Si può dire che l’originalità di Spinoza consista nell’avere integrato la scienza moderna, la scienza galileiana, in una filosofia, in una teoria generale dell’essere che ne radicalizza la matrice razionalista. L’incontro che contribuì a definire la struttura del suo pensiero fu quello con Descartes che, prima di lui, aveva rappresentato la vetta più alta della speculazione filosofica, aprendo la strada alla modernità. Il Discorso sul metodo è stato il punto di arrivo e insieme il punto di partenza della storia della filosofia, che gli va tuttora debitrice per tre aspetti del suo pensiero: la scoperta dell’io quale punto di riferimento della conoscenza, la necessità di ancorare l’attività conoscitiva a certezze di assoluta evidenza, la distinzione tra la res cogitans e la res extensa che riassume in due polarità la moltitudine degli enti recuperandone l’oggettività dopo avere affermato l’egemonia conoscitiva ed esistenziale del soggettivismo. In questo senso Spinoza, che è un cartesiano, va più lontano di Cartesio, perché elimina le divisioni all’interno dell’essere.
Come Cartesio, Spinoza vuole integrare la scienza moderna nell’ambito di una definizione generale dell’essere che si fondi sui concetti di necessità e determinismo. Egli, però, non teorizza le dualità con cui Cartesio separava il mondo dei corpi da Dio. Dio rimaneva, infatti, nella metafisica un principio spirituale, uno spirito creatore, e ciò in aderenza a tratti fondamentali della tradizione speculativa. Cartesio inoltre sostiene che esiste una radicale differenza tra l’uomo, che è un’unità di corpo e di spirito, ed il resto della natura. Per Spinoza, bisogna riunificare questi dualismi, superarli, per capire la grande lezione della scienza della natura, che si svolge tutta nella prospettiva dell’unità del mondo dei fenomeni.
È quindi soprattutto il Dio di Spinoza, la teoria generale della natura, che costituisce una innovazione nel campo della filosofia: Dio, la sostanza, è uguale alla natura – deus sive natura – è l’affermazione scandalosa di Spinoza che fa di lui un pensatore moderno propriamente detto. Spinoza non cade, infatti, nel dualismo perché non si tratta di due sostanze separate, ma di due attributi della medesima sostanza. «Questo tuo Dio è un mostro», gli scrisse uno dei tanti corrispondenti che cercavano di chiarire il suo pensiero; ma lui, non riusciva a comprendere reazioni tanto violente. «Questo è vero per definizione», diceva e si stupiva che gli altri non capissero. La forza della definizione è opera di Spinosa ed assume con lui il valore del Logos, del Verbo, della Parola, celebrati nel Vangelo di Giovanni, solo che per lui credere nella Creazione era una bestemmia intellettuale: il suo Dio non era creatore ma assoluta potenza necessaria: Causa sui, Dio è causa di se stesso, e di conseguenza non ha bisogno di essere pensato attraverso le categorie della creazione o dell’ emanazione. Se questo è il punto di vista fondamentale, Dio traspare nel mondo, poiché tutto quanto si produce in natura, nella natura che è Dio, si trova in Dio, e Dio consiste in questa stessa produzione. È quindi quest’unità di Dio con la natura (questo nuovo concetto dell’essere che, producendosi autonomamente, produce tutto quanto può esistere) a costituire la novità assoluta dell’ontologia di Spinoza, del suo panteismo.
Si può allora dire che la novità radicale di Spinoza è la sua diversa maniera di concepire l’essere. Spinoza dice che Dio si produce in virtù di se stesso e che, producendo se stesso, produce un’infinità di cose finite – le res particulares – in un’infinità di modi. C’è quindi una sorta di simultaneità o coincidenza all’interno dell’ essere tra l’atto attraverso il quale Dio si produce e l’ atto attraverso il quale egli produce l’universo. Si può dire che Spinoza concepisca l’essere come una produzione: e pensare l’essere come una produzione significa rinnovare in modo radicale la metafisica. Conducendo all’estremo il discorso, è possibile affermare che la natura è l’unità del suo processo produttivo e dei prodotti che sono tali al suo interno.
