TRACCIA

 

Un poema 
libero da grammatica e da suoni 
delle parole 
libero 
da tracce. 
Un poema fratello 
d’altri poemi 
che spengano la sete 
ai corsi d’acqua 
e rilucano come pietre al sole. 
Un poema 
che sia senza il sapore 
della mia bocca e sia 
libero 
da segnali di denti sopra il dorso. 
Poema nato 
agli angoli di strade, lungo i muri 
come povere parole 
con parole appassite 
però 
libero tanto 
che da se stesso tragga 
la decisione 
d’essere 
scritto o no. 

Eunice Arruda

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 44.




MARTINA

 

Raggi di sole impigliati tra le chiome 
preziose perle d’ oriente 
petali schiusi di carnoso fiore 
frammenti d’avorio illuminano il viso. 
Sui lucci coni già splende il sorriso. 
Vento di marzo che profuma 
di primavera, inatteso dono 
a non più giovani età 
calore vivificatore della nostra 
esistenza.

Maria Pia Sammartano

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 38.




NON È PIÙ STAGIONE 

Non è più stagione 
di volare sulle ali della fantasia. 
È tempo d’ascoltare 
del cuore le voci, dell’ anima i sussulti. 
È tempo di cucire 
i ritagli della memoria 
per dispiegarvi ancora l’esistenza. 

Maria Pia Sammartano

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 38.




VENDEMMIATORI

Come greggi a settembre 
calanti in pianura a svernare 
così per annuale appuntamento 
lasciano case e affetti 
i vendemmiatori. 
Portano con sé pesanti fardelli 
inseparabili gusci nella lontananza 
conforto nelle notti ali’ addiaccio. 
Del loro sciame folto e indistinto 
brulicano la piazza e il sagrato. Vivono sospesi nell’attesa 
di un cenno di speranza. 

Maria Pia Sammartano

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 38.




LE SALATRICI 

Da tempo ormai non vedo 
disseminate lungo il corso 
a sparse file 
le operaie della conserviera 
come instancabili formiche 
spinte da antico bisogno. 
Al mattino 
a passo svelto e agile, ricolma 
di lena la sporta 
e di tenacia donne senza tempo 
giungevano 
alla stazione della speranza. 
Al tramonto 
chiuse in un silenzio assorto 
a passo legato 
mani e vi so gonfi di stanchezza 
ritornavano lasciando 
dietro di sé l’odore della fatica 

Maria Pia Sammartano

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 38.




SOSTITUZIONE 

 

È diventato il mondo mio più grande 
nella tua assenza. 
In me c’è ora un vuoto, 
la mia camera ha le pareti nude 
senza mobili, quadri, senza tende: 
la tua presenza 
aveva riempito ogni mio spazio. 
La tua partenza 
ha ingrandito il mio mondo 
per l’assenza 
e per la solitudine ed il vuoto. 
Perciò ho commissionato 
un’infinita 
saudade 
da mettere al tuo posto. 
da os vazias / A mani vuote, versione italiana di Renzo Mazzone

Mariazinha Congilio

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag.36




RICERCA I 1 

Da quando esisto? 
Sono perduta nello spazio-tempo, 
un porto senza navi 
sono, un fiume 
senza affluenti, 
sono 
terra che non è stata fecondata, 
un albero senz’ombra. 
Mi sento gambe 
che s’agitano invano sempre in corsa, 
braccia che non conoscono l’ abbraccio, 
occhi ormai stanchi 
che non sanno il pianto, 
bocca che non sa più 
l’ansia d’un bacio. 
E mi vado cercando 
dentro me stessa sin da quando esisto. 

Mariazinha Congilio

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag.36




LA MIA ASSEMBLEA 

Rientro alfine in porto e mi domando: 
è esistito l’amore e chi ho amato? 
Stringo tra le mie mani la realtà 
e in un abbraccio la lucidità: 
io bacio il vuoto. 
Mi sono violentata ed ho distrutto 
le fondamenta e i muri divisori 
per concedermi tutta ad un amore 
che occupava il mio spazio. 
Mai è esistito un sogno 
così semplice e puro 
e lo difendo 
nell’assemblea indetta dal mio io: 
se ho sbagliato o no ormai non vale, 
conta solo se ho amato. 

Mariazinha Congilio

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag.36




SE UNO SI ACCENDE D’AMORE 

Come una foglia gialla 
appena attaccata ad un ramo 
morto di un vecchio albero 
ove più non scaldi 
il sole, 
si scioglie 
come un chicco di brina 
al richiamo d’amore 

Calogero Messina

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 9.




Uomini

Schiamazzano e gridano
e poi muti scompaiono gli uomini
come dalla terra stordita
dal sole le ombre raminghe
fugate.

Calogero Messina

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 9.