Il Matrimonio di d’Annunzio

Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pagg. 49-50.




 LUCE NELLA STRADA 

Divideremo il pane 
e berremo la luce in gocce chiare. 
Tracciando solchi 
semineremo questa terra a grano 
che nel tempo di mezzo sarà in spighe. 
Prima viene la terra, 
la vita. il pane caldo del mattino. 
Vengono poi i fiumi 
ad aprire le loro vene d’acqua, 
e a cingere gli spazi e a fecondare 
di rugiada le superfici grige. 
E dall’ humus dorato 
germoglieranno vigne inaspettate. 
Nell’ora insonne 
lampade accenderemo nella strada 
per aprire la notte ai nostri occhi. 
Entriamo infine tutti in questa casa: 
sulla tovaglia stesa della mensa 
divideremo il pane a noi dovuto 
e berremo la luce in gocce chiare. 

Antonieta Dias de Moraes 

(da «Literatura Brasileira») 

(Trad. di Renzo Mazzone)

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 51.




MARIO TORNELLO, Colori di Sicilia, Mosca, 2004.

Questo volume di Mario Tornello (con traduzione in lingua russa a fronte di ogni pagina) è stato presentato in occasione di una mostra di pittura dello stesso autore, tenutasi nel giugno 2004 presso il Palazzo delle Nazioni del Governo di Mosca. Esponeva anche la pittrice Ludmilla Kukharuk. La manifestazione è stata curata dalla moglie di Tornello, la giornalista Irina Baranchéeva, corrispondente da Roma per la «Literaturnaja Gazeta». Il libro, di cui sono state lette alcune poesie in russo, ha riscosso un vivo successo, contribuendo al clima di simpatia esistente tra Russia e Italia. Può essere considerato un vero e proprio libro d’arte, contenendo, intervallate tra poesie e prose, riproduzioni delle sue opere pittoriche. Guttuso e persino Picasso (oltre che i critici Sobrino, Civello e tanti altri ancora) si sono espressi sulla sua validità di pittore e sul suo essere un adoratore di quell’isola senza tempo che è la Sicilia. 

Queste pagine prendono per mano il lettore e spiegano, attraverso descrizioni paesaggistiche (come quella splendida di Erice), saggi (esemplare la ricostruzione della visita dei Romanoff a Palermo), e soprattutto stralci struggenti di diario, come è avvenuta la formazione spirituale dell’uomo Tornello. E così il lettore può rievocare la dorata infanzia del giovane Mario a Bagheria, le sue sofferenze in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale su Palermo, attraverso fatti e personaggi di forte interesse documentario. 

Lo rivediamo ragazzo in sella alla sua bicicletta, mentre fa amicizia con i soldati americani, o mentre si inerpica sulle macerie, per mettere in salvo i libri della casa sventrata. 

Degno complemento di questo volume scaturito dal cuore sono le poesie, musicali, evocative, mediterranee come l’anima di chi le ha composte. Basti qualche esempio: «Cercherò me stesso, / suggerirò umori di perdute stagioni»; «Festa di cicale / è il frinire sugli ulivi di cenere»; «Stanotte ho planato in sogno / sul mio caldo paese / disteso come gatto al sole»; «Conserverai un’onda azzurra / ed un frutto solare, / per quando, disfatto, / poserò in vista del mare». È opportuno, a conclusione, riportare un illuminante pensiero dello stesso Tornello: «Il poeta scende dal ciclo o risale, appoggiandovi, la scala dei suoi sentimenti che gli parlano con voce sommessa. Un uomo senza sogni non è un uomo.» 

Elisabetta Di Iaconi

Da “Spiragli”, anno XVI, n.1, 2005, pagg. 45-46.




G. Trainito, Filo spinato, Torino, SEI, 1996, pagg. 166.

Lasciamo parlare i poeti… Sono le loro parole, che arriveranno fino a noi, a lasciarci sorridenti o sbigottiti. Omero, Eschilo, Dante, Manzoni, si scrolleranno sempre di dosso la polvere di tante, inutili parole, quelle che tutti si ingegnano a dire su di loro. 

Quanto tempo sui banchi di scuola ad imparare chiavi di lettura sussiegosamente fornite da pomposi portieri per camere che spesso dimenticammo di aprire (bastava credere per fede). E allora abbasso prefazioni, note e postfazioni; diamo libertà di circolazione a quelle parole che ” …hanno il profumo dell’erba/verde/ dove non passa l’uomo”. 

Al massimo, lasciamoli parlare tra loro, un colloquio a distanza, una filigrana da cui traspaia il loro richiamo e ci aiuti, anti-ulissidi, a cedere al canto delle sirene, e dimenticarci, per un po’. 

