LA GATTA E LA PRINCIPESSA 

 Al numero 30 di Francis Avenue 
a Cambridge, Massachusetts, 
c’era un bel giardino, 
una casa bella. 
Il padrone di casa, John Kenneth, 
era molto alto. 
La padrona di casa, Catherine, 
era molto dolce. 
Peter, uno dei figli, era serio e simpatico. 
La gatta, lei, si chiamava Nounouche, 
amava la casa, amava il giardino. 
lontano, molto lontano, in India, 
e la gatta è andata a Parigi 
e lì è morta. 
E i padroni sono tornati 
al 30 di Francis Avenue. 
La casa era bella 
e bello il giardino. 
La principessa si chiamava Benazir. 
A Radcliffe, 
Benazir dimorava a Eliot Hall. 
A Harvard, Benazir abitava a Eliot House. 
La chiamavano Pinkie Bhutto. 
Amava il 30 di Francis Avenue, 
amava quella bella casa, 
le piaceva passeggiare in giardino. 
E poi un giorno se n’è andata lontano, 
molto lontano. 
E poi, un giorno è morta, 
lontano dal 30 di Francis Avenue. 
Morta assassinata, 
il 27 dicembre 2007. 

Jean-Claude Martin 

(trad. il. di Giovanna de Nola) 

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 48.




 Nur o Un sogno di una notte d’estate

Presentiamo un brano tratto dal 1° capitolo del romanzo Nur o Un sogno di una notte d’estate di S. Marotta. 

Il libro è nella fase di rielaborazione finale. Ci auguriamo che venga dato alla stampa quanto prima, perché sia apprezzato e letto. 

È la storia di un incontro dove l’amore, giuocando un ruolo di straordinaria importanza. permette di scandagliare gli angoli più reconditi dell’animo umano, ma è anche la storia di due persone molto diverse per mentalità e formazione, per cui tutto lascia prevedere un’insanabile rottura. 

Cara Nur, 

è notte fonda ed io non ho sonno. La tua partenza ha lasciato un vuoto incolmabile e mi ha reso triste e scontroso. 

Oggi, non ricordo cosa volesse, ho sgridato la bambina perché la smettesse di chiamarmi e si rivolgesse a sua madre. Persino Fufy, il cane bastardo, intuisce che qualcosa non va e se ne sta alla larga, limitandosi a scodinzolare la coda. 

Non so cosa mi prende. So solo che tu sei lontana ed io soffro. Soffro perché mi manca Nur, la mia luce, l’angolo che un giorno d’estate s’impossessò prepotentemente di me, prendendosi l’anima e il corpo. 

Ora che avevo cominciato ad accarezzare l’idea di stare con te, tu sei partita, così, tutto ad un tratto, lasciandomi solo. «Ritornerà», mi dico, «ritornerà»; e, facendomi forza, ricordo i giorni passati insieme, i tuoi riccioli, il tuo volto, le tue carezze. 

Quando ritornerai? Se lo sapessi almeno, se almeno ti facessi sentire… 

Oh, potessi fare un sogno veritiero … No, no, meglio di no, alla larga dai sogni. Ieri notte ne ho fatto uno bruttissimo. Eravamo insieme, gioivamo quando tu, d’un colpo, senza dirmi niente, senza niente in corpo, cominciasti ad allontanarti. Ti chiamavo, avrei voluto correre. ma non potevo. come se una forza demoniaca mi tenesse legato sul letto. Gridavo: «Nur .. , Nur…». ma tu, incurante, seguitavi ad andare, ad andare lontano… 

Mi ha svegliato la bambina, chiedendomi acqua. Poi, non avendo preso sonno, sono uscito in giardino, promettendomi che al mattino avrei composto il tuo numero telefonico per udire, per lo meno, la voce registrata, e sentirti viva nel mio cuore. 

