La Sicilia non ha bisogno del ponte

       Si ricomincia, come se fosse una telenovela, a parlare del ponte sullo Stretto di Messina. Una pazzia. Salvini, contrario da tempo, si è convertito (o è stato convertito?) alla sua realizzazione, dimenticando lui e i fautori (progettisti e finanziatori) che la zona dello Stretto è stata sempre terra ballerina che ha prodotto nel tempo disastrosi terremoti.

         È un discorso, questo del ponte, che dovrebbe far riflettere e dare una mossa all’operato di quanti sono chiamati a venire incontro alla gente per il bene della collettività, ed invece, incuranti dei danni che arrecano, questi signori pensano a se stessi, eludendo i bisogni elementari che altro non sono che sacrosanti diritti. 

        A che serve un ponte se nell’Isola i servizi sono per buona parte inesistenti o fuori uso, e mancano le infrastrutture necessarie per garantire un vivere sociale umano? Le autostrade sono un pericolo costante, la Palermo-Messina è impercorribile, la Catania-Ragusa spesso si trasforma in strada della morte. I collegamenti interni sono alla deriva, senza alcuna manutenzione, per non parlare delle ferrovie, in parte fuori uso, con i disagi che ricadono specialmente sui pendolari.

        Mentre tanti rimanevano indifferenti, come se la cosa non interessasse, già Nello Sàito, una voce ferma nel panorama dell’intellettualità siciliana, tempo fa si era schierato contro questo progetto mostruoso, fatto cadere come spada di Dàmocle sulla testa di tutti e senza interpellare nessuno, come se il popolo non esistesse. Se il popolo è “sovrano” perché devono essere i pochi privilegiati a decidere? Dov’è la Costituzione? Come se tutto fosse rose e fiori, non tenendo conto della gente che vive nella propria casa e con il suo lavoro, e delle conseguenze ambientali, in un punto geografico così particolare, si decide senza tenere conto di niente e di nessuno. Il popolo è fatisciente. 

         Mi chiedo: «Che fine ha fatto Beppe Grillo con la traversata dello stretto (10 ottobre 2012) per dimostrare anche l’inutilità di questo ponte? Ha forse agito, da par suo, per una manciata di voti di calabresi e siciliani? Dov’è ora, ha perso gesti e parola, dopo che Scilla e Cariddi lo fecero traversare?».

      La Sicilia ha bisogno di ben altro per concretare le sue potenzialità, non di un ponte; ha bisogno di investimenti, per dare lavoro ai giovani e non farli fuoruscire, e di risorse per incentivare il lavoro dei campi e l’agricoltura; per non parlare del turismo, ricca com’è di beni culturali e ambientali. Come nel passato, essa deve ritornare ad essere ponte tra le genti, per la sua produttività, per la cultura, per i suoi uomini migliori che questo vogliono e nella loro terra restare. Essa è già un ponte, così com’è un centro; abbisogna solo delle condizioni per realizzarsi veramente. 

     

     Basta con la deleteria pubblicità che la oscura nella sua immagine vera e nell’umanità che le è propria! 

                                                                            Salvatore Vecchio




Si riparte!

Si riparte! Dopo anni di silenzio, dovuto a vari motivi, riprendiamo la pubblicazione di “Spiragli”, nel segno della continuità e dell’impegno che hanno distinto la nostra rivista. Nel corso delle manifestazioni per il ventennale (vedi n. 1, anno 2010), i relatori hanno messo in evidenza la libertà e la serietà con cui è stata portata avanti la pubblicazione. Con la stessa libertà e serietà di intendi ci accingiamo a riprenderla on line, impaginata e pronta da stampare in proprio.
“Spiragli”, che da qualche anno è dotata di un sito, ancora da perfezionare (www. rivistaspiragli.it), dove sono riportati tutti i numeri pubblicati in cartaceo, agevoli da consultare e, al bisogno, da stampare, mantiene le sue rubriche e pubblica notizie relative ad eventi artistico-culturali, saggi, profili, un’antologia di prose e poesie di autori italiani e stranieri, le recensioni e le schede dei libri pervenuti e delle novità editoriali.
Tanti amici che hanno collaborato e non sono più tra noi, a cui vanno il nostro pensiero e il riconoscimento, apprezzeranno questa impresa e la condivideranno, perché il nostro scopo è, come ricor- dano nelle relazioni sopra citate Tommaso Romano e Salvatore Valenti che sentita- mente ringraziamo, di contribuire al miglioramento socio-culturale, e per questo guardiamo fiduciosi – come ci proponevamo nel 1989 – alla letteratura, alle arti, alle scienze, alla scuola, ai problemi che ci circondano, sicuri della loro importanza formativa e costruttiva insieme.
In un mondo sempre più globalizzato,
teso all’effimero e all’usa e getta, si vuole togliere spazio all’Io pensante, per ren- derlo docile marionetta al servizio dei potentati economici che hanno in mente di dominare ancora di più. Non basta loro l’accumulo di ricchezze, a scapito dei tanti che, a stento, riescono a sopravvivere, ma vogliono anche oscurare le menti per continuare a gestirle e ad operare a loro piacimento.
Nel passato il monopolio dei pochi portò sempre scompensi, ma la minaccia attuale tende a soggiogare l’individuo e a renderlo uno schiavo inconsapevole. Per questo occorre maggiore consapevolezza per un cambio di rotta, che possa garantire il nostro modo di essere uomini pensanti, al tempo stesso tesi all’Io e all’Altro.
Il nostro piccolo apporto è niente rispetto a quello che occorrerebbe per il cambio di tendenza. Ci vorrebbero uomini politici consapevoli dei grandi rischi a cui stiamo andando incontro (la rete 5G, il ricorso smodato ai vaccini, per citare i più pericolosi e nocivi), ma è difficile, perché spesso questi (ammesso che ci siano), dotati di buoni propositi, non sono capaci di contrastare i manipolatori e sono costretti a desistere e deludere. Nonostante ciò, occorre adoperarsi per una svolta di tendenza che privilegi il bene comune e non l’interesse di pochi. Per questo occorre che apriamo bene gli occhi!
Siamo convinti che una maggiore diffusa consapevolezza possa arginare questo male che ottenebra l’umanità. Dipende da tutti, e ciascuno nel proprio campo deve fare la sua parte, per riprenderci il nostro ed essere noi stessi, pur non rinunciando al rapporto con gli altri che è alla base di tutto.




