Secondo consuete valutazioni, la possibilità di comunicare sembra atto in sé che attende di manifestarsi: divenendo – fuori di sé – un fatto capace di suscitare conseguenze. Bisogna aggiungere che essa dipenderebbe da una disponibilità, connaturata all’oggetto. Ragionevolmente chiamiamo oggetto (nel plurale adatto alla nostra modestia) quello che di solito viene indicato come luogo da cui partirebbe la comunicazione, soggetto che comunemente si ritiene possa riceverne.
Infatti, quella disponibilità – nell’oggetto – è una finzione logica: non un elemento dinamico della comunicazione ma un antecedente della possibilità di comunicare, stabilmente insito, oggettivamente fisso, che fornisce segni decifrabili. Questa riflessione proviene dall’evento stesso del comunicare: non succede che passivamente si riceva comunicazione, ma che attivamente se ne prenda (è caratteristica dell’oggetto assumere ruoli passivi, l’attivarsi è proprio del soggetto). Nel terreno si rinvengono pietre sepolte, all’interno della persona la sua indole, così il soggetto trova nell’oggetto un’apparente disponibilità a comunicare.
Se nessuna disponibilità è passiva, quella intesa alla comunicazione non è trattenuta nell’oggetto; è semplicemente la disponibilità, del soggetto, a Tentativi di poesia e di comunicazione di Antonino Cremona riconoscere l’oggetto. La possibilità di comunicare è determinata, dunque, dalla capacità di lettura da parte del soggetto. A questo punto, la possibilità di comunicazione – atto in sé, il quale attende di manifestarsi (fuori di sé) come fatto capace di suscitare effetti – dipende da una disponibilità connaturata non all’oggetto ma al soggetto: è disponibilità a capire, con la conseguenza (ecco dunque: fuori di sé) di migliorare la conoscenza ed eventualmente il gusto (questi gli effetti).
Nei rapporti fra persone, durante lo scambio delle notizie, ogni persona è – di volta in volta – soggetto e oggetto del comunicare; meglio: della comunicabilità. Tramite del possibile tentativo di comunicazione può essere una sostanza o una forma, non esistenti in natura ma create da persone: una sostanza grezza, perché priva di forma; una forma che ha sostanza materiale o concettuale, oppure materiale e concettuale insieme. Va, comunque, precisato che la comunicazione non è mai completa: per oscurità dell’elemento da riconoscere, per difetto della disponibilità a intendere, o per entrambi i motivi. Sicché la comunicazione non esiste come assoluto (peraltro, non vi è 1’assoluto); ma solamente esiste la comunicabilità, e in modo relativo. A questo riguardo bisogna puntualizzare che la forma è conseguenza della ricerca di espressione, però quasi mai tale ricerca permette di giungere alla forma che si voleva ottenere. Cosa si possa intendere per espressione cercheremo di proporre in seguito.
Questi appunti “banali” servono ad avvicinarci all’argomento “Poesia e comunicazione” in cui il Centro di cultura siciliana ‘G. Pitrè’ (Palermo, 28 e 29 novembre 1985) poneva alcuni interrogativi circa lo “spazio” che la poesia possa ancora trovare nell’”ampliarsi attuale dei sensi e dei mezzi del comunicare”; coltiva dubbi sul concetto di comunicazione poetica (“solo facilità discorsiva”?); infine – “poiché la poesia dei Siciliani è in genere sorvegliata dal senso della comunicazione” – è possibile “enucleare una linea isolana?”.
Certo; nessuno sa, né mai ha potuto apprendere, cos’è poesia. Avviene che se ne avverta l’odore, ed è lecito affermare che poesia sempre si è avuta in tutte le altitudini e latitudini. In ogni ipotesi la voce, lo scritto, la trasmissione elettronica e telematica, possono divenire supporto dei suoi trasferimenti.