Fufy mi è venuto incontro e l’ho dovuto carezzare, povera bestia! Per tutto il tempo che sono rimasto fuori, mi ha fatto compagnia. Non c’erano stelle in cielo, e quelle poche che intravedevo erano come punti impercettibili, distanti tra di loro. Sono andato di nuovo a letto che era già l’alba. Non ho preso sonno, e avrei voluto gridare il mio sconforto. Ma a chi? Chi avrebbe voluto ascoltare i miei lamenti? L’amore è crudele quando è vero amore: ti fa temere di perdere chi ami, soffrire quando ti ritarda a venire, sentirti solo quando non ti sta vicino! 

È veramente brutto. Se tu potessi provare per un momento solo la mia pena, se tu mi amassi, non a parole – come sembra -, ma con la mia stessa intensità d’affetto, certamente non saresti andata via come una sconosciuta, e ti avrei qui, accanto a me, colma di carezze e di baci. Ma io non capisco o, meglio, capisco tanto bene che vorrei non capire, e tu giuochi bene la tua parte e rimani impassibile, come se niente fosse mai successo, pronta a chiamarmi al momento opportuno («Amore, sono qui, come stai, vieni, ho bisogno di te e non posso farne a meno …») e a voltarmi le spalle col primo venuto. No … non credo, mi ostino a non credere una cosa simile. Credo, invece, che la mia Nur sia andata via per ritornare ancora, che sia andata per guardare come il mondo è fatto. 

Se mi telefonassi, almeno, se ti facessi viva per un secondo, sono sicuro che riacquisterei fiducia e direi tra me: «Se Nur mi ha pensato, vuol dire che non sono morto del tutto nel suo cuore». E mi farei coraggio, troverei la forza di insistere nel mio amore. Ma questo non lo fai, e resti sorda ad ogni mio richiamo. Così soffro terribilmente la mia pena e non posso sfogare con nessuno il mio dolore! 

Ieri, preso dal pensiero di te, sono andato alle “Tre Sirene”, la spiaggia di S. Giorgio, vicino a Sciacca, la ricordi? Ricordi quel giorno che vi trascorremmo insieme? Solo, mi sono spinto fin dove mi è stato possibile, perché il mare era così agitato che invadeva ogni cosa. Le orme dei nostri passi erano state cancellate, e non si vedeva più, sommerso dalle onde, lo scoglio su cui rimanemmo seduti a lungo. Di là guardavamo il mare e ci st.upiva la sua calma, simile a quella di un bambino in dormiveglia. I nostri occhi andavano lontano e, per un attimo, ricordando i tuoi genitori, t’invase la nostalgia. Fu allora che, stringendoti, dissi che avrei fatto di tutto perché potessi rivederli. 

Ricordo che mi abbracciasti forte senza parlare, ma i tuoi occhi sprizzavano una gioia immensa. 

Il cielo era limpido, non c’era vento. Solo all’orizzonte qualche nuvola sembrava posarsi leggermente per inabissarsi chissà dove. Attorno tutto era gioioso e allegro. Il verde della vegetazione, sfumato dalla calura, s’intonava benissimo al colore oro dell’erba secca e del grano mietuto. Che meraviglia! Non c’erano rumori, e l’aria era così satura di odori che riempiva a fondo i polmoni e dava la sensazione di trovarci in qualche angolo di paradiso. Di tanto in tanto ci giungeva da lontano il canto monotono dei contadini che sfogliavano le viti. Più spesso, invece. venivamo attratti dalle voci dei bambini che sulla spiaggia si divertivano a costruire castelli e cinte murarie ben fortificati. Ma quando sembrava che stessero per completare l’opera, crollava tutto. Allora le voci e le grida si facevano più intense e si attutivano solo quando riprendevano un altro lavoro. 

Giorni felici, dove siete? Era immaginabile che i nostri sogni sfumassero come rugiade al sole? Ricordo che mi prendevi in giro perché nuotavo male e tu, con aria spavalda, mi facevi tante di quelle capriole attorno da farmi stancare. «In cambio, sono bravo in altre attività», ti dicevo, e tu sorridevi e beavi, mentre ti carezzavo il volto e i riccioli d’oro. Ed eri felice. I tuoi occhi erano colmi di una felicità che non sempre manifestavi parlando, e gioivi di una gioia intensa: ed eri sincera, almeno allora, nelle manifestazioni di affetto. Ricordo che, senza aspettarmelo, mi saltavi addosso e mi colmavi di baci: ti stringevo senza parlare e sentivo di amarti come non avevo mai amato. 