Il siciliano a scuola

Era ora che il siciliano entrasse nella scuola, che finalmente gli si desse dignità, che fosse studiato e fatto conoscere perché potesse rimanere vivo e si potesse tramandare alle generazioni future e, con esso, entrassero pure nella scuola siciliana la cultura e la tradizione millenarie del nostro popolo! Con tanta gioia accogliamo la notizia della legge della Regione Sicilia che prevede due ore di insegnamento settimanali di dialetto. 

L’on. Nicola D’Agostino non ha fatto niente di particolare, se non quello di far rispettare e attuare lo Statuto regionale negli articoli 14 e 17 che danno al governo siciliano la facoltà di legiferare anche in materia scolastica per il bene e l’interesse della popolazione. Sono passati 65 anni dal riconoscimento della Regione autonoma ed era ora che ciò avvenisse.

Era auspicabile, perché un popolo è tale quando si nutre della sua lingua e tiene viva la sua tradizione. Ho in mente i versi di “Lingua e dialettu” di Buttitta, poesia riportata a pag. 24: «Un populu, /diventa poviru e servu, / … E sugnu poviru: haiu i dinari / e non li pozzu spenniri; / i giuelli / e non li pozzu regalari; / u cantu / nta gaggia / cu l’ali tagghiati».

A che vale avere una lingua se non possiamo utilizzarla? Accettare le innovazioni non vuol dire cancellare del tutto o dimenticare l’esistente; significa ampliare la propria conoscenza e andare incontro ai tempi che s’arricchiscono del nuovo; in altre parole, significa essere capaci di accettare la modernità senza rinnegare il passato, grazie a cui ci confrontiamo con essa e la viviamo con maggiore consapevolezza.

Voltare le spalle al passato è perdere giorno dopo giorno la propria identità. Specie in questo momento, in cui i nuovi mezzi di informazione e la televisione fanno opera di livellamento culturale, e la stessa lingua italiana è ridotta a parlata volgare, è tempo di correre ai ripari e salvaguardare la nostra che tanta parte ha avuto anche nella formazione dell’italiano.

A prescindere, la lingua siciliana è la viva stratificazione della storia dell’Isola che, passati i millenni, ha lasciato una traccia indelebile nella langue, di de saussuriana memoria, ricca di voci e vocaboli che si perdono nel tempo, uniformati solo dalla grafia, ma che sanno di parlate lontane e vicine, ultime quella piemontese e l’altra dei nuovi ritrovati della tecnica e della scienza, perché in Sicilia, contrariamente ai soprusi subiti che l’hanno impoverita nel corso dei secoli, la lingua ha incamerato nuovi acquisti e si è sempre arricchita.

In un articolo di Tano Grasso che, apparso su “La Repubblica” il 7 aprile scorso, commentava il disegno di legge, dice bene il prof. Giovanni Ruffino: non deve trattarsi di una fredda introduzione della parlata, perché non otterrebbe i risultati sperati; deve introdursi la cultura siciliana nel suo insieme, essendo essa il substrato da cui una lingua si alimenta.

La lingua siciliana, decaduta a dialetto per il sopravvento dell’italiano, ha in sé accumulato un bagaglio culturale che non è secondo a nessun altro al mondo e che bisogna conoscere per apprezzare, bagaglio di cui i Siciliani devono essere orgogliosi. Purtroppo i nostri giovani conoscono tutto, tranne la loro terra che molto contribuì alla crescita storica dell’umanità. Se ora si offre loro l’opportunità di approfondire la conoscenza del territorio, non solo vi s’integreranno meglio, ma faranno opera di conservazione, contro la barbarie omologante dei nostri giorni, per tramandare ad altri questo patrimonio.