Spinoza supera le prospettive di Cartesio; l’idea che tutto venga prodotto, che nulla venga creato, che nulla derivi da un principio che in qualche modo sarebbe al di qua del processo produttivo della natura naturans, fa emergere la natura come una struttura ontologica unitaria. L’unità non significa astrazione, eliminazione delle differenze, in quanto è «unità nella distinzione»; Dio non finisce mai di produrre un’infinità di modi e tutti i suoi prodotti sono intelligibili in se stessi. E questo è il secondo elemento fondamentale dello spinozismo: se nel primo viene radicalizzato il principio del materialismo secondo cui ex nihilo nihil fit e, di conseguenza, viene confutato il concetto di creazione, superando secoli di teologia, il secondo consiste nell’affermare che ciò che viene prodotto è in sé intelligibile. Nell’ambito di questa maniera di concepire l’essere c’è un posto specifico per l’etica. L’etica è lo scopo fondamentale di Spinoza. Non è un caso che la sua opera fondamentale sia l’Etica more geometrico demonstrata, in cui il rigoroso impianto metafisico è la base per un’etica volta alla liberazione dell’uomo. L’etica ha come caposaldo teorico la negazione della libertà di scelta e di volere (ciò che tradizionalmente veniva chiamato arbitrium indifferentiae). Dal momento che ogni cosa risulta dalla determinazione di un insieme di cause, anche l’uomo rientra negli enti naturali e non ha una facoltà libera dalla catena causale. Tutta la realtà è regolata dalle cause naturali, e ciò esclude l’esistenza delle sostanze spirituali, dell’ anima in senso cristiano e dell’ intervento diretto del Dio biblico.
Questo è uno dei motivi per cui Spinoza fu bollato come eretico e i suoi libri furono oggetto di condanne da parte delle gerarchie ecclesiastiche e non solo. Il mondo di Spinoza è totalmente spiegabile attraverso cause naturali, che sono poi quelle della nascente fisica galileiana e cartesiana.
L’Etica inizia con la definizione di Dio, come sostanza unica, assoluta e causa di sé. Tutta la realtà è espressione della potenza di Dio, non nel senso che Dio interviene direttamente per causare i singoli fenomeni, ma nel senso che tutte le leggi naturali e i singoli individui sono espressione della potenza divina, che si identifica con tutta la realtà. Quindi il mondo spinoziano è un mondo intrecciato in una catena causale infinita a cui non si può sottrarre nemmeno l’uomo. La realtà è divisa in estensione e pensiero, che sono i due attributi di Dio, e anche l’uomo è estensione (corpo) e pensiero (mente). Ma l’uomo per Spinoza non è solo mente e corpo, poiché alla base di ogni cosa e in particolare di ogni uomo c’è un’essenza individuale che distingue questa cosa da tutte le altre. L’essenza individuale è irriducibile ad altro ma si esprime concretamente nella vita di tutti i giorni poiché ogni essenza è conatus in sese perseverandi, ovvero sforzo di autoconservarsi.
Questa idea non era del tutto nuova nella filosofia occidentale, infatti ha origine nel pensiero stoico; tuttavia Spinoza ne dà una versione più significativa. Alla base di ogni individuo (per Spinoza «individuo» è ogni cosa individuabile che ha una esistenza più o meno lunga, ma qui considereremo solo l’individuo in quanto uomo) c’è la spinta automatica ad autoconservarsi, che significa l’energia che dà l’impulso per vivere; ma alla base vi è anche l’essenza, che è la forma particolare di un individuo che ne determina la natura (ovvero il principium individuationis). Ogni individuo è esposto a una incontrollabile serie di incontri con altre cose e uomini, con cui può avere un rapporto positivo o negativo, qualità determinata dalle nature dei due individui, che possono comporsi positivamente o scontrarsi.
Due nature individuali si incontrano positivamente se hanno qualcosa in comune e l’una è utile all’altra; all’inverso se le due nature non hanno niente in comune, l’una danneggia l’altra. L’uomo non può fare in modo di avere incontri solo positivi nella sua vita, ma può cercare di conoscere la propria natura e agire di conseguenza. La soluzione spinoziana è opposta a quella stoica: se quest’ultima prescriveva di ritirarsi nella dimensione spirituale, dal momento che sugli eventi esteriori e materiali non possiamo avere controllo, per Spinoza la conoscenza della propria natura e delle cause delle cose permette all’ uomo di cercare il proprio utile e di liberarsi dalle passioni. Questo è il punto fondamentale dell’etica di Spinoza, nel senso che non si ingiunge di negare il lato passionale ed emotivo dell’uomo, che tanto anima la vita, cioè non si predica una vita stoica o ascetica. Invece Spinoza mostra che, se si conoscono le cause dei nostri moti d’animo, la passione diviene semplicemente affezione. Nella passione, nell’ affezione senza conoscenza, l’uomo è passivo nei confronti dell’ esterno, invece se conosce la causa diviene attivo rispetto a ciò che avviene all’infuori di lui. In questo senso il significato globale dell’etica spinoziana è la ricerca del modo in cui diventare attivo.
Maria Angela Cacioppo
Da “Spiragli”, anno XIX, n.1, 2007, pagg. 35-37.