EGUALI E DIFFERENTI 

Sono i miei versi a rendermi 
da te diversa, 
ma quante somiglianze tra di noi 
ci sono in tutti i sensi … 
(E i sentimenti?) 
Ci somigliamo tanto, specialmente 
nell’essere mortali, 
ma mi fa differente 
da te la poesia 
perché l’abilità in chirurgia 
ti può fare salvare tante vite 
con le tue mani, 
non creare la vita: 
solo la poesia è creazione! 
A questo mondo Iddio 
ci ha fatto eguali, 
con esclusione 
di ciò ch’è strettamente personale: 
il nostro io.

 
Maria de Lourdes Alba 
versione di Renzo Mazzone 

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 37.




 Sin nombre 

Sobre la cama aun caliente 
desparrama los pétalos mustios 
enrieda las sabanas entre manos dolientes. 
Suenan campanas en un aire templado, llaman al mistico encuentro 
de sabanas blancas, 
enrieda su cuerpo con piernas dobladas, 
gesto tras gesto el corazón se inflama, 
juega la carne con carne sagrada, 
envuelve los cuerpos la prontitud, 
sigue la busqueda entre llamas, 
juega la carne con carne marcada, 
muerde, sangra 
la lengua que pasa en la cara sofiada, 
la mano que busca la mano amada, 
sigue la masa humana 
encarnando 
savia verde. 
Suenan campanas en un aire templado, 
llaman al mistico encuentro 
de sabanas blancas, 
verde, verde que asoma a su frente, 
fluye el calor en su cuerpo vencido, 
asoma el cansancio 
mientras la brisa enfria 
la savia verde. 
Isabella Mazzei

Da “Spiragli”, anno II, n.3, 1990, pag. 41.




ORMEGGIO

Yun Mu (n. 1986, Pechino)
Sono arrivato qui nella città 
sul lago 
e ho visto per le vie 
un fluttuare instancabile di gente 
come fossero in cerca d’un legame. 
Era un mio sogno 
abbattere una quercia per aprire 
il mio cammino dentro la città, 
ma svaniva sul fare del mattino. 
Perché nella città tutti i mattoni 
erano già occupati … Ed io non ero 
venuto per cercare un altro spazio: 
volevo solo esprimere un saluto 
a una ragazza ancora non andata 
in sposa, e dirle 
che il grano nel suo cesto era maturo 
e la vita ha un valore duraturo. 
lo, che non ho trascorso 
mai una notte sul mare, mi distendo 
adesso 
in riva allago immerso nella luce 
ad aspettare che si chiuda il giorno. 

Yun Mu

Traduzione dalla lingua cinese di Veronica Ciolli, versione di Patricia Lolli e Renzo Mazzone. 

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 40.




 MEZZOGIORNO ALLA FINESTRA 

Perché solo al mattino 
si affaccia il sole alla mia finestra 
e appena è sera 
le sue scarpine gialle lucidate 
vanno a far mostra nelle più lontane 
vetrine 
d’un altro mondo che non m’appartiene? 
Chen Xiao 

Traduzione dalla lingua cinese di Veronica Ciolli, versione di Patricia Lolli e Renzo Mazzone. 

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 39.




CONFUSIONE

 di Chen Xiao 

(n. 1987, Hunan) 
Questo è l’amore, o no?, quando ti trovi 
davanti a un fiore che si sta schiudendo 
e la bellezza o il giro d’un istante 
basta 
a darti il senso dell’appartenenza? 
È dunque amore il fiore che si apre? 
E tu domani tornerai a cercarlo, 
il fiore, ad innaffiarlo, 
se per te è amore quella nuova vita? 
Sono piccole astuzie le sue luci 
ed il tuo piede posa 
su sfumature d’immaginazione . .. 
Ora mi accade 
di ritrovarrni nella mia illusione, 
lunghi i capelli sciolti alla carezza 
del vento, 
e mi sembra che stiano scorrendo 
come acqua le tue dita. 
Se non è amore, allora il desiderio 
di te sarà rinuncia? 
Ho portato i miei passi sino a dove 
tramonta il sole, 
e il suo cammino incerto, 
per sapere la meta. 
Quando il tuo sguardo 
illumina il mio viso 
intento 
io non posso non chiederti se credi 
in noi o vuoi 
solo allevare uccellini in gabbia. 
Se la gabbia è invisibile, io spero 
che gli occhi almeno sentano. 
Al calare del sole, a luci spente, 
ho fatto una scommessa con me stessa 
ed umilmente dico: è tutto falso, 
assurdo, e poi 
la scena che rivedo ad occhi aperti 
cala il sipario sulla mia sconfitta. 
Forse era proprio quello che volevo . .. 
Ma in gioco non avevo messo mai 
il cuore, e onestamente 
ti prego ora di stringermi al tuo petto, 
perché è soltanto ciò che mi rimane. 