Filo spinato, un avviso, Achtung, un flash di orrore. È il rosso dell’olocausto della “fanciulla scarna” di Levi e il massacro di Bronte, della miseria dell’uomo di sempre; il cupo rimbombo, nella reggia vuota di Dario, del lamento dei vecchi persiani che evocano l’lÌtl..uxXeelcra 8 &poupav vacroç (l’isola dai campi insanguinanti) della loro disfatta finale. È il rosso del “tramonto sciolto dall’immensa nube di petrolio” di Gela. È, poi, il rosso delle rose di Gela, il “fiore in trono” di Rilke qui nasce da solchi neri, sarà recisa da “mani tozze/sospese a schiene curve da sempre”. 

Suoni aspri, fonemi di un mondo senza mezze-tinte, dolorosa fatica di vivere e cadere addormentati senza vedere la luna (Ciaula). 

C’è la Sicilia in quelle rose, troppo amata e troppo calpestata. 

E allora, ecco, solo il poeta spiega, per somiglianza o antitesi, e la rosa di Rilke “contraddizione pura/il sonno di nessuno sotto tante/palpebre” è la stessa offerta “con pudica modestia” di Trainito. 

Il gesto silenzioso (il “parlar tacendo”) in cui si compone il travaglio del nascere, il trauma dell’esser recise da mani tozze. 

Le dure dissonanze, le rozze consonanti in lotta fra loro, tacciono nell’improvvisa sospensione del tempo: un attimo di esitazione per un gesto nato da slancio generoso che si trattiene nel suo pudore. 

I colori, la materia (l’argilla nera, la terra, il sangue, la rupe di Prometeo), presenze di un immaginario che si ripiega su se stesso in urla senza voce. 

“Cortili oscuri di un paese abbandonato”, spazi che appartengono solo alla nostra memoria, forse diventati così solo in noi, come cresciuti e invecchiati dentro di noi, con noi. Ma li torna il poeta, il cieco cantore che “brancolando sopra le vecchie tombe” interroga “gli avelli” ponendo le domande di sempre a oracoli senza responsi. 

Cerca un’identità fra le pietre della sua Sicilia, spazzate da venti africani, il poeta, e ci ricorda Pasolini fra le malghe friulane, e nella stessa miseria, che non vuol perdersi nell’omologazione. 

Si è ritrovato solo e senza patria, il poeta, come Pasolini in quella nuda lapide nel piccolo cimitero di Casarsa, accanto alla madre. 

Ma non è forse essere risparmiati dalla retorica il miglior premio per un poeta? Lo chiede con insistenza (“non turbare il mio sonnoIcon nenie inutili.1 Lasciatel che il sibilo delle cicaleI canti sul mio silenzio”). 

Tornare ad essere cicale, come un tempo, quando dimenticammo di vivere storditi dal piacere del canto delle Muse, e la sorridente gentilezza degli antichi ci trasformò in quell’ostinato cantore dell’estate. 

Ecco la poesia del nostro poeta, fatta di luce, colori, vento, mare, silenzio assorto di chi si aggira fra le antiche pietre, e l’ocra si fonde all’azzurro lontano e al fruscio verde vicino. 

Se quei colori si spengono e tacciono i sibili delle cicale e il ronzio fra i cespugli, rimane la memoria “mentre si spengono gli occhi” e il canto del poeta, per noi, che soffriamo e gioiamo, amiamo e odiamo, ma non troviamo le parole per dirlo. 

E ancora, con Rilke, diciamo: (“Il poeta, lui solo, ha unificato il mondo / che in ognuno di noi, in frantumi, è scisso”). 

Paola Di Giuseppe

Da “Spiragli”, anno X, n.1, 1998, pagg. 49-50.




 Giovani e famiglia nel trapanese* 

Premessa 

La ricerca che presentiamo riguarda il modo d’intendere e di vivere la famiglia e il rapporto dei giovani della provincia di Trapani. 

Essa è stata realizzata nei centri più grossi del trapanese (Trapani, Marsala, Mazara del Vallo, Castelvetrano, Alcamo, Castellammare, Salemi, Santa Ninfa), e cioè in una realtà socio-economica e culturale caratterizzata da un’economia prevalentemente agricola, scarsamente industrializzata e turisticizzata, con limitati stimoli culturali e scarsi centri di aggregazione per i giovani. Sono stati intervistati studenti dell’ultimo anno delle scuole secondarie. 

La nostra ipotesi di partenza era che l’accelerazione dei cambiamenti determinatisi nella nostra società nell’ultimo ventennio (lavoro extradomestico della donna, messa in discussione della vecchia famiglia nucleare fondata su ruoli gerarchici e rigidamente complementari, la parità dei ruoli socio-sessuali, l’evoluzione della morale sessuale) avessero prodotto dei cambiamenti nella mentalità delle giovani generazioni del Sud nel modo di concepire la famiglia, il rapporto di coppia e le relazioni al loro interno. 

