Al viaggiatore che da Palenno, via Milo, per ferrovia scende a Trapani e da Trapani raggiunge Marsala, la città offre spettacolo superiore alle aspettative.
Miti, leggende, storia, faV’ole han fatto a gara per abbellire la città: “splendidissima atque ventosa”1; da borgo fatta metropoli, essa allunga le fila dci palazzi, le case e le strade all’ombra delle chiese e delle cupole, e dissemina fattorie, “bagli” e ville per le contrade. Sorpresa toccava al “ciociaro” piovuto, “Rei publicae iussu”, tra i Siculi e che non credeva agli occhi, tanto gli si slargavano davanti alla bellezza davanti ad essi squadernata.
In tutte le città di mare, il lungomare; Marsala, città di mare ha lungomare, ma unico è lo spettacolo: sulla costa di Marsala, sullo “Stagnone”, sull’isola di Mozia e nelle Egadi: Favignana, Levanzo e Marettimo, il mito, confondendosi con la storia e la leggenda, inglesi e piemontesi nella babele di voci di differenti favclle. Marsala: crogiolo di popoli, catino di civiltà, crivello di lingue.
Andavamo per il lungomare, la moglie Ermelinda ed io; c’cran guide due ragazze con negli occhi vivaci l’intelligenza della gente di Marsala, nelle fattezze, la languida bellezza araba e nella mimica di mani e dita, l’ascendenza greca.
Andavamo i quattro per il lungomare e Rita e Giovanna si disputavano l’onore di farci da guide, nel ricordo di Marco Tullio Ciccrone, cittadino romano di Sora, non di Arpino, che girando per Lilibeo, vedeva i Lilibetani farsi in quattro per far da guida al questore di Roma2. Davanti alla chiesa di s. Giovanni, Rita, accalorandosi, diceva: “Tutto il largo, alla sinistra della chiesa è vincolato dalle Belle Arti; nessuno vi può costruire perché l’Assessore del Comune lo ha proibito; là, sotto il manto erboso, resti di costruzioni romane aspettano d’essere riportati alla luce”.
Intanto il sole, con il suo grande occhio rosso come di chi stanco del gran tragitto fatto nella volta del cielo, si affrettava al tramonto, arrossando una macchia di nuvole dietro la linea dei monti, disegnando la sinopia del forte di s. Caterina e abbuiando Favignana e Levanzo, che all’orizzonte, da quella parte, chiudono il mare che pigro se la raccontava come se la racconta quando è tranquillo.
«Nella chiesa di S. Giovanni», diceva Giovanna slargando i suoi occhioni neri come le more sulle siepi a rovi convinta di quanto andava dicendo, «c’è stata la festa di s. Giovanni con processione, banda e fuochi pirotecnici della rinomata ditta: Salvatore Calamia di Misilmeri. Tutti si fan dovere di visitare l’antro della Sibilla Cumana, scendendo per ripida scaletta, nella parte sinistra della chiesa.
I devoti scendono nella cripta, rinnovando lo memoria della gente pagana che vi scendeva per aver oracolo dalla Sibilla. La Sibilla, invasata dal Dio Apollo, si dimenava tutta, sbavava dalla bocca e, torcendo indietro gli occhi, profetizzava a quanti gliene facevano richiesta, con promessa d’«offerte». Taceva Giovanna e il forestiero la ringraziava.
Andavano i quattro per il lungomare, mentre il sole calava a nascondersi dietro i monti di Favignana. Per non sminuire la soddisfazione alla ragazza, il forestiero taceva per non dire che l’iscrizione nella chiesa era sbagliata, indicando la “Sibilla Cumana”, quando si trattava della “Sibilla Lilibetana”, se di Sibilla si trattava.
Davanti al portale del “baglio” Anselmi Rita, per accrescere i suoi meriti agli occhi dei forestieri, diceva: «Dentro il “baglio”, sotto gran telone protettivo, sta la “nave punica”; tutti vanno a vederla; dentro il “baglio”, un professore spiega tutto quello che c’è da spiegare; molto, davvero, a cominciar dai Cartaginesi sbarcati a Lilibeo, dove impiantavano emporio per i loro traffici e base militare per la flotta da guerra, fino alle Guerre Puniche, condotte da Roma contro il nemico cartaginese, fino alla distruzione di quella città, assediata da Scipione e data alle fiamme dai cittadini che preferivano morire bruciati, piuttosto che cadere prigionieri degli odiati Romani». Questo diceva Rita ed era non poco per una ragazza della sua età.
A quell’ora tarda, a sole tramontato, la luce smorzandosi sulle isole, sullo “Stagnone” sulle “Saline” sulla spiaggia e su tutte le contrade, il “baglio” chiuso impediva l’ingresso e la visita alla “nave punica”. Rita parlava e il forestiero l’ascoltava, ma i due non potevano immaginare che la “nave punica” sarebbe diventata un incubo per l’uomo che tanti Marsalesi, dopo i convenevoli di rito, volevano accompagnare in visita alla “nave punica” nel “baglio” Anselmi; invito a profferta si rinnovavano dal barbiere, nei negozi, nei caffé e ai tavoli della meravigliosa sala da pranzo della Villa Favorita.
I quattro, godendosi i soffi della brezza che, calando la sera, accresceva le sue lievi buffe venendo dal mare, superata la curva, arrivavano alla rotonda di Capo Boeo.
Nella rotonda solitario cippo; sul cippo, breve colonna; sui lati del cubo di base, quattro iscrizioni celebravano i momenti salienti della storia di Lilibeo e di Marsala, a vanto dei Marsalesi e di tutte le Marsalesi.