Xiao Chen

Traduzione dalla lingua cinese di Veronica Ciolli, versione di Patricia Lolli e Renzo Mazzone. 

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 38-39.




 IL TORRENTE 

di Liao Wenjun (n. 1990, Yue Yang, Hunan) 

Capisco 
che ci sia un torrente che riversa 
il suo tormento, mentre tu contempli 
meraviglie che fluttuano nei cieli 
dove noi non siamo .. . 
Capisco che le nuvole là, in alto, 
appese nella luce 
si sciolgano e si lascino cadere, 
perché ogni realtà non dura a lungo. 
Guarda questo torrente come vive, 
guardalo attentamente: 
so che non ti interessa, 
ma ha una sua bellezza nel tormento. 
So che un giorno le nuvole 
non avranno più senso, perché il cielo 
spegnerà le sue luci 
ed il torrente stenterà il cammino. 
Perché il torrente è anch’ esso 
un riflesso del cielo e le sue nuvole. 
Intanto lui è convinto di potere 
sempre correre e scorrere a suo modo 
per la sua strada (sua?) 
e a me non resta che lasciarlo andare … 

Liao Wenjun

Traduzione dalla lingua cinese di Veronica Ciolli, versione di Patricia Lolli e Renzo Mazzone. 

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 39-40.




Giovinezza | Con la stessa fiamma

Due liriche di Pio Vigo

Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pag. 36.




 ARDONO ANCHE NEL BUIO 

Ho riordinato le piccole gioie 
dei miei anni 
dimenticate in un paniere 
appeso fra tanti 
alla parete della cantina. 
Erano fili deboli di allegria 
schegge, pagliuzze, 
frammenti di esultanza 
ritrovati in tante storie vissute: 
ceri accesi 
lungo il sentiero faticoso. 
Con essi ho tessuto le corde 
della mia altalena. 
Mi lascerò ora dondolare 
come quand’ero bambino 
dalla spinta soave dei miei sogni 
che lasciano intravedere 
la bellezza della vita. 

Pio Vigo




Marsala-Mallorca. Diario di un giorno 

 4 aprile 1998 

Parto per uno dei miei viaggi di lavoro, come si dice in gergo commerciale. Dovrò incontrare degli amici scrittori per consolidare scambi culturali con la Spagna. Sono in compagnia di Tonino Contiliano, collaboratore di “Spiragli”, poeta. 

Arriviamo all’aeroporto Florio, avendo sciroppato, tra il serio e il faceto, le raccomandazioni delle mogli. Manca una buona mezz’ora alla partenza. Mi accorgo di avere dimenticato a casa gli occhiali e, per questo, salta il caffè che avremmo dovuto prendere assieme. 

In questi casi si dice che la giornata inizia “bene”! Ci salutiamo con le donne, nell’ipotesi che non facessero in tempo a farmi avere i miei occhiali, ma ci imbarchiamo per ultimi, nell’attesa di vederle ricomparire. Solo dopo che mi vengono a consegnare gli occhiali, guardando attraverso l’oblò, intravediamo due figure di donne che salutano sventolando le braccia. Ricambiamo amorevolmente i loro saluti. 

Voliamo, lasciandoci dietro la plastica luccicante delle serre di Birgi. A destra, abbiamo Favignana e le isole vicine, a sinistra, Erice, a strapiombo sul mare di Trapani. 

La primavera anche qui, in alto nel cielo, spande la sua luce e la dilata dappertutto, sui cirri sparsi, sull’oblò che abbaglia. Nella luce smorzata e distesa di un giorno a finire, su questo cielo, non molto lontano, si consumò una tragedia che il mare raccolse. Nonostante il relitto parli chiaro, la verità stenta a venire a galla. E i morti innocenti ancora fissano sgomenti, i parenti gridano la loro rabbia, i responsabili tacciono e si nascondono nella meschinità del loro essere. L’Uomo, mi viene da dire! 