Noi siamo di quelli che non s’incantano dinanzi alle meraviglie tecnologiche e scientifiche, anzi si avvedono delle devastazioni che ad esse si devono attribuire; abbiamo pure segnalato la scienza e la tecnologia – serve della politica di potere – come involuzione della civiltà, regresso della vita: a nulla giova che si possa estendere le nozioni se nel concreto questo impedisce di approfondire la conoscenza già acquisita, persino rende disumano il mondo.
Si dirà che ogni cosa ha un’origine e una fine, dunque anche la poesia potrà avere la sua fine magari telematica. I discorsi, però, sulla morte dell’arte – o della filosofia – non ci sollecitano: perché tutto è relativo, niente è mai definito, l’anno Mille è stato preannunziato invano tante volte contro la mente. Badiamo, invece, all’origine della poesia: ch’è il canto. La scrittura è trascrizione del canto; il fatto che quasi mai, da secoli, la poesia venga cantata non sopprime la necessità di musica in cui la poesia si forma; anche la spezzatura del verso è un segno musicale.
Che la scrittura a mano, o a stampa, possa essere sostituita con altra è solo un fatto meccanico: riguarda il supporto scrittorio, non l’atto ideativo – né il fatto ideativo – della poesia. La tendenza (alquanto barbina e suicida) a sostituire la macchina alla persona potrà forse indurre a trovare poesie – o tentativi di poesia – delle macchine, non certo da mettere insieme alle poesie (o tentativi di poesia) delle persone. Ragionare con una macchina potrà essere un passatempo, istruttivo e delizioso, mai un ragionamento fra persone: anche se vi siano macchine raziocinanti meglio che persone.
Pure ci è utile il secondo quesito. La poesia e ciascun’arte non sono mai state lievi da fare, né da intendere. La qualità dell’arte ha spessore in rispondenza alla capacità espressiva dell’artista. L’immediata percezione non trasforma i connotati del cartello pubblicitario, anzi li distingue; la trascinante emotività di un eloquio – pure se composto in fraseggi con ritmi e immagini, luci e coloriture – si ferma alla soglia della poesia, perché non sfiora la metafora. La ricerca di espressione non si raggela nel coniugare immagini: perviene all’esposizione delle metafore.
La poesia autentica si fa dura all’ascolto; ha bisogno di più letture, penetrazione graduale nei suoi strati. Per quanto ci riguarda, non siamo peggio eretici del nostro solito se escludiamo che qualsiasi testo – solo perché composto in versi – possa avere significatodi poesia.
In ultimo, i siciliani. Se quella dei nostri autori fosse “sorvegliata dal senso della comunicazione” e non (appunto) dal senso della poesia, siamo propensi a ritenere che sarebbe davvero infima. L’intento comunicativo impone un semplificare che non è limpidezza, ma fa parte dei sistemi divulgativi; invece, l’intento (meglio: l’esigenza) della poesia costringe, a un approfondimento della ricerca di esprimersi.
La comunicazione esterna, peraltro, è un evento occasionale ed estraneo: la ricerca dell’espressione, infatti, è il tentativo del poeta di comunicare con la propria scrittura. Come gli altri tentativi, neppure questo spesso riesce.
Non si prenda questa posizione come un adeguamento alla cosiddetta scrittura automatica: non si accorderebbe con l’avversione al telematicismo e con l’adesione, invece, ai difetti umani. Né si pensi a un riflusso di ermetismo (scuola inventata da alcuni critici, rifugio – come tutte le scuole – di autori bisognosi di farsi proteggere); s’è possibile, ci si consenta di tentare qualcosa di svincolato dalle mode.
Dati i precedenti dei vari ‘ismi’ in Sicilia, andremmo guardinghi nel segnare una linea continua nella poesia dei siciliani. E potremmo anche temere pericoli di delimitazioni, d’incasellature Quest’isola non ha mai avuto una cultura isolata, tanto più se la ‘cultura’ va intesa in termini antropologici. Essa non è mai stata solo un crocevia del Mediterraneo; oggi, contro ogni apparenza, è terraferma nei flutti del mare.
Antonino Cremona
Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pagg. 34-36.