia la retorica del regime fascista sia l’ involuzione classicistica di Novecento. A Torino promosse l’attività del Gruppo dei Sei, a Milano fondò e diresse la galleria del Milione e partecipò con Giuseppe Pagano alla redazione di Casabella.
34 – Le parole di Persico appaiono in E. Di Stefano, Palermo ... , op. cito Pago 25. Vedere inoltre: E. Persico, Tul/e le opere, a cura di G. Veronesi, Milano, 1964
La partenza di Guttuso e Franchina per il servizio militare costituì il motivo di una brusca frattura per i Quattro, proprio nel momento in cui il gruppo aveva raggiunto una maggiore coesione poetica e figurativa e ottenuto i primi risultati di critica.
Negli anni successivi Guttuso consolidò i contatti già avviati a Milano, rientrò a Palermo solo per brevi periodi e si allontanò dalla città siciliana definitivamente nel 1938, quando si congiunse al gruppo Corrente.
Franchina fu pure a Milano, dunque a Roma, infine a Parigi e sposò la figlia di Severini. Barbera morì precocemente nel 1936.
L’ultima mostra comune ebbe luogo nel 1937 a Roma alla Galleria della Cometa.
Nel 1935 la Pasqualino Noto fondò il primo spazio espositivo privato dedicato all’arte contemporanea a Palermo, nei locali di Palazzo De Seta, la Galleria Mediterranea.
L’attività della galleria durata circa due anni costituì una significativa novità per la circolazione delle idee artistiche a Palermo perché consentì che opere provenienti da più aree geografiche potessero essere viste in Sicilia.
Nel 1938 aprì qui i battenti la Rassegna di sessanta artisti italiani che si rivelò l’avvenimento che meglio esemplificò la qualità dell’attività artistica nell’isola e la considerazione che le era realmente destinata da parte del pubblico e de i media.
Infatti, la manifestazione, malgrado la grande risonanza nella vita cittadina e il suo significato culturale non godette dell’attenzione dei media.
L’ottava mostra sindacale, ne l 1938, s i tenne nei locali di Palazzo De Seta e lo scultore Franchina fu membro della commissione giudicatrice.
Altre due mostre ebbero luogo quello stesso anno alla Mediterranea: una di architettura dedicata ai rilievi di edili zia minore siciliana e una personale di Enrico Paulucci.
Nel 1939, a causa del trasferimento dei marchesi De Seta a Roma, la galleria chiuse.
L’attività riprese nel 1940 presso la Libreria Flaccovio per un breve periodo, quando la Pasqualino Noto organizzò mostre personali di Tamburi, Mucchi, Afro, Natili e Guttuso.
La guerra e la permanenza in Sicilia35 penalizzeranno la Pasqualino Noto, artista, pensatrice e infaticabile organizzatrice di eventi d’arte, che continuò a lavorare – come dice Maurizio Calvesi – tenace ma flessibile e tutta introversa, che l‘attesa non logora ma anzi sostanzia, e quel gestire è una sorta di ginnastica della speranza, per tenerla giovane e viva36.
La nona mostra sindacale, del 1939, denominata Il ritratto e la scultura al Teatro Massimo di Palermo chiuse un’epoca: il 10 giugno dell’anno successivo l’Italia entrò in guerra a fianco della Germania e una nuova età si apriva anche per le arti figurative.
35 – L. Pasqualino Noto, Una testimonianza … op. cit. Pago 42: lo comprendevo che restando a Palermo sarei rimasta isolata
e, senza l’entusiasmo che tutti insieme eravamo riusc iti a creare, mi veniva a mancare qualcosa di molto impattante
e vitale.
36 – M. Calves i, I Ginnasti della speranza, in Lia Pasqualino Noto, Milano, 1984. Pago 9.
I dieci anni che precedono la seconda guerra mondiale furono, sostanzialmente, in Sicilia, anni operosi: anni di riflessione destinati alla partecipazione e al confronto con le idee del territorio nazionale. Questi furono, però, soprattutto, per l’arte, sotto il profilo critico, anni in cui la consapevolezza del ritardo formale rispetto al resto dell’Italia fu piena e a tratti sofferta, tanto quanto il tentativo di assorbimento di nuove forme, rinnovati e autentici contenuti.
Questi furono anni in cui si riaprì con irruenza e mai si richiuse il dibattito sul futuro della propria identità isolana.
La guerra, come tutte le guerre, sottrarrà linfa a questo dibattito, di sperderà le risorse intellettuali e soprattutto piegherà le forme delle città, convertendo in penosi accumuli di macerie quei luoghi , quei palazzi, quei giardini che negli anni immediatamente precedenti avevano lasciato segni preziosi di arte siciliana.
Francesca Pellegrino