Niebla 

Calma, calma 

la niebla avanza 

rueda la rueda del micro 

entre metales y ruídos. 

Sumergida en la niebla 

humedad que envuelve los contornos 

para. poseer la intriga. 

Cerradas las puertas a las cercanias 

enjambre de abejas 

atrapado, dolido, 

no siempre herido. 

La humedad agita los dolores 

suenan ecos, alaridos. 

Quiebra el pecho y no se doblega 

insiste la niebla en su encierro 

la ventana abierta a la espera 

niebla, claridad, niebla 

acariciando el relieve de grises y negros. 

Luces mortecinas 

cubriendo altos y bajos 

silencio, noche te 

esta esperando. 

Quiebra el pecho, un quejido 

de roces y goces dirigidos. 

Asalta la inquietud 

relaja, asume 

la niebla. 

Isabella Mazzei

Da “Spiragli”, anno II, n.3, 1990, pag. 43.




 Nur o Un sogno di una notte d’estate

Presentiamo un brano tratto dal 1° capitolo del romanzo Nur o Un sogno di una notte d’estate di S. Marotta. 

Il libro è nella fase di rielaborazione finale. Ci auguriamo che venga dato alla stampa quanto prima, perché sia apprezzato e letto. 

È la storia di un incontro dove l’amore, giuocando un ruolo di straordinaria importanza. permette di scandagliare gli angoli più reconditi dell’animo umano, ma è anche la storia di due persone molto diverse per mentalità e formazione, per cui tutto lascia prevedere un’insanabile rottura. 

Cara Nur, 

è notte fonda ed io non ho sonno. La tua partenza ha lasciato un vuoto incolmabile e mi ha reso triste e scontroso. 

Oggi, non ricordo cosa volesse, ho sgridato la bambina perché la smettesse di chiamarmi e si rivolgesse a sua madre. Persino Fufy, il cane bastardo, intuisce che qualcosa non va e se ne sta alla larga, limitandosi a scodinzolare la coda. 

Non so cosa mi prende. So solo che tu sei lontana ed io soffro. Soffro perché mi manca Nur, la mia luce, l’angolo che un giorno d’estate s’impossessò prepotentemente di me, prendendosi l’anima e il corpo. 

Ora che avevo cominciato ad accarezzare l’idea di stare con te, tu sei partita, così, tutto ad un tratto, lasciandomi solo. «Ritornerà», mi dico, «ritornerà»; e, facendomi forza, ricordo i giorni passati insieme, i tuoi riccioli, il tuo volto, le tue carezze. 

Quando ritornerai? Se lo sapessi almeno, se almeno ti facessi sentire… 

Oh, potessi fare un sogno veritiero … No, no, meglio di no, alla larga dai sogni. Ieri notte ne ho fatto uno bruttissimo. Eravamo insieme, gioivamo quando tu, d’un colpo, senza dirmi niente, senza niente in corpo, cominciasti ad allontanarti. Ti chiamavo, avrei voluto correre. ma non potevo. come se una forza demoniaca mi tenesse legato sul letto. Gridavo: «Nur .. , Nur…». ma tu, incurante, seguitavi ad andare, ad andare lontano… 

Mi ha svegliato la bambina, chiedendomi acqua. Poi, non avendo preso sonno, sono uscito in giardino, promettendomi che al mattino avrei composto il tuo numero telefonico per udire, per lo meno, la voce registrata, e sentirti viva nel mio cuore. 

Fufy mi è venuto incontro e l’ho dovuto carezzare, povera bestia! Per tutto il tempo che sono rimasto fuori, mi ha fatto compagnia. Non c’erano stelle in cielo, e quelle poche che intravedevo erano come punti impercettibili, distanti tra di loro. Sono andato di nuovo a letto che era già l’alba. Non ho preso sonno, e avrei voluto gridare il mio sconforto. Ma a chi? Chi avrebbe voluto ascoltare i miei lamenti? L’amore è crudele quando è vero amore: ti fa temere di perdere chi ami, soffrire quando ti ritarda a venire, sentirti solo quando non ti sta vicino! 