*** 

A Roma ci attende una giornata piena fino a stancarci. Incontro (come sempre, appuntamento sotto la finestra del Duce a piazza Venezia) Donato Accodo, l’editore della E.I.L.E.S. Parliamo di pubblicazioni, di lavori in fase di attuazione, del mio Pirandello e Ionesco, di cui apprendo che ha venduto molte copie all’estero e che, seppure a rilento, va bene ed è richiesto da più parti. Parliamo anche di questo viaggio in Spagna, degli amici che ci aspettano e della possibilità di allacciare rapporti di scambio che vedrebbero un po’ tutti coinvolti. Fa piacere rivedere persone che hanno gli stessi interessi, confrontarci e chiarirci le idee. Idee che non mancano a nessuno, specie se si possono concretare. 

Sorseggiamo il nostro caffè, seduti nella terrazza di un bar che guarda il Milite Ignoto. Maree di gente passano incessantemente dinanzi ai nostri occhi; gente dall’aria incerta e disarmata, gente stupita che guarda e si sofferma, giovani amanti che si tengono per mano, uomini e donne soli con se stessi, che vanno dove un affetto li chiama o il dolore preme, politici e portaborse, tutti spinti dalla vita che non s’arresta. Vanno… 

La vita è in tutto questo andare, in questo essere altri, nel proliferare senza sosta, nella forza che è in noi e che ci spinge ad agire. Il contrario è la morte, l’apatica, indifferente morte. 

Eppure, chi non è abituato ad essere nel vortice continuo dell’umano fluire delle grandi città non può non stancarsi ed invocare la calma. Per questo, quando ci siamo congedati da Donato, abbiamo preferito percorrere luoghi meno noti e viuzze a zig-zag che dal fiume vanno verso il centro, avvolti nel silenzio della solitudine e dell’abbandono. A ben pensarci, però, quelle strade e quei luoghi deserti chissà di quali segreti sono depositari e quante trame han visto ordire! 

Tonino ed io andiamo a zonzo, anonimi tra gente anonima, visitando luoghi e osservando uomini che di Roma sono teatro e personaggi. L’Uomo, grandezza e miseria, diceva Pascal! E i luoghi che andiamo visitando sono grandezza dell’uomo che fu e miseria passata e presente di chi ha condizionato e condiziona, a scapito di quanti non hanno mai avuto la possibilità di gestire in proprio e in meglio la vita. 

Pranziamo nelle vicinanze di piazza Argentina. Seduti, ci accorgiamo di essere stanchi. Abbiamo camminato abbastanza per meritarci un bicchiere di birra e il piatto del giorno che una giovane polacca viene a servirei. Riferisce di essere arrivata da poco a Roma, spinta dal bisogno di aiutare i suoi, malati con una nidiata di bambini da allevare. I capelli d’oro le incorniciano il volto di una bellezza indicibile, anche se gli occhi azzurro-chiari gli infondono una posatezza che la rende più grande dei suoi vent’anni. È una bellezza rara provata, più che dal tempo, dalle privazioni. Il dolore lascia solchi profondi. 

Uscendo dal locale, facciamo un gesto di saluto, non diciamo niente. Solo quando ci allontaniamo, guardandoci, quasi a conferma, diciamo che la giovane polacca è di rara bellezza. 

*** 

All’aeroporto arriviamo in ritardo. Ci dicono che abbiamo pochi minuti e, anche se hanno già comunicato il nostro arrivo, non possono garantirci l’imbarco. Dobbiamo affrettarci. Corriamo a più non posso, sudati e col fiatone da cani accaldati. 

Responsabile di questo inconveniente il poeta. Ricordava l’imbarco alle 19.00 anziché alle 18.00 ed io, cedendogli i biglietti, mi ero affidato a lui! 

Ora, seduti sull’aereo che ci porterà a Mallorca, ci asciughiamo i sudori e ridiamo del paventato pericolo di non dovercela fare. Ci viene in mente la corsa delle donne nella mattinata e ridiamo per avercela fatta in entrambi i casi. 

C’è ancora luce. Voliamo su un cielo limpidissimo; sotto di noi, un mare d’argento che sembra stagnato. Tra poco saremo con gli amici che ci aspettano, isolani tra isolani, in un’isola molto vicina e simile alla nostra. Brinderemo nel nome dell’amicizia e della collaborazione. 

Salvatore Vecchio

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pagg. 33-35.




