BABELE

 lì dove Iddio confuse le lingue della terra. 
Genesi, 11,9 
Sogni 
accesi sui gradini della notte. 
Dove risiede il Dio 
con lo scettro di fuoco sui reami? 
Lingue di pietra 
in abissi di simboli. Fonemi 
in processione 
nelle forme febbrili 
dell’ invisibile. 
Ecco Babele, 
che si distende lungo le muraglie 
del tempo. 
Le gole nelle mani doloranti 
e in spirali di vento. 
Joanyr de Oliveira 

Tempo de ceifar, Thesaurus, Brasilia, 2002

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 45.




 INTIMITÀ GRAFICA 

Stringi il mio corpo-sei senza interlinee 
rimani unito a me senza uno spazio 
e poi scriviamo un titolo d’amore 
su due colonne. 

Lenita Miranda de Figueiredo 

(da Meia noite especial, Ila Palma, Sào Paulo) 

(Trad. di Renzo Mazzone)

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 51.




 Nella pensione della Raimunda 

racconto di Paulo Dantas 

A Simao Dìas, mia città natale, terreno della mia infanzia, c’è un largo della matrice con tante palme imperiali. Ricordo bene che in un canto c’era la pensione gestita dalla Raimunda, che passava per figlioccia di mio padre. Era una signora un po’ scaduta in anni ma d’un’allegria che contagiava tutto e tutti. Sempre un sorriso in bocca. 

Nella casa c’era una camera riservata dove lei amava ricevere ospiti illustri di passaggio, che del resto godevano di un trattamento speciale, la cosiddetta camera dei principi. 

La Raimunda era esperta in assedi amorosi, cui i gentiluomini stentavano a sottrarsi. Una volta capitò a un romantico senatore del Sergipe, il quale, per sottrarsi all’insidia, pensò di venir meno … L’indomani la Raimonda non risparmiò la notizia. Il che per qualsiasi uomo è la fine. 

Una notte, anch’io fui vittima degli assalti, ma restammo buoni amici, avendo prima assistito a un film melodrammatico: Imitazione della vita, con la Raimunda sciolta in un fiume di lacrime. Lei piangeva ed io piangevo, in un soave convivio. Senza dopo. 

Ma ora viene il meglio. Una notte arrivò in pensione un uomo strano, tipico esemplare dell’ antropologia turistica: era andato a raccogliere materiale di prima mano per un romanzo sulla guerra dei Canudos; aveva esplorato vari villaggi dell’interno, dove gli abitanti diffidenti non aprono bocca. L’uomo non era altro che il romanziere peruviano Mario Vargas Llosa. 

Era notte e il popolo della pensione era nel sonno. Lui a letto, in una vestaglia verde e nera, alla luce di un lume da comodino, leggeva Os Sertoes di Euclides da Cunha. 

Fu allora che irruppe in camera la Raimunda esclamando: «Eta homem danado de bonito!» nella sua lingua di casa. 

Il letterato, preso alla sprovvista, si chiuse a riccio protestando: «Yo nada disso, non non», un misto luso-hispanico. 

Non invento storie. Fui testimone oculare. Vidi il romanziere gentiluomo, svestito così com’era a letto, correre per il largo della matrice e la Raimunda appresso a chiamarlo come si chiama un cagnolino scappato dalla cuccia. 

E chiaro che un uomo così, adusato a donne di mondo e d’ogni lingua, giammai poteva intendere la sfrenatezza di quella donna cruda. 

Il gran romanziere non aveva intuito un gran tema da romanzo. 

trad. Renzo Mazzone 

da «Literatura Brasileira», n. 45, Sào Paulo

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 43.




La terra 

Quando gli artigli dell’Aquila 
s’aggrapparono alla crosta della Luna 
e apparvero montagne grige 
crateri bui 
e distese incenerite di silenzio 
una voce 
varcò gli spazi: 
– bella 
meravigliosamente bella 
resta la Terra 
dove il verde degli alberi 
cancella gli autunni 
e fiorisce 
di pensieri e di sogni 
il sangue umano. 