È veramente brutto. Se tu potessi provare per un momento solo la mia pena, se tu mi amassi, non a parole – come sembra -, ma con la mia stessa intensità d’affetto, certamente non saresti andata via come una sconosciuta, e ti avrei qui, accanto a me, colma di carezze e di baci. Ma io non capisco o, meglio, capisco tanto bene che vorrei non capire, e tu giuochi bene la tua parte e rimani impassibile, come se niente fosse mai successo, pronta a chiamarmi al momento opportuno («Amore, sono qui, come stai, vieni, ho bisogno di te e non posso farne a meno …») e a voltarmi le spalle col primo venuto. No … non credo, mi ostino a non credere una cosa simile. Credo, invece, che la mia Nur sia andata via per ritornare ancora, che sia andata per guardare come il mondo è fatto. 

Se mi telefonassi, almeno, se ti facessi viva per un secondo, sono sicuro che riacquisterei fiducia e direi tra me: «Se Nur mi ha pensato, vuol dire che non sono morto del tutto nel suo cuore». E mi farei coraggio, troverei la forza di insistere nel mio amore. Ma questo non lo fai, e resti sorda ad ogni mio richiamo. Così soffro terribilmente la mia pena e non posso sfogare con nessuno il mio dolore! 

Ieri, preso dal pensiero di te, sono andato alle “Tre Sirene”, la spiaggia di S. Giorgio, vicino a Sciacca, la ricordi? Ricordi quel giorno che vi trascorremmo insieme? Solo, mi sono spinto fin dove mi è stato possibile, perché il mare era così agitato che invadeva ogni cosa. Le orme dei nostri passi erano state cancellate, e non si vedeva più, sommerso dalle onde, lo scoglio su cui rimanemmo seduti a lungo. Di là guardavamo il mare e ci st.upiva la sua calma, simile a quella di un bambino in dormiveglia. I nostri occhi andavano lontano e, per un attimo, ricordando i tuoi genitori, t’invase la nostalgia. Fu allora che, stringendoti, dissi che avrei fatto di tutto perché potessi rivederli. 

Ricordo che mi abbracciasti forte senza parlare, ma i tuoi occhi sprizzavano una gioia immensa. 

Il cielo era limpido, non c’era vento. Solo all’orizzonte qualche nuvola sembrava posarsi leggermente per inabissarsi chissà dove. Attorno tutto era gioioso e allegro. Il verde della vegetazione, sfumato dalla calura, s’intonava benissimo al colore oro dell’erba secca e del grano mietuto. Che meraviglia! Non c’erano rumori, e l’aria era così satura di odori che riempiva a fondo i polmoni e dava la sensazione di trovarci in qualche angolo di paradiso. Di tanto in tanto ci giungeva da lontano il canto monotono dei contadini che sfogliavano le viti. Più spesso, invece. venivamo attratti dalle voci dei bambini che sulla spiaggia si divertivano a costruire castelli e cinte murarie ben fortificati. Ma quando sembrava che stessero per completare l’opera, crollava tutto. Allora le voci e le grida si facevano più intense e si attutivano solo quando riprendevano un altro lavoro. 

Giorni felici, dove siete? Era immaginabile che i nostri sogni sfumassero come rugiade al sole? Ricordo che mi prendevi in giro perché nuotavo male e tu, con aria spavalda, mi facevi tante di quelle capriole attorno da farmi stancare. «In cambio, sono bravo in altre attività», ti dicevo, e tu sorridevi e beavi, mentre ti carezzavo il volto e i riccioli d’oro. Ed eri felice. I tuoi occhi erano colmi di una felicità che non sempre manifestavi parlando, e gioivi di una gioia intensa: ed eri sincera, almeno allora, nelle manifestazioni di affetto. Ricordo che, senza aspettarmelo, mi saltavi addosso e mi colmavi di baci: ti stringevo senza parlare e sentivo di amarti come non avevo mai amato. 

Cara, alle “Tre Sirene”, il ricordo di te e il saperti lontana mi hanno talmente sconfortato che, sapendolo, avrei fatto a meno di andare. Io volevo sentirti viva e respirare quell’aria che respirammo insieme. Ma i tonfì della mareggiata mi hanno stordito al punto di fuggire gridando il tuo nome. «Nur … Nur … ». gridavo, «Nur, dove sei …». Correvo come un forsennato, e avrei voluto annullarmi e scomparire per sempre. 

