Lasciatemi Cantare

Lasciatemi cantare la canzone
del desiderio
sul greto verdecupo
del rio
sfogliando margherite
bianche e gialle
nell’estasi di un’occàso di agosto
e le spalle
posare alla felicità.

Vincenzo Gentile

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag.45.




Eredità

Il sole tramonta
tra fragori
gli animali cercano le tane
cade a pezzi la tua nudità
Adamo, 
fugge Eva col suo dolore
di donna.
Noi solo questo ereditammo:
la vergogna
che cresce ad ogni istante.

Erminio Gandolfo

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag. 45.




Pomeriggio D’estate

Il cielo è simile ad un ciottolo
pescato nel fondo d’un fiume,
liscio, remoto è il ricordo del vento.
Nell’aria un grido di bimbo,
una voce di donna,
un richiamo di mamma,
poi nulla…
Intorno un inno d’amore:
affioran ricordi affettuosi,
nel cuore una gioia inconsueta,
negli occhi una luce vermiglia
lieve si posa.

 

Vincenzo Gentile

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag.45.




Strapperò due nubi

Morirò
prima di leggere
le parole tutte del Vangelo
e, forse, gli angeli
non mi faranno passare.
Chiederò scusa
per i sogni tessuti
con i colori dell’alba;
piangerò per le elemosine
che non sono cadute
dalla mia mano
e per quelle che non ho ricevuto.
Strapperò due nubi
con le parole scritte
nei giorni che ho spezzato il panee tornerò
sui muri sporchi d’argilla
della mia terra
dove le lucertole stanno
bruciate dal sole.

Gaetano Trainito

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag. 45.




L’aratro

L’aratro a chiodo
è appeso nel mio cuore.
Non trema più
sotto il robusto carro
il lume,
sulle trazzere solitarie
delle nostre contrade.
O dolce canto
nenia
lamento d’amore
sospirato
sul metallico fruscìo
del pizzicato
scacciator di pensieri.
E il mulo
torna all’usato solco
senza guida,
schiavo
del lavoro
e del tempo.

Gaetano Trainito

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag. 45.




A noi Indifferenti

Sfrecciano gli aerei
della morte
per i limpidi cieli
della mia casa a Marsala.
I colombi spaventati
volano al capanno e
tubano a coro,
deprecando.
I cani sdraiati sotto l’ulivo
storditi
sembrano chiedersi cos’è,
e guardano il cielo
e tendono le orecchie,
inorriditi.
Enigma è l’uomo
che cerca la pace facendo guerra,
che è sempre preso da oscure manìe
e sparge sangue
e semina odio
che si riproduce nella terra
che subisce, ammutolita,
le tante stragi
le grida dei bambini
il dolore represso dei vecchi
il pianto straziante delle madri,
le morti innocenti,
e le case ridotte a pietraie
e le bombe che sono intelligenti!
E noi indifferenti, stiamo a guardare!
Siamo il bersaglio di notizie falsate,
come oppio per non far pensare,
per dire solo ciò che altri vuole, e
giust’apposta manipolate
da gente che ha deciso di lucrare
sulle grida di chi ha bisogno,
sulle vite degli altri che non contano.
E noi indifferenti, stiamo a guardare,
sperando che qualcosa almeno avvenga,
magari altri tempi vividi e giulivi!
Gemono intanto al sibilar del vento
i giovani pioppi della via e
i rami abusati degli ulivi.

Salvo Marotta

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag. 44.




A Lorenzo Panepinto

Ove i vicoli odorano fieno
la povera gente che amasti
ritrovo la sera.
Ti ricordano e conversano teco
i vecchietti seduti alla soglia,
le parole confuse al calpestìo
dei muli, al belar delle capre.
Quel che a scuola dicevi, ne’ comizi,
ai curvi al lavoro, alle vecchie, ai bimbi,
raccontano ancora e imprecano
al tuo assassino, avvampano e tremano.
Un pane sotto il braccio,
tornavi ai tuoi figli
e cadevi
come un tronco possente
dalla perfidia vile
spezzato
davanti alla sposa.
Il lamento degli umili
riascolti la sera
e torni a parlare con loro
e li sproni a sperare.