Cara, alle “Tre Sirene”, il ricordo di te e il saperti lontana mi hanno talmente sconfortato che, sapendolo, avrei fatto a meno di andare. Io volevo sentirti viva e respirare quell’aria che respirammo insieme. Ma i tonfì della mareggiata mi hanno stordito al punto di fuggire gridando il tuo nome. «Nur … Nur … ». gridavo, «Nur, dove sei …». Correvo come un forsennato, e avrei voluto annullarmi e scomparire per sempre. 

Perché tutto questo? Perché i sentimenti, i nobili sentimenti spesso sono infranti e calpestati? L’uomo cade in uno stato angoscioso miserevole, e diviene vuota la vita, senza senso, quando gli vengono a mancare d’un colpo questi fili 

sottilissimi che lo legano agli altri e lo fanno sentire qualcuno. Allora, cade l’interesse per il mondo, crollano i sostegni su cui aveva basato le sue forze e per cui aveva vinto le tanto insistenti battaglie quotidiane. Per quanto all’apparenza possa sembrare estroverso e creativo, venuti meno gli affetti che sino a poco tempo prima lo avevano sostenuto, l’uomo si rivela fragilissimo e non sempre reagisce e supera l’angoscia in cui è caduto. 

È ciò che sto sperimentando sulla mia pelle in questi giorni così lunghi e interminabili. Il mio pensiero è rivolto a te, a te che sei lontana, e soffro maledettamente, anche perché non ho più quella tranquillità d’animo che ci vuole per portare avanti il mio lavoro. Sono rimasto fermo dal giorno della tua partenza e vani sono risultati i tentativi di ripresa, vano è risultato lo sforzo di apparire normale, perché chiunque s’accorge che c’è qualcosa che non va. Ieri la bambina, dopo avermi osservato, pur avendo bisogno di me, ha preferito chiamare la mamma. «Posso aiutarti io, se vuoi». le ho detto. «Ma tu sei intrattabile. Sei adirato con me? Ti ho fatto qualcosa?», Le sono andato vicino e l’ho abbracciata e tranquillizzata. La cosa più certa è che faccio fatica ad essere me stesso. «In questo periodo mi sento poco bene», le ho risposto. «Ma non è niente. Vedrai che fra non molto mi sentirò meglio, e allora ritorneremo a giuocare e ad essere buoni amici». Elisa mi ha guardato dolcemente, ma il suo sorriso non era il solito giulivo sorriso che si sprigiona dal suo volto innocente. 

Q uesta, però, non è vita. No. Nur cara, non possiamo continuare così. A lungo andare la corda, resistente per quanto sia, si spezza. Faccio difficoltà a dirlo. Lo so io come ti ho ancora nel cuore, lo so io che fatica faccio ad accettare la realtà delle cose. Come è brutta, a volte, la realtà, come è deprimente! Dio, perché l’uomo deve sentirsi così prostrato, perché deve essere interiormente tanto travagliato da mettere in forse la sua esistenza? 

Non ti chiedo altro, non ti dico niente. Se così hai deciso, sia pure (sarebbe inutile e controproducente l’insistere), se hai deciso così, vai, vai pure, non voglio trattenerti. L’amore non può essere mai unilaterale, e ben poca cosa è la finzione. Prima o poi la verità viene allo scoperto, e la realtà, nostro malgrado, ci si mette prepotentemente dinanzi per essere guardata in faccia. Allora non possiamo farne a meno e l’accettiamo con risolutezza. 

Nonostante tutto, sappi che non nutro alcun rancore. 