Dino D’Erice 

Nota introduttiva




 La montagna 

La montagna tu la guardi: ciuffi verdi 
s’affacciano dagli spacchi delle rocce 
spezzano il grigio uniforme 
la patina di noia 
fioriscono di giallo 
ginestre aperte al cielo. 
È viva la montagna 
e tu non sei nato ancora 
uomo 
tu 
sei nei semi che premono 
le viscere profonde con la forza dei millenni 
ancora chiusi 
nel guscio dell’infinito. 
Il vento 
strappa rami di sole 
e li depone festoso 
sulla cima. 

Dino D’Erice 

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pag. 48.

 




 Il suo amore 

Il suo amore 
era senza effusioni 
e senza parole. 
Il suo amore 
era la cura con cui stirava 
i miei vestiti 
carezzando ogni piega. 
Il suo amore 
era la veglia per spiare 
il mio rientro in casa 
ogni volta che la sera tardavo. 
Il suo amore 
era il bacio che posava 
sulla mia fronte al mattino 
credendomi ancora addormentato. 
Mia madre era nata nella valle 
desolata del Tangi 
ove la vita 
ha l’asprezza delle pietre 
affioranti dalla terra arida 
e l’amore 
è voce di silenzio 
che solo l’anima avverte. 
Col suo carattere forte 
mia madre 
così mi amava: in silenzio. 

Dino D’Erice 

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pag. 46.




 IL PROFUMO DELLA VITA 

Alla casetta solitaria (coi tufi smozzicati e le crepe alle pareti) 
sita 
sul muraglione della ferrovia 
l’estate 
arrivava con folate calde 
di vento 
e odori intensi 
di grano mietuto e di fieno 
ammucchiato a ruota 
in mezzo ai campi. 
Sulla fronte larga di mio padre 
che s’affrettava a ripulire 
il fondo dell’aia 
invaso dall’erbaccia 
si spianavano 
le rughe d’ansia scavate 
da un anno lunghissimo d’attesa. 
Il perché mi sfuggiva. A nove anni 
ignoravo 
che il profumo della vita 
è l’odore del frutto maturo 
nato 
dal seme 
messo a dimora 
con le nostre mani. 

Dino D’Erice 

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pag. 45.




 Vestita di luce 

a Raquel Naveira 

Per me 

quando si sveste 

la mia donna 

si veste con la luce dei miei occhi. 

Salvator d’Anna




 A RITMO DI SAMBA 

Voglio in pelle di gatto 
la mia carta 
di identità, 
stirata in una cuica 
per farmi riconoscere felice 
cittadino del mondo di domani, 
il paese che ha il mondo per bandiera, 
dove a ritmo di samba puoi pregare 
senza più ipocrisie, in allegria 
sciogliere un canto 
che sia accetto al Dio 
dei poveri, che sono 
il buon lievito dell’umanità, 
dove in ogni favela tra il fogliame 
verde dei morros, 
come in ogni quarto 
dei grattacieli 
o dentro le esclusive 
magioni, 
ogni Natale verrà al mondo il figlio 
dell’ uomo-Dio 
redento-Redentore; 
la terra eletta dove la mia mano 
potrà cogliere senza più sbagliare 
dal ramo tentatore della scienza 
il frutto dell’amore. 

Salvator d Anna

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag.48




POEMA DELL’ESSERE COSÌ 

Io so la solitudine. 
È piccolina, fatta come me, 
gracile, triste 
e fuma tutte le malinconie 
che chiunque da sempre abbia fumato. 
Fa poesia ispirata 
al Modernismo senza usar l’inglese 
come Gonçalves Dias . .. 
È vagabonda come Baudelaire, 
beve la moltitudine in un sorso 
ubriacandosi alla perdizione 
per non smettere mai 
d’ essere l’ubriaca prediletta 
delle taverne con le porte aperte 
a tutti. 
lo so la solitudine . .. 
È la coscienza, 
il rifugio, la chiave d’ogni porta 
che custodisce
il segreto di essere così. .. 
Essa non è mai morta 
dentro di chi non è già morto prima.

Wanda Cristina Cunha

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 43.