 La ragazza che voleva i pantaloni 

Che grande invenzione, la pubblicità! Avete mai pensato alla pubblicità e a quante cose fa venir fuori? Basta solo mettere in moto un marchingegno, perché la cosa, quasi a forza d’inerzia, vada da sé, senza bisogno di altri spintoni. 

La pubblicità è come il pettegolezzo delle comari: inizialmente prende le mosse da una, e poi… poi coinvolge tutto l’abitato! Basta solo iniziare, anzi, l’importante è iniziare, perché subito si troveranno i proseliti, magari si costituiranno due fronti (non secoli!) «l’un contro l’altro armato», ma poco importa, tutto tirerà acqua al mulino, e questo macinerà, e come! 

Prendete il libro di Lara Cardella, della ragazza che voleva i pantaloni. Ci troviamo dinanzi ad uno dei miracoli veramente grandi che la pubblicità ha fatto da qualche mese a questa parte. L’annuncio di una pubblicazione, un’intervista sollecitata all’autrice di Volevo i pantaloni, e qualche ingenua affermazione: è bastato tanto poco per imbastire un fuoco d’artificio di cui tuttora si sentono i rimbombi. 

Tanto poco per dare il via al marchingegno di cui abbiamo parlato. Un fatto puramente paesano o, se volete, provinciale, in pochi giorni è divenuto un caso nazionale. Se n’è occupata la televisione con l’impeccabile Enzo Biagi, Canale 5 con l’accattivante pacioccone Maurizio Costanzo, e tutta una serie di giornali e rotocalchi. 

Ne valeva la pena? Ma tutto è lecito, quando c’è in palio il denaro. Perché diversamente non si spiega. Sfruttare le pur minime occasioni è una delle leggi di mercato. E l’occasione è stata sfruttata puntando sull’ingenuità della gente o, meglio, toccandola nel suo perbenismo, perché alla maschera in Sicilia ci si tiene ancora ed è prassi mostrarsi per quelli che non si è. 

Parlavamo di affermazione ingenua, poco fa. Ed in verità, cosa ha detto Lara Cardella dei licatesi – essi non vengono menzionati nel libro – che scrutano con gli occhi le ragazze, quasi le volessero spogliare? Forse che, quando si vedono delle belle ragazze, non è delizia guardarle? E questo non si verifica in qualsiasi altro paese di provincia del mondo e, magari, in una grande città? Anzi, dobbiamo dire che, con questi mezzi d’informazione di massa, differenziazioni comportamentali tra abitanti di paese o di città non ce ne sono o, tutt’al più, le distanze si sono molto ravvicinate. 

L’affermazione della Cardella da una parte e il risentimento paesano dall’altra hanno fatto traboccare l’acqua dal bicchiere ed è stata subito polemica aperta, quasi una caccia alla strega, a Lara Cardella, che s’è dovuta rinchiudere in casa ed aspettare tempi migliori. 

La gente di questo splendido paese costiero dell’agrigentino, bagnato dal mare ancora intatto e dominato dall’altura di Montesole (un tempo, ohimè, terra ridente di mandorli e d’ulivi, con qua e là qualche casina nobiliare, ora devastata da un abusivismo edilizio che qui non si arresta), ha gridato allo scandalo, ha contestato; insomma, ha fatto tanta di quella cagnara che ha persino coinvolto la stessa amministrazione comunale a tralasciare i problemi urgenti per interessarsi al caso. 

Il primo cittadino s’è dato un gran da fare, ha telefonato a destra e a manca per essere ospitato in televisione e così rigettare pubblicamente le affermazioni della «ribelle»: nella sua veste di sindaco doveva tranquillizzare gli animi, dicendo le cose come stanno. D’altronde, c’era dimezzo la reputazione di tutto un paese; persino la politica ne veniva toccata, e la politica nelle nostre parti non va toccata… 

Mi chiedo ancora: era necessaria questa messa in scena? Certo che se non si fosse dato peso alla cosa, il tutto sarebbe passato inosservato. Non sarebbe stata lesa la rispettabilità dei molti che a ben altro hanno da pensare, e di tutto potevano parlare tranne della ragazza dei pantaloni. Non sarebbe successo niente, e chi se la doveva sentire – non solo a Licata – se la sarebbe sentita. 

A fatto avvenuto, così come sono andate le cose, la cittadinanza tutta non ne è uscita indenne o, per lo meno, non ha fatto una bella figura dinanzi all’opinione pubblica nazionale. Il silenzio, vero che non è sempre d’oro, ma sicuramente non avrebbe fatto sbagliare! 