Ho già evidenziato in precedenti lavori queste trasformazioni della famiglia1. Oggi, nelle società occidentali si è assistito ad una tendenza alla diminuzione dei matrimoni e all’aumento di individui che coabitano2. Tuttavia, da una fase (alla fine degli anni ’60) di ricerca di esperienze alternative alla famiglia nucleare, si assiste oggi ad una tendenza alla rivalutazione della famiglia, da parte della maggioranza dei giovani, per la sua funzione affettiva3. 

I giovani e la famiglia 

L’adolescenza è il periodo in cui il giovane tende a distaccarsi progressivamente 

dalla famiglia d’origine. 

Malgrado certe difficoltà che i giovani vivono in famiglia, questa rimane ancora l’istituzione da essi più apprezzata ed occupa uno dei primi posti nella scala dei valori dei giovani da noi intervistati, come hanno provato altre ricerche sull’argomento4. Essa è considerata ancora un punto di riferimento fondamentale dalla quale si hanno in fondo meno delusioni rispetto alla realtà esterna. Dalla mia ricerca del ’88 emerge che i giovani non vogliono abolire la famiglia ma cambiarla; essi vogliono definire le relazioni tra partner e tra genitori e figli. Della famiglia d’origine criticano soprattutto l’etica del sacrificio, che grava per lo più sulla donna, i rapporti autoritari, l’educazione sessuofobica. Solo una minoranza appartenente ai ceti medio-alti, e con livelli di scolarità alti, si pronuncia per la convivenza e per i rapporti liberi. 

Di fronte ai problemi che li preoccupano e quando devono prendere una decisione importante, i giovani preferiscono interpellare i genitori e ricorrere a loro per sostegno. 

La famiglia, oltre a costituire un valore e ad essere luogo di protezione, di aiuto, di consiglio. di conforto, è anche luogo di confronto e di scambio di idee. Essa ha influito, più di ogni altro fattore, sulla formazione delle idee dei giovani. 

Abbiamo chiesto ai nostri intervistati se dialogano coi genitori e di cosa. Sia le ragazze che i ragazzi hanno un maggior dialogo con la madre piuttosto che con il padre, e sono soprattutto le ragazze ad avere rapporti più diradati ed episodici col padre. I maschi hanno dichiarato in maggioranza di parlare con il loro padre di tutto. Gli argomenti vanno da quelli d’attualità ai problemi personali, a quelli della famiglia, della scuola, del loro futuro, alla politica, allo sport. 

Anche con la madre affrontano per lo più gli stessi problemi, ma non compare mai la voce «politica», mentre ricorre più spesso la dizione «miei problemi personali», «problemi sentimentali», come a significare che con la madre i rapporti sono di maggiore intimità, tali da potere confidare e chiedere consigli sulle proprie esperienze personali e sentimentali. 

Gli argomenti di dialogo delle ragazze col padre sono in prevalenza quelli scolastici ed argomenti generali, ma alcune indicano di «tutto» ed anche i «problemi personali e familiari». Gli argomenti di discussione con la madre sono, per la maggioranza, «di tutto» e poi «problemi personali e familiari », «problemi sentimentali», «scolastici», «di abbigliamento», «di amore». L’argomento che non ricorre mai nel dialogo coi genitori è il sesso. Ciò può significare che questo argomento è ancora tabù nel Sud, ma pare che la censura sul sesso emerga anche a livello nazionale dalla già citata ricerca JARD sulla condizione giovanile in Italia. Anche la voce «religione» non compare tra gli argomenti di dialogo coi genitori. 

Qual è l’immagine che i giovani da noi intervistati hanno dei loro genitori e le qualità che apprezzano di più in loro? 

Le qualità che i ragazzi apprezzano nei loro padri sono innanzitutto l’onestà e la sincerità, e poi l’intelligenza, la pazienza, la generosità, la disponibilità e l’amore per i figli, l’attaccamento alla famiglia e al lavoro. Qualcuno ha scritto che apprezza «il non essere un padre-padrone», ma qualche altro non apprezza alcuna qualità del padre. 

Anche le ragazze enucleano tra le qualità apprezzate nel padre, in primo luogo, l’onestà e la sincerità, seguite da amore per i figli, pazienza, laboriosità, generosità, spirito di sacrificio, amore per la famiglia, bontà, sicurezza e determinazione. 

I ragazzi apprezzano,della madre in primo luogo, la bontà, più la sincerità, l’onestà, l’amore per i figli, la pazienza, la laboriosità, la generosità, lo spirito di sacrificio, l’amore per la famiglia, la sensibilità. Qualcuno ha scritto anche che la madre è «una buona casalinga». Bontà, spirito di sacrificio, sincerità, dolcezza, amore per la famiglia e per i figli, capacità di capire i problemi, pazienza, laboriosità ed «è una buona casalinga» sono le voci ricorrenti anche da parte delle ragazze per indicare le qualità apprezzate nella madre. 