Perché tutto questo? Perché i sentimenti, i nobili sentimenti spesso sono infranti e calpestati? L’uomo cade in uno stato angoscioso miserevole, e diviene vuota la vita, senza senso, quando gli vengono a mancare d’un colpo questi fili 

sottilissimi che lo legano agli altri e lo fanno sentire qualcuno. Allora, cade l’interesse per il mondo, crollano i sostegni su cui aveva basato le sue forze e per cui aveva vinto le tanto insistenti battaglie quotidiane. Per quanto all’apparenza possa sembrare estroverso e creativo, venuti meno gli affetti che sino a poco tempo prima lo avevano sostenuto, l’uomo si rivela fragilissimo e non sempre reagisce e supera l’angoscia in cui è caduto. 

È ciò che sto sperimentando sulla mia pelle in questi giorni così lunghi e interminabili. Il mio pensiero è rivolto a te, a te che sei lontana, e soffro maledettamente, anche perché non ho più quella tranquillità d’animo che ci vuole per portare avanti il mio lavoro. Sono rimasto fermo dal giorno della tua partenza e vani sono risultati i tentativi di ripresa, vano è risultato lo sforzo di apparire normale, perché chiunque s’accorge che c’è qualcosa che non va. Ieri la bambina, dopo avermi osservato, pur avendo bisogno di me, ha preferito chiamare la mamma. «Posso aiutarti io, se vuoi». le ho detto. «Ma tu sei intrattabile. Sei adirato con me? Ti ho fatto qualcosa?», Le sono andato vicino e l’ho abbracciata e tranquillizzata. La cosa più certa è che faccio fatica ad essere me stesso. «In questo periodo mi sento poco bene», le ho risposto. «Ma non è niente. Vedrai che fra non molto mi sentirò meglio, e allora ritorneremo a giuocare e ad essere buoni amici». Elisa mi ha guardato dolcemente, ma il suo sorriso non era il solito giulivo sorriso che si sprigiona dal suo volto innocente. 

Q uesta, però, non è vita. No. Nur cara, non possiamo continuare così. A lungo andare la corda, resistente per quanto sia, si spezza. Faccio difficoltà a dirlo. Lo so io come ti ho ancora nel cuore, lo so io che fatica faccio ad accettare la realtà delle cose. Come è brutta, a volte, la realtà, come è deprimente! Dio, perché l’uomo deve sentirsi così prostrato, perché deve essere interiormente tanto travagliato da mettere in forse la sua esistenza? 

Non ti chiedo altro, non ti dico niente. Se così hai deciso, sia pure (sarebbe inutile e controproducente l’insistere), se hai deciso così, vai, vai pure, non voglio trattenerti. L’amore non può essere mai unilaterale, e ben poca cosa è la finzione. Prima o poi la verità viene allo scoperto, e la realtà, nostro malgrado, ci si mette prepotentemente dinanzi per essere guardata in faccia. Allora non possiamo farne a meno e l’accettiamo con risolutezza. 

Nonostante tutto, sappi che non nutro alcun rancore. 

Salvo Marotta

Da “Spiragli”, anno III, n.1, 1991, pagg. 32-36




 MA I POETI SANNO … 

Contempla Deucalione le creature 
di questa umanità, fatta di pietra, 
dura. 
Ho visto tanta gente diventare 
di pietra … Ma i poeti (se lo sono) 
sanno che ciò che appare 
fatto di pietra 
dovrà ridiventare un giorno umano. 


Stella Leonardos 


da Mìtica, Rio de Janeiro, 2001

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pag. 5.




 Lamentu di picciottu· 

Ccassupra ‘sta tirrazza a Taurmina 
cu ‘sta brezza chi ciucia da marina 
cu ‘sta luci chi ‘ndora lu jardinu 
cu ‘stu mari di splendidu azzurrinu 
-com’un mantu di sita d’un rignanti 
timpistatu di perli e di diamanti- 
cca ‘nna ‘sta terra amabili e firaci 
jo sulu ancora nun ci trovu paci! 
‘Nna ‘sti posti filici e luminusi, 
costi di li sireni e di li musi, 
c’è ‘na malìa chi l’animu t’oscura 
comu fussi ‘ncantesimu o fattura 
chi veni di li tempi di ‘gnuranza 
‘mpastati di chiusura e tracutanza. 
Dunni natura è duci e profumata 
e la vita putissi essiri biata 
ficiru un cimiteru pi li vivi 
chinu di priggiurizzi e di currivi! 
Ch’è tristi ‘nna sti beddi paesaggi 
starisi comu ‘nchiusi ‘nna li gaggi 
ch’aspetti cu t’accatta o cu ti spara 
pi mòriri d’ossequi o di lupara! 

