ALLITTERAZIONE IN “F” 

Voglio danzare dentro la poesia 
con te 
come il popolo può danzare dentro 
le istituzioni. 
Voglio con te ancheggiare in ogni rima 
come il popolo dentro il suo salario. 
Ora io scelgo per la nostra vita 
un’ allitterazione 
in effe: 
figli, felicità, tutto in famiglia 
con fagioli e farina … E con la festa 
della folla che fodera la fame 
col foot-ball ed un po’ di fantasia. 

Wanda Cristina Cunha

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 43.




Tentativi di poesia e di comunicazioni

Secondo consuete valutazioni, la possibilità di comunicare sembra atto in sé che attende di manifestarsi: divenendo – fuori di sé – un fatto capace di suscitare conseguenze. Bisogna aggiungere che essa dipenderebbe da una disponibilità, connaturata all’oggetto. Ragionevolmente chiamiamo oggetto (nel plurale adatto alla nostra modestia) quello che di solito viene indicato come luogo da cui partirebbe la comunicazione, soggetto che comunemente si ritiene possa riceverne.

Infatti, quella disponibilità – nell’oggetto – è una finzione logica: non un elemento dinamico della comunicazione ma un antecedente della possibilità di comunicare, stabilmente insito, oggettivamente fisso, che fornisce segni decifrabili. Questa riflessione proviene dall’evento stesso del comunicare: non succede che passivamente si riceva comunicazione, ma che attivamente se ne prenda (è caratteristica dell’oggetto assumere ruoli passivi, l’attivarsi è proprio del soggetto). Nel terreno si rinvengono pietre sepolte, all’interno della persona la sua indole, così il soggetto trova nell’oggetto un’apparente disponibilità a comunicare.

Se nessuna disponibilità è passiva, quella intesa alla comunicazione non è trattenuta nell’oggetto; è semplicemente la disponibilità, del soggetto, a Tentativi di poesia e di comunicazione di Antonino Cremona riconoscere l’oggetto. La possibilità di comunicare è determinata, dunque, dalla capacità di lettura da parte del soggetto. A questo punto, la possibilità di comunicazione – atto in sé, il quale attende di manifestarsi (fuori di sé) come fatto capace di suscitare effetti – dipende da una disponibilità connaturata non all’oggetto ma al soggetto: è disponibilità a capire, con la conseguenza (ecco dunque: fuori di sé) di migliorare la conoscenza ed eventualmente il gusto (questi gli effetti). 

Nei rapporti fra persone, durante lo scambio delle notizie, ogni persona è – di volta in volta – soggetto e oggetto del comunicare; meglio: della comunicabilità. Tramite del possibile tentativo di comunicazione può essere una sostanza o una forma, non esistenti in natura ma create da persone: una sostanza grezza, perché priva di forma; una forma che ha sostanza materiale o concettuale, oppure materiale e concettuale insieme. Va, comunque, precisato che la comunicazione non è mai completa: per oscurità dell’elemento da riconoscere, per difetto della disponibilità a intendere, o per entrambi i motivi. Sicché la comunicazione non esiste come assoluto (peraltro, non vi è 1’assoluto); ma solamente esiste la comunicabilità, e in modo relativo. A questo riguardo bisogna puntualizzare che la forma è conseguenza della ricerca di espressione, però quasi mai tale ricerca permette di giungere alla forma che si voleva ottenere. Cosa si possa intendere per espressione cercheremo di proporre in seguito.

 

Questi appunti “banali” servono ad avvicinarci all’argomento “Poesia e comunicazione” in cui il Centro di cultura siciliana ‘G. Pitrè’ (Palermo, 28 e 29 novembre 1985) poneva alcuni interrogativi circa lo “spazio” che la poesia possa ancora trovare nell’”ampliarsi attuale dei sensi e dei mezzi del comunicare”; coltiva dubbi sul concetto di comunicazione poetica (“solo facilità discorsiva”?); infine – “poiché la poesia dei Siciliani è in genere sorvegliata dal senso della comunicazione” – è possibile “enucleare una linea isolana?”.

 

 

Certo; nessuno sa, né mai ha potuto apprendere, cos’è poesia. Avviene che se ne avverta l’odore, ed è lecito affermare che poesia sempre si è avuta in tutte le altitudini e latitudini. In ogni ipotesi la voce, lo scritto, la trasmissione elettronica e telematica, possono divenire supporto dei suoi trasferimenti.

 

Noi siamo di quelli che non s’incantano dinanzi alle meraviglie tecnologiche e scientifiche, anzi si avvedono delle devastazioni che ad esse si devono attribuire; abbiamo pure segnalato la scienza e la tecnologia – serve della politica di potere – come involuzione della civiltà, regresso della vita: a nulla giova che si possa estendere le nozioni se nel concreto questo impedisce di approfondire la conoscenza già acquisita, persino rende disumano il mondo.