In linea di massima, sia da parte delle ragazze che dei ragazzi, vengono evidenziate nei genitori le stesse qualità, forse con una maggiore frequenza della voce «intelligenza» per i padri rispetto alle madri. Tuttavia, l’immagine parentale che ne risulta è nel complesso positiva. Agli occhi di questi giovani sono pochissimi i padri dei quali non si riconoscono qualità: e nessuna madre viene criticata, soprattutto in relazione alla dedizione ai figli e alla famiglia. E tuttavia, quella che viene fuori è un’immagine molto tradizionale di famiglia, soprattutto della madre, della quale vengono sottolineate qualità come «spirito di sacrificio», «una buona casalinga», che invece sono rifiutate dai giovani della mia ricerca già citata. 

Il tipo di famiglia che viene fuori dalle risposte dei nostri giovani è una famiglia democratica in cui le decisioni vengono prese, nella stragrande maggioranza, dai genitori di comune accordo; in cui essi dialogano coi figli da cui sono apprezzate le loro qualità. Ciò è confermato dai giovani espressamente quando affermano, nella stragrande maggioranza, di avere ricevuto un’educazione democratica. Ne emerge un’immagine di bravi ragazzi ubbidienti e con poca conflittualità familiare. 

Un po’ meno rosea appare la condizione delle ragazze, le quali, non solo in percentuale minore dei maschi, dichiarano di avere ricevuto un’educazione democratica, ma soprattutto è la metà di esse, rispetto ai maschi, che ha un atteggiamento di ubbidienza verso i genitori, ed è, di contro, il doppio rispetto ai maschi che asserisce di avere un atteggiamento di ribellione. 

Per quanto riguarda la situazione di autonomia-dipendenza, un rilevatore valido è la libertà di uscita serale. È infatti noto come questo fatto costituisca un problema in quasi tutte le famiglie ed è oggetto di contrattazioni talvolta difficili e di conflitti tra genitori e figli. Quando i giovani si possono ritirare quando vogliono, cioè senza limitazioni di rientro, vuol dire che l’autorità parentale ha riconosciuto un pieno diritto all’autonomia dei figli, e ciò si verifica solitamente dopo i 18 anni, che è l’età media del nostro campione. 

Dalla nostra indagine emerge una notevole differenza tra maschi e femmine circa questo problema. I figli maschi sono in stragrande maggioranza liberi di uscire quando loro pare; mentre meno di un terzo delle femmine, rispetto ai maschi, ha la stessa libertà di uscire. Questo quadro risulta confermato da un’altra domanda dalla quale si evince che 1’83% dei maschi e meno della metà delle femmine, pari al 37%, possono uscire e rientrare a casa quando vogliono, mentre una percentuale di ragazze del 24,67% deve rientrare prima delle otto ed una percentuale del 36,45%, contro il 13,51% dei maschi, deve rientrare prima delle dieci. 

Gli spazi di autonomia praticabili al di fuori della famiglia sono quindi molto più limitati per le ragazze che non per i ragazzi. Il che denota ancora una differenza di comportamenti e di atteggiamenti dei genitori nel processo di socializzazione ed educativo dei figli. Assai probabilmente ciò avviene in misura minore che in passato, come può notarsi dalle percentuali di ragazze che godono di maggiore libertà, e tuttavia, rimane evidente il differente modello di socializzazione tra maschi e femmine. 

Abbiamo visto che per la maggior parte dei giovani da noi intervistati la famiglia rappresenta ancora un valore importante. Non meraviglia perciò che una percentuale molto alta di giovani, pari al 71,87% dei maschi e all’88,04% di femmine manifesta la volontà di sposarsi, con una maggioranza significativa delle ragazze sui ragazzi; e, all’interno di questo quadro complessivo, una maggioranza di ragazzi, pari al 46,93%, si dichiari favorevole anche ai rapporti prematrimoniali, rispetto al 34,08% di ragazze, che pure rappresenta una percentuale notevole, mentre la maggioranza delle ragazze, pari al 53,96%, contro n 24,94% dei ragazzi si dichiara per il matrimonio senza rapporti prematrimoniali. Soltanto una percentuale dell’8,77% dei maschi e del 6,83% delle femmine sceglierebbe la convivenza fissa, mentre n 16,76% dei maschi ed il 3,79% delle femmine si dichiara favorevole ai rapporti liberi. Questi dati confermano nel complesso la mia precedente ricerca condotta con la raccolta di storie di vita. 