Salvo Marotta

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag. 44.




UN PENSIERO MI GIOVA

Un pensiero mi giova.
Monti e convalli e ruscelli croscianti,
azzurri sconfinati abbaglianti,
palpiti della natura assordanti
voi sarete ancora
come vi conobbi e amai
e io sarò sempre parte del tutto
che muta.
Sono men triste se penso
che dopo di me altri
spieranno il fiorire del mandorlo
e torneranno ancora le primavere,
i campi ad ammantarsi di verde,
altri uomini a vivere sotto il sole
ebbri di luce
e traversare spazi immensi
e incontrare genti diverse
e amare e sognare e fare sognare.

Salvo Marotta

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag.43.




MA IL SUD NON RIDE

Nell’arcipelago Sicilia – in cui mi trovo 
la mia gente impara a sentirsi reproba
scopre le sue storie – le storie del sud –
che le storie d’Italia non ricordano. 
Resta in silenzio e pensa. Alle monete
borboniche il cui oro era pari al valore
dichiarato. Alle casse del Banco di Napoli
con cui “l’eroe dei due mondi” rimpinguò
lo statarello piemontese esangue.
Alla libertà venduta a prezzo
di fucilazioni. Ai plebisciti truccati
(libere votazioni coram populo). Al Conte
di Cavour che tutto mandò da Torino
(anche quello che avevamo) persino
la carta per gli uffici le buche
per le lettere le balie per i befotrofi.
E prefetti e bersaglieri piumati
e carabinieri a piedi e a cavallo.
Può ridere il nord che il sud
ha pagato sangue e denaro
fin dal primo memento. […]

E a stilla a stilla declinarono
fabbriche – manifatturiere tessili
cartarie conserviere siderurgiche –
e miniere. Lentamente si spopolarono
i campi e lentamente si smantellò
una marina.
Può ridere il nord che il sud
ha pagato oro e lacrime d’emigranti
e muto strazio di madri.

Lucio Zinna

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag. 42.




CI DOMANDANO SPESSO

Ci domandano spesso
cosa vogliamo per le nostre valli.

Non vogliamo
i fiumi si disperdano nel mare,
le montagne aride si erodano
allagandoci ad ogni piovasco.
Non vogliamo
case insicure, senza respiro,
scuole-galere in mura decrepite,
fontane con quattro pisciatelle,
qualche pianta in museo, nel giardino pubblico
per la domenica. 

Non vogliamo
stare inerti, o non valorizzati,
o andare a venderci spersi altrove
(senza conprendere a chi ci si vende
e a quale prezzo),
sprecare vite in traffici fessi
seppure con macchine elettroniche,
farci fessi sorbendo reclame.

Vogliamo
valorizzando il nostro impegno
vallate perennemente verdi,
foreste ombrose crescere dai monti
sui vasti laghi dalle nuove dighe
mentre il mare rimane ancora mare
e sulle spiagge luccica la sabbia.
Case nel verde
respirino cielo pulito.
Per New Jork e Milano è troppo tardi.
Vogliamo una nuova città
dove la gente impari a farsi i piani –
come persuade a ciascuno:
dove si possa parlare e intenderci
sviluppando la nostra cultura
con la gente più saggia
e coraggiosa al mondo, vivi e morti.
Acqua democratica vogliamo
– e come l’acqua ogni fonte di vita –
non di mafia diretta dalla gente
organizzata in nuove iniziative,
consorzi non fascisti
cooperative e sindacati aperti:
affrontando conflitti necessari
come gente cosciente, non da fiere.
Vogliamo materiale da museo
i mafiosi e i residui parassiti,
memorie antiche di un tempo incredi – bile. 

Danilo Dolci

Da “Spiragli”, anno XXIII, n.1, 2011, pag. 42.