Salvo Marotta

Da “Spiragli”, anno III, n.1, 1991, pagg. 32-36




 «DIO AMA IL MULTIPLO» 

Per una poesia di Neruda 
con un richiamo a J.B. Sayeg 
Dio ama il multiplo, 
uno stonno di passeri migranti, 
gli artropodi in classi e sottoclassi, 
api, fonniche, indigeni aggruppati, 
grappoli d’uva, liane aggrovigliate 
in infmite ramificazioni, 
moltitudini umane nel lavoro, 
e l’ «amatevi e moltiplicatevi» 
delle scritture, 
e gli animali 
ognuno con un codice di vita, 
le specie e sottospecie, 
sciami di pesci nel profondo mare: 
Iddio ama il multiplo 
con i cori degli angeli d’intorno 
e galassie, bilioni di galassie 
che esplodono e si accendono 
in anni luce. 

Marige Quirino Marchi 

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 42




Addio Segesta.

Addio Segesta…
Parto solo
e mi guardo
nello specchietto retrovisore.
Ho una camicia nera
e disordine nell’anima
quanto nella sua stanzuccia
François Villon.
Mi sento colpevole
perché il cielo non è azzurro
come i tuoi occhi.
Sarei potuto partire
anche domani
e sarei rimasto a pernottare
sotto mandorli e arance.
Da lì il pensiero sarebbe potuto partire
profumato
come i tuoi seni.
Addio Segesta!
Voglio dire: Loredana.
Io sono morto
oggi per te.

Petre Dinu Marcel

Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pag. 55.

 




MOMENTO INTIMO

 Io chiudo gli occhi e ascolto 
il silenzio che sa 
parlare all’anima. 
Così 
perdermi nell’ ardesia dei tuoi occhi, 
perdere 
nell’anima tua nuda 
il sogno mio, 
mia unica speranza per un giorno 
felice. 

Macaluso Piera

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 47.




LA MIA ISOLA FELICE 

Là, all’ orizzonte, 
dove il cielo si china e bacia il mare 
e l’azzurro dell’uno si confonde 
col blu dell’altro, 
vele spiegate corrono veloci 
senza una meta: 
vanno là dove le sospinge il vento 
leggere, ma fremendo, 
come il mio cuore quando vola a te.

Macaluso Piera

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 47.




 ALLO SPECCHIO 

Chi sei, 
tu che mi stai di fronte? 
Un viso non più giovane 
senza più l’ornamento dei capelli, 
con occhi spenti tra profonde rughe … 
È questo il segno 
della vecchiezza, il tempo 
spietato, inesorabile, è passato 
graffiando la tua pelle 
e cenere lasciando 
sul fuoco dei tuoi sguardi … 
Chi sei? Perché mi osservi? 
Sì, sono sempre io, ma mi chiedo 
perché ritorno 
a mettermi ogni giorno 
davanti a te, a guardarmi 
come a cercarmi senza ritrovarmi, 
specchio della mia vita? 

Macaluso Piera

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 47.




 MA I POETI SANNO … 

Contempla Deucalione le creature 
di questa umanità, fatta di pietra, 
dura. 
Ho visto tanta gente diventare 
di pietra … Ma i poeti (se lo sono) 
sanno che ciò che appare 
fatto di pietra 
dovrà ridiventare un giorno umano. 


Stella Leonardos 


da Mìtica, Rio de Janeiro, 2001

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 5.




 RIFLESSIONE 

Guardarsi in uno specchio e non sentirsi soli. 
Sorridere e vedersi ricambiati 
con lo stesso sorriso. 
Basta dunque uno specchio 
per non essere soli? 
Ed essere è sentirsi? Immaginare 
è vivere, se abbiamo in noi la forza 
di sopravvivere?… 
Forse guardarsi 
negli occhi è il primo passo per vedersi 
dentro, e se amore spinge 
chiamare alla ribalta il proprio io e risalire 
su dai gorghi dei mondi d’ogni giorno. 

Valentino Laru 

Da “Spiragli”, anno XXII, n.1, 2010, pag. 51.




 IO NON AMO … 

Io non amo la sera, essa mi spinge 
inesorabilmente dentro il buio, 
che acceca. E si fa notte. 
Eppure amo la notte: se mi illude 
coi sogni, essa alla fine 
si lascia penetrare dalla luce. 

Valentino Laru

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 48.