Abbiamo ancora chiesto ai nostri intervistati quali fattori considerassero più importanti in un rapporto di coppia, sottoponendo loro una lista di 9 fattori e chiedendo di indicare quale importanza essi avessero per ciascuno, servendosi di una scala di 9 punti (l = per nulla importante; 9 = molto importante). Il fattore più importante è per i nostri giovani l’amore, cui segue l’affetto, il dialogo, la comprensione, la conoscenza e poi il sesso, con una percentuale per questa voce inferiore delle ragazze sui ragazzi. L’aspetto di maggior rilievo è rappresentato indubbiamente dal primato accordato dai giovani all’affettività, alla tenerezza, al desiderio di dialogo e di comunicazione profonda. 

Per quanto riguarda i ruoli socio-sessuali, pur se la maggioranza dei nostri giovani si dichiara per il matrimonio, tuttavia, emerge un modo nuovo di concepire il rapporto di coppia, fondato sull’abolizione dei ruoli tradizionali e su una richiesta di sostanziale parità tra i sessi. Soltanto una minoranza, seppure ancora consistente di maschi, pari al 15,10% ed una percentuale, invece, minima di femmine, pari al 3,48%, dichiara che i lavori domestici dovrebbe farli solo la moglie. Una percentuale di circa n 43%, senza differenza tra M e F, si esprime in favore dei lavori fatti dalla moglie aiutata dal marito, mentre la maggioranza delle ragazze, pari al 52,01% a fronte del 38% dei maschi, si dichiara per una condizione di completa uguaglianza in cui marito e moglie si ripartiscono equamente i lavori domestici. 

Questo dato è confermato da una successiva domanda, nella quale si chiedeva se la donna sposata doveva o no lavorare fuori casa. La maggioranza delle ragazze è favorevole al lavoro fuori casa e per dividere i lavori domestici con il marito, contro il 38,22% dei ragazzi. Ma una grossa percentuale, pari al 39,45 dei maschi e al 47,88% delle femmine manifesta l’opinione che la donna debba lavorare fuori ma anche occuparsi della casa e dei figli, manifestando una posizione tradizionale, che è stata contestata dal movimento delle donne e qualificata come doppio sfruttamento femminile. Una percentuale abbastanza consistente, seppure minoritaria di maschi, pari al 20,24%, si esprime per la posizione tradizionale della famiglia, secondo il modello parsonsiano, di una netta separazione di ruoli: il marito che lavora fuori (funzione strumentale) e la moglie che si occupa della casa e dei figli (ruolo espressivo). Mentre è assai significativo che soltanto una percentuale minima del 2,18% delle ragazze esprime tale posizione. 

Quello che emerge da questi dati è la notevole differenza di mentalità tra maschi e femmine, in cui queste ultime appaiono più consapevoli del loro ruolo tradizionale di subordinazione ed esprimono un desiderio di cambiamento in direzione di una sostanziale uguaglianza uomo-donna. Tale prospettiva è confermata anche dalle risposte dei nostri intervistati circa il differente controllo esercitato eventualmente su un loro figlio o una loro figlia. 

Una percentuale assai rilevante di maschi, pari al 46,75%, ha risposto che sorveglierebbe di più la figlia rispetto al figlio, contro il 18.63% delle ragazze. Una percentuale del 49,64% dei ragazzi ha, invece, espresso una posizione di indifferenziazione nel controllo educativo di un figlio maschio o femmina, a fronte della stragrande maggioranza delle ragazze (77,88%), che ha manifestato questa convinzione di uguaglianza di trattamento. 

Conclusioni 

Come può notarsi, la famiglia rappresenta per i giovani da noi intervistati ancora un valore molto importante. Essa appare ai primi posti nella scala di valori dei nostri giovani e rappresenta ai loro occhi un luogo di sostegno. di protezione, di aiuto, di solidarietà, che è difficile trovare fuori, nel pubblico. 

I nostri giovani aspirano ad una famiglia più democratica e più dialogante. Si nota una maggiore apertyuar e liberalità nel rapporto ed una buona percentuale si dichiara favorevole ai rapporti prematrimoniali ed anche a situazioni di convivenza. Appare cioè un modo nuovo e più aperto di concepire il rapporto di coppia. Tra i fattori più importanti vengono privilegiati, l’amore, l’affettività, il dialogo, la comprensione, la sessualità, una comunicazione profonda. 

Infine emerge anche una differenza nella socializzazione e nel modo d’intendere i ruoli socio-sessuali, in cui le ragazze mostrano una maggiore consapevolezza e presa di coscienza in direzione di una relazione più equalitaria, fondata sul rispetto reciproco, l’uguaglianza ed una equa ripartizione dei compiti. 

Piero Di Giorgi 

(*) Le tavole che corredano questa ricerca per ragioni tecniche non sono state pubblicate. 

1. P. Di Giorgi, Adolescenza e famiglia, Janua, Roma, 1979; Il rapporto di coppia in giovani del centro-sud in «Libera Università di Trapani», A. VII, n. 15, 1988, pagg. 161-178. 