Salvatore Ingrassia 

• Lamento di giovane. Qui sopra questa terrazza a Taormina/con questa brezza che soffia dalla marina/con questa luce che indora il giardino/con questo mare di splendido azzurrino/come un manto di seta di regnante/ tempestato di perle e diamanti/qui in questa terra amabile e ferace/ io solo ancora non vi trovo pace/In questi posti felici e luminosi/ coste di sirene e di muse,/c’è una malia che l’animo t’oscura/come incantesimo o fattura/che risale a tempi di Ignoranza/ oscurati da chiusura e tracotanza./Dove natura è dolce e profumata/ e la vita potrebbe essere beaia/han fatto un cimitero per i vivi/pieno di pregiudizi e di odi!/ Ch’è triste con questi bei paesaggi/starsene come chiusi in una gabbia/aspettando chi ti compra o ti spari/per morire di ossequi o di lupara!

Da “Spiragli”, anno IV, n.2, 1992, pag. 56.




 POCO A POCO 

Cuando cumplió setenta años le oyeron afirmar: 

«Alegra tener, pero si hay que dejarlo se deja. 

Queda la salud». 

Cuando la artrosis le hizo arduo el caminar, me confesaron que dijo: 

«Es más triste perder la vista». 

Las cataratas le nublaron la visión; ya no podía leer; ni bordar. Y éste fue su comentario: «Debe ser muy penoso perder la cabeza, como la pobre Juana». 

Unos días antes de que la embolia se nos la llevara, me había dicho: 

«Vas renunciando a cosas, hoy a una, mañana a otra, poco a poco. Hasta que renuncias a la vida misma». 

Gracias por enseñármelo, madre. 

Poco a Poco

Quando compi settant’anni le sentirono dire:
«L’avere agevola la vita, però, se per un motivo qualsiasi vi si deve rinun-ciare, vi si rinunci pure. Che si stia bene in salute.»

Quando l’artrosi le rese difficile il camminare, mi confidarono chedisse: «Ma è più triste perdere la vista.»

Le catarratte non le permisero più di vedere; non poté né leggere né ricamare. Ecco quale fu il suo commento: «Deve essere molto più brutto uscire di senno, come è capitato alla povera Giovanna.»

Alcuni giorni prima che il collasso ce la portasse via, mi aveva detto: «Vai rinunciando alle cose ad una ad una, un mattino dopo l’altro, a poco a poco. Fino a che rinunci alla stessa vita.»

Grazie, madre, per avermelo insegnato.

 

Avelino Hernandez 

Nota introduttiva e traduzione di Salvatore Vecchio

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pagg. 40-41.




 MELANCOLÍA 

Tralee, 16 de mayo 

 

Esta noche te escribo desde la nostalgia. Pero no de ti, ni por tu ausen- cia.
Llegarà pronto la aurora a la bahia y acaso el amanecer pueda borrar- me esta tristeza antigua que me brota de no sé dónde por el recuerdo de aquella muchacha.
Déjame, mientras tanto, que te cuente cómo fue.
Era hija de campesinos, venia de algún lugar en los valles de esta Irlanda varada en el océano; tendria quince años y una rara belleza de manzana en agraz aflorando en su cuerpo nubil, muy pálido.
Estabamos en un teatro abierto al mar en la primavera de Dingle.
Cuando concluyó su danza, mientras sonaban todavia, rendidos, los aplausos, tres personas nos levantamos irresistiblemente para ir a enco- trarnos esperándola en el pasillo hasta el vestuario: su madre,una mujer joven, y yo mismo.
Sólo su madre se atrevió a besarla, mientras se la llevaba consigo.
La mujer y yo la estuvimos viendo alejarse, perdiéndola, los dos vulne-
rados de una rara nostalgia…
Después nos miramos, sin decirnos nada.
La mujer regresó al teatro.
Yo ya no pude. Salí a la noche y busqué, solo, la melancolia eterna dela orilla del mar en los acantilados de Irlanda.
Sé que llgara pronto la aurora a la bahia y acaso ed amanecer pueda borrarme esta tristeza antigua que me brota de no sé dónde.
Sólo a ti puedo contartelo.
Un beso, hasta mi vuelta, pronto.