 

Si dirà che ogni cosa ha un’origine e una fine, dunque anche la poesia potrà avere la sua fine magari telematica. I discorsi, però, sulla morte dell’arte – o della filosofia – non ci sollecitano: perché tutto è relativo, niente è mai definito, l’anno Mille è stato preannunziato invano tante volte contro la mente. Badiamo, invece, all’origine della poesia: ch’è il canto. La scrittura è trascrizione del canto; il fatto che quasi mai, da secoli, la poesia venga cantata non sopprime la necessità di musica in cui la poesia si forma; anche la spezzatura del verso è un segno musicale.

Che la scrittura a mano, o a stampa, possa essere sostituita con altra è solo un fatto meccanico: riguarda il supporto scrittorio, non l’atto ideativo – né il fatto ideativo – della poesia. La tendenza (alquanto barbina e suicida) a sostituire la macchina alla persona potrà forse indurre a trovare poesie – o tentativi di poesia – delle macchine, non certo da mettere insieme alle poesie (o tentativi di poesia) delle persone. Ragionare con una macchina potrà essere un passatempo, istruttivo e delizioso, mai un ragionamento fra persone: anche se vi siano macchine raziocinanti meglio che persone.

 

Pure ci è utile il secondo quesito. La poesia e ciascun’arte non sono mai state lievi da fare, né da intendere. La qualità dell’arte ha spessore in rispondenza alla capacità espressiva dell’artista. L’immediata percezione non trasforma i connotati del cartello pubblicitario, anzi li distingue; la trascinante emotività di un eloquio – pure se composto in fraseggi con ritmi e immagini, luci e coloriture – si ferma alla soglia della poesia, perché non sfiora la metafora. La ricerca di espressione non si raggela nel coniugare immagini: perviene all’esposizione delle metafore.

La poesia autentica si fa dura all’ascolto; ha bisogno di più letture, penetrazione graduale nei suoi strati. Per quanto ci riguarda, non siamo peggio eretici del nostro solito se escludiamo che qualsiasi testo – solo perché composto in versi – possa avere significatodi poesia.

 

In ultimo, i siciliani. Se quella dei nostri autori fosse “sorvegliata dal senso della comunicazione” e non (appunto) dal senso della poesia, siamo propensi a ritenere che sarebbe davvero infima. L’intento comunicativo impone un semplificare che non è limpidezza, ma fa parte dei sistemi divulgativi; invece, l’intento (meglio: l’esigenza) della poesia costringe, a un approfondimento della ricerca di esprimersi.

La comunicazione esterna, peraltro, è un evento occasionale ed estraneo: la ricerca dell’espressione, infatti, è il tentativo del poeta di comunicare con la propria scrittura. Come gli altri tentativi, neppure questo spesso riesce.

 Non si prenda questa posizione come un adeguamento alla cosiddetta scrittura automatica: non si accorderebbe con l’avversione al telematicismo e con l’adesione, invece, ai difetti umani. Né si pensi a un riflusso di ermetismo (scuola inventata da alcuni critici, rifugio – come tutte le scuole – di autori bisognosi di farsi proteggere); s’è possibile, ci si consenta di tentare qualcosa di svincolato dalle mode.

 

Dati i precedenti dei vari ‘ismi’ in Sicilia, andremmo guardinghi nel segnare una linea continua nella poesia dei siciliani. E potremmo anche temere pericoli di delimitazioni, d’incasellature  Quest’isola non ha mai avuto una cultura isolata, tanto più se la ‘cultura’ va intesa in termini antropologici. Essa  non è mai stata solo un crocevia del Mediterraneo; oggi, contro ogni apparenza, è terraferma nei flutti del mare.

Antonino Cremona

Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pagg. 34-36.




Occhi aperti

Questo posso dirti: l’azzurro
martin pescatore, torrente Vitanza
un mitra che brucia alto nell’aria,
una macchina in fuga; mezzogiorno
suonava nei polsi contratti,
nel cuore delle pietre, nei margini
vibranti della strada; mezzogiorno
si sfaceva nella polvere
che ti annera gli occhi
non dico parole
ma fatti. Il grido d’uccello
la ruota che sbanda, il suo segno
lungo indeciso a centro di strada
l’albero che si fermò rattrappito
senza più vento
che importa dirti
se faceva politica – ora ch’è morto –
come si fermò sul margine
della discesa cadendo
come i suoi occhi rotondi erano aperti:
se difendeva un’idea e la mafia l’ha ucciso.
Accanto al suo volto
lo scarpone del carabiniere;
dimentica ch’era mezzogiorno segnato
da un azzurro martin pescatore
che il mare s’era fatto secco lontano
quando fu sparato, il rapporto
dice soltanto il suo nome e ch’è morto.

Antonino Cremona

(Il gelsomino, Parma, Intelisano, 1968)

Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pag. 54.




 Vestida de luz 

a Raquel Naveira.