2. L. Roussel, La cohabitation juvenile en France in «Population», n. l, 1978, pagg. 1542; assieme ad Odile Bourguignon, Generations nouvelles et mariage traditionel. Enquete aupres des jeunes de 18-30 ans, in «Cahier traveaux et documents de l’Ined», n. 86, Press. Univ. de France, Paris, 1978. 

3. F. Garelli, La generazione della vita quotidiana, Il Mulino, Bo, 1984; A. Cavalli et alii, Giovani oggi. Indagine JARD sulla condizione giovanile in Italia, id., 1984; M.W., Ritratto di famiglia degli anni ’80, Laterza, Bari, 1981. 

4. Cavalli et alii, cit. 

 

Da “Spiragli”, anno I, n.4, 1989, pagg. 32-37.




 Una lirica liturgica bizantina. A San Marciano 

di Gregorio di Siracusa 

Gregorio di Siracusa (vissuto nella seconda metà del secolo VII), di cui non abbiamo altre notizie, è autore di tre «contàci» (preghiere ritmate accompagnate da musica, che erano alla base della liturgia bizantina), tutti incompleti, perché si fermano alla terza strofa, scritti in onore di san Marciano, di san Niceta martire e di san Luca evangelista. 

Nel canto per san Marciano (tradotto dal greco da Oreste Carbonera, gentilmente approntato per «Spiragli»), si fa cenno alla Sicilia, patria di Gregorio. Dopo una premessa, in cui sono esaltate le figure di Gesù, «sole di giustizia», di Pietro, «fulgida roccia», e di Marciano, «raggio profetico», inviato a predicare la parola di Dio, «vera conoscenza», e ad aprire alla fede gli uomini, l’encomiaste invoca il Santo, perché lo faccia avanzare nella conoscenza, per rendersi degno e potersi avvicinare a Dio, e insieme con lui le genti affidategli e la Sicilia, perché prosperino e crescano nella fede. 

È una preghiera entrata a far parte della liturgia bizantina, segno di una grande spiritualità, propria di quell’epoca,in cui le eresie e il paganesimo ritornante, mettendo a dura prova i credenti, ne corroboravano la fede e inculcavano loro una forte vitalità. 

Salvatore Vecchio 

La fulgida roccia, il principe supremo 
degli apostoli, 
dalle terre d’Oriente 
te, come più splendida stella 
di Cristo nostro Dio sole di giustizia, 
agli uomini d’ Occidente 
inviò come raggio profetico 
per illuminare i loro pensieri 
indirizzandoli alla conoscenza divina; 
e per mezzo di tali pii propositi 
da te inculcati, 
confermandolo nella retta fede, 
tu tempri e riscaldi il tuo gregge, 
o santissimo Marciano, 
svolgendo assiduamente le tue funzioni 
di intermediario a favore di tutti noi. 
Tu che hai acquisito l’arcana sapienza, 
tu che tutti hai sopravanzato 
nel protenderti 
verso il destino ultimo dell’ anima, 
o venerabile e santo Marciano, sii ora mediatore di grazia 
nell’infondermi la conoscenza 
del verbo divino, 
nel far risuonare il tuo nome, o padre, 
davanti alla santa Trinità,
al cui cospetto ti sei elevato e accostato, 
nel liberarmi da tutte le passioni corporee 
e dai legami materiali, nel farmi tornare, 
allontanandomi dall’apatica 
indifferenza, 
al cammino che conduce verso Dio, 
nel quale tu sei stato stimato degno 
di precederci, 
svolgendo assiduamente le tue funzioni 
di intermediario a favore di tutti noi. 
Tu che detieni il bastone del comando, 
che hai fatto tua la croce del Signore, 
sei stato scelto come guida 
e compagno di viaggio 
per i suoi seguaci: infatti il nostro benefattore, inchiodato 
alla croce, 
risvegliatosi dal sepolcro e sconfitta 
la morte, 
come investito ormai di pieni poteri 
sul mondo ha mandato i suoi discepoli 
a battezzare tutte le genti 
nel nome del Padre, del figlio 
e dello Spirito Santo: 
dalle quali potenze celesti 
anche tu inviato 
come battezzatore dei popoli 
hai accumulato ingenti ricchezze 
spirituali 
svolgendo assiduamente le tue funzioni 
di intermediario a favore di tutti noi. 
Queste parole Pietro udì dal Signore: 
«Se mi sei sinceramente devoto e mi ami ardentemente, 
pascola le mie greggi, impartisci loro insegnamenti, 
facendo sì che maturino e procedano 
dall’ ignoranza alla conoscenza 
della santa Trinità.» 
Da quella stessa fonte tu, avendo ricevuto il mandato divino, 
lo adempisti zelantemente, 
come si addice a un capo e a un iniziato;
e a te è stata affidata quest’isola di noi Siciliani, 
e tu hai ricevuto e accettato 
quest’eredità, o lume di sapienza, 
svolgendo assiduamemente 
le tue funzioni 
di intermediario a favore di tutti noi. 