MELANCONIA

Mia amata Teresa,
questa notte ti scrivo dalla nostalgia. Ma non di te, né per la tua assenza.
Tra poco arriverà l’aurora nella baia e forse l’albeggiare potrà concellar- mi questa tristezza antica che mi sgorga da non so dove, ricordando quel- la ragazza.
Lasciami, intanto, raccontare come è stato.
Era figlia di contadini, veniva da qualche luogo sperduto nelle valli di questa Irlanda varata nell’Oceano; avrà avuto quindici anni e una bellez-za rara di mela acerba che stava affiorando dal suo corpo nubile, moltopallido.
Ci trovavamo in un teatro aperto al mare nella primavera di Dingle.
Quando terminò la sua danza, mentre risuonavano ancora, arresi, gliapplausi, tre persone ci alzammo in modo irresponsabile per andarla ad incontrare, aspettandola nel corridoio che porta allo spogliatoio: sua madre, una giovane donna ed io stesso.
Soltanto sua madre si permise di baciarla, mentre se la portava con sé.
La giovane donna ed io la vedemmo allontanare, perdendola, entrambi presi da una rara nostalgia.
Poi ci guardammo, senza dirci niente.
La giovane donna ritornò al teatro.
lo non più. Uscii a sera e cercai, solo, la melanconia eterna della riva del mare nelle scogliere dell’Irlanda.
So che tra poco l’aurora arriverà nella baia e l’albeggiare forse potrà spazzare via questa tristezza che mi sgorga da non so dove.
Solo a te posso raccontarlo.
Un bacio, al mio ritorno, presto.

Avelino Hernandez 

*Nota
Traduzione di Salvatore Vecchio

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pagg. 42-43.

 




 CUMPLEAÑOS 

Los amigos se han ido cuando amanecía ya.
Nos hemos quedado solos.
No hemos querido acostarnos; Teresa ha preferido salir al encuentro de

la alborada remontando el río en la barca por entre las frondas; yo me he quedado a comenzar la redacción de este nuevo libro, que no sé adònde me llevani.

Ahora, mientras escribo, tras el ventanal al huerto se está levantando la niebla lentamente.

Pronto el sol coronarà las cumbres.

Ese bando de azulones que se levanta asustado de entre la alameda medice que Teresa retorna ya.

Sé que embocará, remando, el caz que desagua en el rio; que amarrarála barca en la argolla; que ascenderá por la escalera en la roca con losremos al hombro.

Desde allí se volvera a mirar el horizonte amaneciendo.

Luego – ahora – me mirarà a mi, que estoy en la ventana abierta, ya sinescribir, sonpriéndole.

Sé que nos besaremos; que desayunaremos juntos; ella me dira que una garza rezagada volò al paso de la barca; yo le pediré que me escuche mientras leo en voz alta los párrafos últimos que acabo de trenzar.

Luego nos amaremos; nos amaremos conscientes de que estamos

comenzando juntos un tiempo nuevo – anoche celebramos su cumpleaiios

con los amigos.
Estoy seguro de que me dirá, cuando la abrace:
«Cincuenta años ya… »
Y sé que le contestaré, mientras me acoge, madura, en su vientre.«Sí, es tiempo de vendimia.»

Avelino Hernandez

COMPLEANNO

Gli amici se ne sono andati quando già stava albeggiando.
Noi siamo rimasti soli.
Non siamo andati a coricarci. Teresa ha preferito andare incontro

all’alba risalendo con la barca il fiume tra le frondi; io ho iniziato la stesu- ra di questo nuovo libro che non so dove mi porterà.

Adesso, mentre scrivo, dall’altra parte della vetrata dell’orto si sta alzando lentamente la nebbia.

Presto il sole incoronerà le cime dei monti.

Questo stormo di anatre che s’innalza spaventato tra la boscaglia midice che Teresa sta già arrivando.

So che imboccherà, remando, il rigagnolo che sfocia nel fiume; che ormeggerà la barca nella gogna; che salirà, i remi nella spalla, la scala di roccia.

Da lí si volterà a guardare l’orizzonte ormai luminoso.