Così, questo chiasso è servito solo a far scattare il marchingegno della pubblicità con pochissime spese iniziali o, meglio, a spese del perbenismo risentito dei licatesi. E chi ne trae vantaggio è la Mondadori che vende il libro primo classificato. 

La giovane Cardella va incoraggiata e spronata a continuare la strada intrapresa dello scrivere ma senza badare alle varie voci che si dicono, perché, quando c’è di mezzo il meschino denaro, si fa in fretta a montare le persone. 

Gran brutta cosa è poi la delusione… 

Alcuni, senza perderci tempo, col fiuto finissimo che li caratterizza, hanno parlato di «caso letterario», non sapendo che così offendono la dignità artistica ed umana di tanti scrittori meritevolissimi, i quali o sono passati inosservati e tuttora aspettano giustizia , o la loro opera è stata apprezzata fuori prima che il pubblico nostrano «bestia varia e scanzonata» se ne potesse interessare. È il caso di Svevo o, per non andar lontano, del siciliano Tomasi di Lampedusa. 

Di Lara Cardella ci sarebbe poco da dire, se non fosse stato per questa montatura. Volevo i pantaloni è un libretto animato solo dagli ardori e dalla fede giovanili: vuole essere una denuncia sociale e tale è, vera o inventata che sia. Ma più che romanzo – così come l’autrice lo presenta -, perché romanzo non è, parlerei di documento, restando nell’ambito della denuncia, dato che dal vizio e dalla depravazione non viene intravista alcuna via d’uscita. 

Zio Vincenzino o ziaVannina, l’uno vale l’altra, se per superare le difficoltà economiche essa si vende a questo o a quello, dimostrandosi superficiale, vuota e, persino, banale. Ma anche l’io scrivente si chiude nella rassegnazione e all’ultimo niente fa per cambiare quella realtà che prima aveva contestato e deriso. 

La trama è esilissima, e tutta incentrata sulle figure dell’uomo-padrone e della donna-oggetto. Tema che, a dir la verità, a noi sembra inattuale o molto limitato nella sua casistica. Con la televisione che ci propina volgarità a mai finire e che viene seguita dalla mattina alla sera da casalinghe e da collaboratrici familiari, si è avuta un’evoluzione (o involuzione?) veramente sorprendente in tutti i ceti sociali e nei paesetti più lontani, dove si assiste ad eccessi d’usi e di costumi che non si riscontrano neppure nelle stesse grandi città. 

Il successo del libretto sta solo nel lassismo proprio dell’uomo di oggi e nella capacità di assecondarlo da parte di chi detiene il potere culturale, sfruttando al massimo ogni occasione per far quattrini. Alle case editrici – e il nostro caso è lampante – non interessa un’opera dal suo lato artisticoculturale, bensì dall’introito che ne potrebbe derivare: e se le previsioni fanno ben sperare, vada pure a farsi benedire la morale o l’elevazione culturale della gente! 

La realtà è che ci troviamo dinanzi ad un decadimento etico senza alternative e tutto sembra inclinare verso l’accettazione passiva di una situazione che mortifica e ripugna, se lo Stato non si farà garante esso stesso di moralità. Diversamente le cose andranno così, alla deriva, e il peggio dovrà ancora venire. Anche perché uomini culturalmente validi e preparati, che veramente hanno qualcosa da dire, sono nell’impossibilità di operare, tagliati fuori come sono da un sistema che impone, anche in modo occulto, la sua volontà. Ne risente la scuola, e ne vive la sua crisi la famiglia, se di crisi si può parlare, perché fortemente scissa negli affetti più intimi e negli interessi. 

La disgregazione del nucleo familiare, facilitata anche dai ritmi della vita moderna, ha messo ancor più in discussione il rapporto genitori-figli, non nei termini tradizionali della questione, ma come disinteresse ed egoismo spinti all’esagerazione: e da qui è venuta meno tutta una serie di valori fondamentali per la convivenza sociale. 

L’amore, il rispetto degli altri, l’amicizia leale e disinteressata sembra siano stati accantonati per dare spazio ad ogni specie di materialità dilagante che costituisce, come in un circolo chiuso, il polo d’interesse dell’uomo odierno, anche se egli fa difficoltà a riconoscersi in questo stato di bruttura e di miseria. 

Salvatore Vecchio 

Da “Spiragli”, anno I, n.2, 1989, pagg. 27-30.