Gregorio Di Siracusa.

(Trad. di O. Carbonero)

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pagg. 46-55.

 




Il borgo marinaro dell’ Arenella motivo ispiratore di poesia 

 La poesia dialettale siciliana di questi primi anni del Duemila ora canta pure – insieme a tutte quelle che già la rappresentano validamente – con una voce nuova, calda e appassionata, quella di Maria Rosaria Mutolo, la quale per il suo battesimo porta alle stampe il volume di liriche Lu paradisu è cca, in cui ci consegna della poesia autentica da un lato e dall’ altro poesia in cammino alla ricerca di quelle stimmate formali e stilistiche che garantiscono ai poeti veri identità di dettato e stabilità degli esiti sulle valenze letterarie. 

In questa circostanza la nostra autrice ha voluto coniugare (evitando la mediazione dei modelli archetipici della progettazione poetica) il proprio patrimonio interiore di esperienze, di sensibilità, di idealità e di memoria, con la innata spinta creativa che ne caratterizza la personalità e la visione del mondo. In senso più lato si potrebbe dire che la Mutolo abbia d’istinto coniugato femminilità a parola, umanità a poesia, sotto il segno di una riposta radicalità esistenziale, per risalire dalle emozioni ai contenuti spirituali della propria ragion d’essere. E quel patrimonio si è costituito nel corso della intera esistenza, segnata dai luoghi dove è nata, dalla umanità che in quei luoghi si identifica, dalle vicende grandi e piccole che, nello scorrere della vita, vi si sono depositate. Ecco perciò coesistere, nella sua ispirazione, tradizione e futuro, la nostalgia e il sogno, il coraggio della fedeltà e il ·coraggio dell’eresia, la cultura popolare e il filtro della modernità. Si aprono così in questo libro gli spazi tematici che il respiro della immaginazione attraversa e riporta a nuova, emblematica esistenza. «Il paradiso è qua» è una suggestiva metafora: se restiamo alla lettera, il paradiso di cui parla la Mutolo è la sua Arenella, la borgata marinara di Palermo, con le sue barche, i pescatori, le case, le tradizioni della civiltà del mare, i linguaggi della gente. Averla definita «paradiso» è un atto linguistico-simbolico che riferisce in chiave lirica del suo amore per quel luogo dove è nata e cresciuta, dove si sono formate le basi su cui si sono strutturate la sua personalità sociale, la sua anima di donna, l’impegno intellettuale. E la nozione di paradiso può essere estesa a Palermo, alla Sicilia. 

Sotto tale profilo la sua premessa alla silloge è rivelatrice («non illudiamoci che fuori dalla Sicilia tutto sia più facile» ci dice, e invoca la «speranza di cambiare con coraggio» mantenendo «attaccamento alle tradizioni») della sua intensa sicilianità, come pure i contenuti delle sue liriche ce ne cantano la «paterni tà» culturale-antropologica. Ma è sul qua che bisogna riflettere. In questo caso si va al di là della fisicità dei luoghi e della storicità del vissuto: il «qua» nasconde il punto segreto dell’anima: il luogo del sogno e della verità. Diceva Sant’ Agostino che nella interiorità dell’uomo vive la verità: quando la si raggiunge, il paradiso non è più né altrove né lontano, ma qua. Questo, a me pare il cammino di Maria Rosaria Mutolo che è cominciato dall’Arenella di Palermo, dal dialetto vivo della sua gente, e che si orienta verso più maturi traguardi di poesia. 

Salvatore Di Marco

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pagg. 63-64.




L’ultima Parola

Salvatore Di Marco ( Trad. stesso autore)

Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pag. 56.




S. Di Marco, Editoriali 1988-1993, Ragusa, 1996.

Iblea Grafica di Ragusa ha pubblicato un’opera singolare di Salvatore Di Marco, Editoriali 1988-93, pagg. 304. Vi sono raccolti 63 editoriali del “Giornale di poesia siciliana”, il giornale palermitano fondato e diretto da Di Marco, noto poeta e saggista. Il prefatore, altro noto studioso universitario di letteratura e dialetto siciliano, Giovanni Ruffino, degli editoriali traccia una lettura “globale e coerente”, indicando il filo conduttore che lega insieme ben più di cinque anni del più diffuso giornale di poesia e di dialetto siciliano. Questo è indicato dallo studioso in quattro postulati facilmente individuabili: la cultura dialettale come bene culturale, il dialetto come organismo tuttora vitale, l’ansia rinnovatrice della letteratura dialettale in un nuovo umanesimo, che difenda la nostra identità, e la prospettiva sopraregionale per un nuovo contesto culturale, cioè un’apertura alla cultura dialettale delle altre regioni. 