Ed ora si rivolgerà verso di me, che sto dinanzi alla finestra aperta; e,sorridendole, ho smesso di scrivere.

So che ci baceremo, che faremo colazione assieme. Mi dirà che un airo- ne rimasto indietro volò al passo della barca. Le chiederò di ascoltare, eintanto leggo ad alta voce gli ultimi paragrafi che ho finito di intrecciare.

Ora ci ameremo; ci ameremo consapevoli di cominciare insieme una vita nuova – con gli amici ieri notte abbiamo celebrato il suo compleanno.

Sono sicuro che, abbracciandola, mi dirà:
«Cinquant’anni. .. »
So che le risponderò, mentre mi stringe consapevole al seno:«Sì, è tempo di vendemmia.»

Avelino Hernandez

*Note
Traduzione di Salvatore Vecchio

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pagg. 38-39.




Cronaca per Occhialì 

 Un editore di Calabria Luigi Pellegrini da Cosenza ha chiesto allo scrittore Francesco Grisi, nostro collaboratore, alcuni racconti ambientati in Calabria per raccoglierli in un libro. 

Francesco Grisi di famiglia cutrese in provincia di Crotone, cittadino onorario di Cutro, ha consegnato all’editore cosentino dieci “memorie”. Il volume sarà pubblicato tra giorni con il titolo Laggiù in Calabria nella prestigiosa collana “Zaffiri”. 

Per gentile concessione siamo lieti di pubblicare un racconto di Francesco Grisi che ci sembra esemplare per l’idea di “calabresità” che lo stesso scrittore propone nel suo libro “Racconti popolari della Calabria“. 

Cronaca per Occhialì 

Non abbiamo molte notizie sulla sua morte. L’unica cosa accertata è la data. Morì di sabato nel mese di luglio del 1595 a Costantinopoli tra le braccia odorose di una donna calabrese generosa in amore. Il suo nome è Giovan Dionigi Galeno. Era nato in un piccolo borgo sul mare Ionio chiamato “Castella” nei pressi di Cutro. Catturato dai Turchi affrontò privazioni e sacrifici. Divenne marinaio, capitano di nave da guerra. maestro, ammiraglio, dominatore dei porti del mediterraneo. Da povero profugo divenne un re trionfante per i turchi e per gli arabi che allora dominavano i mari. Quattro imperatori gli concessero stima. Solimano, Selin, Amuratte e Maometto lo ebbero consigliere. Cambiò nome, cognome e religione. Per la precisione si chiamò Occhiali o Uccialli o Kilig Ali. Con fede si converti all’Islam. E costrui sul colle di Top-Hana (sul mare azzurro del Bosforo) una sontuosa moschea che sembra volare nel cielo con le sue cupole dorate. Quando morì il suo corpo deposto tra quattro torce secondo l’antico rito cristiano e, poi. sistemato nella moschea che aveva fatto edificare. 

Navigando a destra e a manca, conquistando Malta e Tunisi e combattendo contro i veneziani a Lepanto, Occhiali non dimenticò mai la sua terra dove aveva avuto i natali nel 1520. Allora Castella e Cutro erano ancora incorporati nella Contea di Santa Severina che aveva avuto massimo splendore con Andrea Carafa che sulla collina cretosa aveva costruito un castello poderoso. Dominava il marchesato tra la Sila e lo Ionio. Poi c’era quello di Crotone e del paese di Occhiali. Era triangolo perfetto per difendersi dalle incursioni dei pirati e dei turchi. Ma le mura e gli eroismi non sono sufficienti. 

La sua terra Calabra restò sempre nel cuore del ricco e potente ammiraglio. 

Ancora ragazzo venne rapito il 29 aprile del 1536, domenica. Era andato alla Messa quando all’orizzonte apparvero i vessilli nero-bianco dei “pirati” alti sui pennoni. La madre Pippa di Cicco (chiamata Peppa della Castella) sfiorata dal presentimento corse a cercare Giovan Dionigi. Ma non trovò il figlio in chiesa. Si era nascosto con una sua compagna di nome Maria in una cantina vicina. La madre aveva intuito che tra suo figlio e Maria c’era una simpatia e quando li vide abbracciati felici (dimentichi dei turchi) chiuse la porta della cantina. Fu l’ultima volta che incrociò il figlio. 