Rita e Giovanna davanti al monumento si disputavano l’onore della parola; Rita l’aveva vinta; la maggiore delle sorelle cominciava a dire con l’importanza di chi convinta di dire cose importanti: «Questo cippo, la colonna e l’iscrizione, posti ad onorar Scipione che sconfiggendo i Cartaginesi, a Zama, finiva la “Seconda Punica”, vanificando l’attacco degli elefanti: “fortezze mobili”, lanciate dai “Kornak” contro te “Forze Combinate Romane”, per seminare morte tra i legionari della prima, detta seconda e della terza fìla. Scipione l’Africano batteva Annibale anche con l’appoggio dei Lilibetani, amici di Roma e di tutti i Romani».
Questo diceva Rita e si meritava il plauso che i due forestieri le tributavano, battendole le mani. Il forestiero aveva ascoltato Rita con interesse ma anche con punta di stizza perché non corrispondevano alle parole di Rita, esatte nei particolari e nell’insieme.
L’iscrizione portava
“149-146
III Guerra Punica
Scipione l’Africano E.no
Il Comune donò la Colonna
Delibera Conciliare n. 244
del 9-12-45″.
Il forestiero leggeva e, rileggendo, soffocava la voglia di levar grido contro chi cippo, colonna e iscrizione aveva voluto nella rotonda di Capo Boeo. Taceva il forestiero e non diceva la sua per non creare turbamento nella mente di Rita3.
Il forestiero, tra sé ragionando, non con i vivi ma con i morti, si convinceva della verità del motto: “Sic transit gloria mundi!” che il Penitenziere Maggiore in S. Pietro recita al neoeletto Pontefice, se i vivi, beffando se stessi, beffano la storia e beffano chi della storia artefice e geniale operatore. Nell’iscrizione, vera la data “Terza Punica” ma errata la “nominatura”4 di Scipione che se era “l’Africano” non poteva essere “L’Emiliano”; il primo vincitore nella “Seconda Punica”, delle “Forze Combinate Puniche”. nella battaglia di Zama, svoltasi a Margaron, nella pianura di Naraggara; il secondo: Scipione l’Emiliano, figlio di Paolo Emilio, vincitore a Pidna, adottato nella famiglia degli scipioni alla morte del padre, metteva fine alla “terza Punica”, assediando Cartagine: “Cart+Acath”: “Karchedon” “Carthago”, che finiva in un mare d’incendi mentre il duce romano turbato recitava l’omerico: “Giorno verrà che Priamo e tutta la sua gente cada!”5 presentendo la caduta di Roma.
Errava inequivocabilmente, chi faceva uno dei due Scipioni; errava inequivocabilmente, chi approvava monumento e iscrizione; continuano nell’errore i Marsalesi che non cancellano la stortura che offende gli Scipioni morti, che offende i Marsalesi vivi, la storia e il nome di Marsala.
Siamo convinti: non tutte le Marsalesi, per tanti aspetti superiori ai mariti, custodi della meravigliosa storia della città, condividono quella delibera comunale che imperterrita continua a far oltraggio alla verità storica.
Speriamo che la “Taratalla” sproni a rimuovere l’iscrizione o a rinnovarla, nel rispetto della verità storica, cancellando i sorrisi di scherno sulle labbra dei forestieri che, pensosi della storia e delle umane vicende, si attarderanno davanti al cippo, nella rotonda di Capo Boeo.
Davide Nardoni
(l) Cic. Caecil. 12; Fum., 9, 21; 12, 28. L’Oratore, questore in Lilibeo, ben conosceva la città se la definiva: “splendidissima” pcr la bianca calce che copriva di bianco strato le case per difenderle dai cocenti raggi del sole e “ventosa” se la brezza che spira dal mare a terra o da terra al mare, smorza il caldo, smorza il frcddo, a scconda della stagione.
(2) Cic. Planc., 26.
(3) Il forestiero cristiano, apostolico, cattolico, romano e “papista”, taceva per non incorrere nella evangelica maledizione: “Et quisquis scandalizaverit unum ex his pusillis credentibus in me, bonum est ei magis si circundaretur mola asinaria cotto eius et in mare mitteretur (Marc. IX, 41). Quel forestiero non aveva voglia di appendersi manica da molino al collo e gettarsi nelle acque basse dello “Stagnone” per finirvi affogato.
(4) Tutti i cittadini romani avevano propria “nomenclatura” che portava la “nominatura: “praenomen”, “nomen”, “cognomen”, “adgnomen”, o “adgnomina” che costituivano l’anagrafe dell’individuo romano e la “titolatura”: le cariche maggiori o minori ricoperte in vita.
– La “nominatura” completa dell’eversore di Cartagine è: “Publio Cornelio Scipione Ernaiano Africano Minore”; la “nominatura” del vincitore di Zama è: “Publio Comelio Scipione Africano Maggiore”; questo per levar confusione.
(5) Hom. Iliad. Z, 448-449: “Giorno sarà, quando sarà distrutta la santa Ilio e Priamo e il popolo di Priamo dalle bel1e greggi”.
– “(Polibio) assistè alla presa di Cartagine; narrò, poi, che Scipione (Emiliano o Minore) contemplando la città distrutta, recitò i versi di Omero, nell’Iliade: “Verrà un giorno che cadrà la sacra Ilio, e Priamo, e il popolo di Priamo” e poi aggiunse: “Io temo, Polibio, che un giorno, qualcuno dirà queste parole della mia patria” (G, Perrotta, Storia della Letteratura Greca, Milano, Principato, 1951, vol. III, pag. 137).
Da “Spiragli”, anno IV, n.1, 1992, pagg. 5-7