L’indicazione di Ruffino tesse le dinamiche culturali svolte da Di Marco in una visione unitaria e ci fa capire più facilmente come lo studioso ha operato in un quadro storico generale con l’analisi dei fatti politici e letterari un’indagine critica fondata sull’analisi della scrittura, ma che evidenzia nello stesso tempo lo spazio etico e letterario. 

L’opera vista unitariamente gode di un respiro “grande e profondo, perché è il respiro dei tempi lunghi e degli ampi spazi”. 

Almeno per un solo postulato, a conclusione dell’anelito di rinnovamento della poesia siciliana, riporto le parole di Di Marco: “.. .le ragioni del rinnovamento della poesia dialettale in Sicilia non sono soltanto prettamente letterarie, ma sono anche ragioni sociali (e perciò politiche)”. 

La fiducia nella rinascita del dialetto siciliano nasce dal profondo amore che Salvatore Di Marco nutre per la sua isola e per la sua lingua. Ma l’interesse maggiore che il libro suscita deriva dall’ammirazione per la profonda conoscenza della materia, come risalta da ogni pagina: l’opera è ricchissima di informazioni e di considerazioni sia sul dialetto che sulla letteratura siciliana. 

Sullo stesso piano culturale e con gli stessi interessi Salvatore Di Marco pubblica una raccolta di studi di docenti universitari, premettendovi un saggio introduttivo che informa ampiamente sul problema. L’opera è La questione della “koinè” e la poesia dialettale siciliana, pubblicata dai “Quaderni del Giornale di poesia siciliana” di Palermo (1995, pagg. 161, edizione non venale). La questione è importante, perché incide direttamente sul processo di rinnovamento: l’uso di una “koinè” letteraria è posto arbitrariamente ed astrattamente in alternativa all’uso dei dialetti e delle parlate locali, che la maggior parte dei poeti dell’Isola in effetti pratica. La questione era stata posta da una ventina d’anni soprattutto dal poeta catanese Salvatore Camilleri ed ha visto impegnati in primo piano letterati e poeti. Ma sull’argomento mancavano le valutazioni ed i pareri degli intenditori, studiosi universitari specializzati nelle scienze del linguaggio e dialettologiche. Sin dal 1990 Salvatore Di Marco ha curato di raccogliere attraverso il “Giornale” sopra indicato le valutazioni di docenti universitari della statura di Giuseppe Cusimano, Giovanni Ruffino, Salvatore C. Trovato, Giovanni Tropea, Vincenzo Orioles, Giuseppe Gulino, Sebastiano Vecchio. 

Personalmente ammiro il senso di opportunità e l’equilibrio, oltre che la dottrina e la compostezza tenuta da Salvatore Di Marco nel raccogliere tutto il materiale e soprattutto nello svolgere il saggio introduttivo, condotto non senza un taglio polemico, ma approfondito e composto. La serenità, cui s’è ispirato il saggio, ben si accompagna alla concretezza reale ed alla dottrina della discussione tenuta. Ancor più apprezzabile è la disponibilità rivelata al confronto diretto delle idee e delle affermazioni da parte di poeti e studiosi sul problema della “koinè”. 

Ricchissime ed approfondite sono la bibliografia e le note esplicative, nonché le informazioni sugli autori. 

Carmelo Depetro

Da “Spiragli”, anno VIII, n.1, 1996, pagg. 43-44.




 IL QUARTIERE 

Quasi pentito di esistere, 
il vecchio quartiere 
grida, stracci, vento 
respira 
e vagabonda senza peso 
sin dal mattino. 
Tenero e saggio i] vecchio, 
un rondone al raggio di sole. 
Sull’ uscio morsi di cielo 
ed erba chiudono la soglia. 
Tardi arriva i] politico, 
in fretta, indaffarato. 
I fedelissimi attorno. 
Subito pronto i] fotografo. 
Accanto un bambino 
in posa: nuovo spirito pervade, 
Egli parla per tutti e tutto dice 
a tutti: sugli errori del passato 
sulle speranze del futuro. 
A sera grande pausa per tutti. 
Il deserto sui petali del politico 
fiorirà ricco di frutti. 
Sulla soglia di casa sonnecchia, 
ormai vecchio Mosè. 
Il bianco profumo del gelsomino 
al giorno che muore 
s’attacca, confusa preghiera. 
Una morte rovesciata 
il pane della miseria. 
Godono in tumulto i passeri 
con l’ultima luce 
incorniciata nelle strade. 
Parole già sfatte 
appassiscono 
su angoli di memorie. 
Fuori, la notte 
scivola chiusa in se stessa: 
non fa rumore. 
Delle illusioni 
ciò che resta muore sul cuscino.

Carmelo De Petro

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pag. 49.