Giunsero i turchi che rapirono il giovane che, a quanto si dice, si fece prendere per nascondere Maria. Comincia cosi la storia di Occhiali. 

Non ebbe grandi amori ma sposò la figlia del Sultano. Impegnato a combattere per la gloria e il potere considerò l’amore un privilegio o una abitudine. La cronaca è carica di “stravaganze”. Un giorno del 1562, ad esempio, nominato dal 

Sultano capo della guardia di Alessandria, organizza con il grande comandante Dragut una spedizione a Napoli canora capitale del vicereame. Nelle carte non risulta lo sbarco dei turchi sebbene il popolo napoletano si era già preparato a riceverli con trik-trak e fuochi di artificio di mezzelune di vari colori fabbricate a Pozzuoli. La cronaca dice, invece, che Occhiali con un gruppo di fedelissimi sbarcò a Ischia-porto mentre si svolgeva la festa della infiorata. Canti, suoni, chitarre e amori all’infinito sulla riva del mare. Occhiali e i suoi fedeli si incontrarono per una notte con le donne ischitane e al chiarore della luna ogni cosa divenne splendore. Nacquero anche numerosi ragazzi di bella fattura che ancora a Ischia si chiamano i turchi. 

Dopo la “prova” d’amore Occhiali non assaltò Napoli ma scrisse una nobile lettera al vicerè. 

-Avrei potuto saccheggiare e vincere. Il vostro popolo non è fatto per la guerra. Ama la pace e mi avrebbe ricevuto con corone di fiori. Ma non sono sbarcato perché a Ischia. in una notte d’amore, ho capito che a Napoli e dintorno sono le donne che comandano con la loro allegria. E contro le donne non si combatte•. 

La lettera venne affissa anche nelle case di appuntamento e le puttane la conservavano nel petto come una reliquia. 

La cronaca dice anche il 21 maggio del 1562 Occhialì sbarcò a San Leonardo di Cutro a un tiro di schioppo dal luogo dove era nato. Raggiunse Castella e subito si recò nel cimitero dove riposavano Birno e Pippa, il padre e la madre. Era musulmano ma entrando si fece il segno di croce e pregò la santa Madonna anche venerata nella religione islamica. Il cimitero di Castella è su una collina odorosa di ulivo e di mare. Occhialì, in sogno, rivide i mattini rugiadosi, la colonna di Hera nel cielo di Crotone, la fiamma nel camino della legna della Sila. gli antri verdi delle rocce marine e le cento cose della infanzia felice prima di essere preso prigioniero. E pensando la stagione della infanzia quando il sole levigava la pelle, si ricordò di Maria. Non l’aveva mai dimenticata ma era rimasta nel territorio dell’anima dove depositiamo le memorie più care e fedeli che ci accompagnano sempre. E allora Occhialì uscì dal cimitero e si precipitò in paese. Tutto era silenzio. Gli abitanti fuggiti si erano allontanati verso Cutro. Allora Occhiali si recò nella casa di Maria. Spalancò la porta e vide nella penombra una donna accartocciata su una sedia, immobile che non poteva più muoversi perché paralizzata. Era Maria ma Occhialì non la riconobbe. E Maria non fece niente. La donna calabrese aveva capito che doveva rimanere nella immaginazione di Occhialì la ragazza di tanti anni fa quando si era concessa vergine al compagno di giochi in una cantina mentre i turchi sbarcavano. Qualcuno poi disse a Occhialì che Maria era morta. Ma il figlio di Calabria. grande ammiraglio turco. ebbe sempre dubbi in proposito. 

Francesco Grisi

Da “Spiragli”, anno VIII, n.1, 1996, pagg. 23-25.




Mrs Moon

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 36.




 ALFA-OMEGA 

O Signore Alfa-Omega, 
tu guardiano del Verbo, dove inscrivi 
il tuo simbolo astratto? 
E dove la parola non segnata, 
idea comunicata 
forma e significato? 
Mormora l’immutabile suo ciclo 
la sfera. E nello spazio che si curva 
tramo paure … 
Qui nei segni inventati come includo 
l’imponderabile 
di un linguaggio futuro? 
La parola e il pensiero separati 
– ala aperta 
e istinti di radice. 
Perché il pensiero pensa 
e la parola 
non dice. 

Maria José Giglio 

(da Poema total. Ila Palma, Sào Paulo 1971)

Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pag. 30.