Minha mulher 
quando se desnuda 
para mim se veste 
com a luz dos meus olhos. 

Vestita di Luce

Per me
quando si sveste la mia donna
si veste con la luce dei miei occhi

Juareis Correya

da «Literatura Brasileira» n. 40, 2005, São Paulo 
traduzione di Salvator d’Anna, da «Literatura Brasileira» n. 40, 2005, San Paulo

Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 18-21.




 AL TERZO MILLENNIO 

Siamo i giovani padri creatori 

d’un migliore avvenire, 

un tempo nuovo. 

E creiamo con imperfette mani 

ciò che nessuna 

generazione seppe mai creare 

tra terra e cielo. 

Coi nostri scampoli di umanità 

creiamo ciò che mai 

s’era a memoria d’uomo registrato 

ed ogni dio ci invidia: noi sappiamo 

da una vita finita 

con l’amore far nascere il domani, 

la nostra eternità. 

Juareyz Correya 

da “Spiragli”, 2008, n. 2 – Antologia 




 NOTTURNO SULLA SPIAGGIA 

Su un materasso soffice di sabbia 
sotto 
un lenzuolo di spume ricamate 
il cielo era il mio tetto 
fitto di stelle 
e il mare mi faceva compagnia. 
Fu mia stanza la spiaggia 
con la luna affacciata alla finestra 
e lì mi alimentai di silenzio 
sorseggiando la mia solitudine. 

Mariazinha Congilio

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 45.




 NON MI RICORDO PIÙ 

Nell’album dei ricordi 
una bambina dallo sguardo sperso 
e i capelli ondulati 
ma è da tanto tempo ch’è partita 
dame, 
da quando non ricordo. 
Non so dove sia andata la ragazza 
che dispensava sogni e accumulava 
speranze . .. La ritrovo qui, in un’altra 
foto: con gli occhi tristi 
su labbra sorridenti. 
Da me lei se n’è andata 
ormai da tempo. 
In questo vecchio album 
è già da tanto tempo ch’io esisto, 
tanto che non ricordo più da quando.  

Mariazinha Congilio

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 45.




ANSIA DI SOPRAVVIVERE 

Perdonami 
se sono penetrata 
nella tua vita, mentre consumavo 
incerta il tempo che ci apparteneva. 
Perdonami di avere ricevuto 
carezze e amore 
e i tuoi silenzi e la disperazione. 
Perdona se ti ho fatto 
abitare il mio corpo e se ho lasciato 
perderti in me. 
Ti prego di andar via 
e trattenere il grido non espresso. 
Vai 
per la piatta distesa delle ombre, 
porta con te il poema già gualcito 
con la tua ansia di sopravvivenza, 
e cerca di capirmi e perdonarmi … 

Mariazinha Congilio

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag.36

 




Festa della vita

Io, strana convitata, 
forse ho vissuto prima d’esser nata. 
Ed ho amato prima d’incontrare 
l’amato. 
E l’ho baciato prima di accostare 
le mie alle sue labbra. 
Mi sono data prima d’esser presa. 
Intravedo mattini mentre è notte. 
Conosco luoghi e gente ancora prima 
di avvicinarli. 
Ed assaporo frutta ancora in fiore. 
Mi bagno della pioggia 
che non è ancora scesa dalle nuvole. 
Ma, strana convitata, 
sono arrivata a festa già inoltrata 
quando già molti erano andati via 
e mentre altri 
si affannavano ad occupame i posti. 
lo sono come chi sa che gli tocca 
di andare via prima che la festa 
spenga le luci. Eppure 
grande è la voglia mia di assaporare 
la festa della vita. 

da “Màos vazias” e da Festa da vida , [brasa, Sào Pau/o, 2002

Mariazinha Congilio

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 45.




 Due liriche di Mariazinha Congilio 

TORNARE INDIETRO 

Voglio recuperare i miei 

giorni perduti, voglio amare e vivere 

sconsideratamente. 

Non avere 

più paure e nutrirmi di coraggio. 

Basta solo tornare al tempo andato, 

tirare a secco i dubbi 

e accettare l’incerto, per amare 

senza falsi pudori, 

come si affronta il mare 

aperto. 

INCERTEZZA 

Non odo più le voci dell’ infanzia 

non vedo più il cammino 

che percorrevo nella giovinezza. 

Non sento più le mani 

che un tempo mi prendevano per mano. 

Non sento 

ora più labbra ansiose del mio bacio. 

Il vento ha spaginato la mia storia 

e implacabile il tempo, indifferente, 

resta a guardare questo mio passare. 

lo non so dove vado 

né se vado, 

vedo i miei piedi ricalcare orme 

nel vuoto mai … 

Restano del passato 

fuggevoli ricordi, e del presente 

solo incertezze 

o il vuoto da riempire di speranze 

mentre giochiamo con l’eternità … 

Non odo più le voci dell’infanzia. 

da Festa da vida, Ibrasa, Sao Paulo, 2002