Alla notizia del disegno di legge che, a distanza di un mese, è diventata legge della Regione Sicilia, abbiamo appreso sempre dall’articolo di Gullo che le reazioni sono state controverse.

Timori e perplessità ha manifestato Camilleri che nei suoi scritti, in mezzo ad un italiano strampalato, dà la stura ad un siciliano spesso inventato, sminuendo l’uno e l’altro.

Del tutto negativo è stato il giudizio di Consolo, timoroso di una perdita di italianità, accomunando l’azione del governo siciliano a quella leghista in Lombardia. Mi chiedo: forse che costituiscono un pericolo per la salvaguardia dell’italianità le altre regioni a statuto speciale che già dal 1948 o dal 1997 (è il caso della Sardegna) hanno riconosciuto le loro come lingue in regime di coufficialità con l’italiano? Cos’ha di meno la Sicilia rispetto a queste regioni?

Niente, semmai ha solo il torto di essersi fatta sempre calpestare, e i primi ingrati a mettersi contro di essa sono stati gli stessi suoi figli che, come scrive Falcando, storico di indubbia sicilianità, «nutriti dall’abbondanza del suo latte, le si rivoltano contro con calci ed altro». Ma la Sicilia non merita questo; ha una storia e una cultura invidiabili, una lingua, al dire di Dante, “illustre” e una letteratura che affondano le origini nei millenni, e non possono essere ignorate o racchiuse in poche righe nei testi scolastici ufficiali!

Coloro che la pensano così, e credono che si dia adito al disgregamento dell’unità nazionale o ad altro, dimenticano (o non conoscono) la storia della Sicilia e non sanno che la vera unità passa attraverso la conoscenza di usi, costumi e lingua del territorio di appartenenza, come conferma Romano Cammarata in un suo scritto in cui afferma che «un’attenzione regionalistica alla problematica culturale servirà a determinare visioni unitarie nel senso più autentico della parola, cementate dalla chiara conoscenza di nessi e rapporti di fondo che ne costituisce l’elemento caratterizzante nell’ambito di una superiore unità garantita dal carattere genetico nazionale».

È ora che i Siciliani si sveglino dal loro torpore e rivendichino il diritto a conoscere ciò che devono. Questo non significa allontanarsi dal contesto nazionale, ma integrarsi in esso con maggiore consapevolezza. È ciò che ci si auspica con il federalismo, che è il pieno raggiungimento dell’unità attraverso l’apporto molteplice delle realtà regionali.

Salvatore Vecchio




 Editoriale: Verso il trentennio 

“Spiragli” ha compiuto 20 anni, essendo stata fondata nel 1989, – come recita l’editoriale pubblicato nel n. XXI, 2009. A ricordarne l’attività sono state due manifestazioni: a Marsala il 9 novembre 2009 e a Palermo l’11 dicembre 2009. 

Nella prima, che ha avuto luogo nella Sala delle Rappresentanze dell’ex Convento del Carmine, hanno relazionato Donato Accodo, responsabile della redazione romana della Rivista, e Salvatore Valenti, presidente dell’Associazione per la tutela delle tradizioni popolari del trapanese; nella seconda, che si è svolta nel salone di palazzo Isnello, gentilmente concesso da Jean Paul de Nola che ha coordinato i lavori, ha relazionato lo scrittore-poeta Tommaso Romano ed ha presenziato l’editore Renzo Mazzone. In entrambe le manifestazioni ha preso la parola Salvatore 

Vecchio, fondatore e responsabile della Rivista. 

In quell’editoriale scrivevamo che «la rivista continua, pur nelle difficoltà dei tempi, le pubblicazioni, con dignità e con orgoglio: con dignità poiché non abbiamo chiesto elemosina a nessuno, e con orgoglio, se l’abbiamo vista crescere portando avanti la sua linea editoriale in libertà di scelta» Con libertà di scelta continueremo ad operare in campo culturale, artistico e letterario, augurandoci tempi migliori e maggiori disponibilità al fine di incrementare la periodicità della rivista e diffonderla per l’utilità di tutti. 

In un momento così problematico per la vita comunitaria, c’è l’esigenza di affermare con forza la nostra libertà di espressione che è quanto di più bello e buono l’omo possa avere. E questo diritto lo dobbiamo esercitare con vigore contro ogni condizionamento, senza per questo ledere le idee degli altri e senza scadere nel chiacchiericcio a cui, non volendo, siamo costretti ad assistere e a sentire. Questa è stata la nostra forza, come i relatori sopracitati hanno evidenziato, e su di essa puntiamo ancora per meglio realizzarci come uomini e come appartenenti alla società globale. È l’obiettivo a cui l’omo deve tendere, se veramente vuole affermare con consapevolezza il proprio io, capace di raggiungere vette inaudite o abissi profondi. 

Pubblichiamo, nell’ordine sopradetto delle manifestazioni, le relative relazioni e cogliamo l’occasione per ringraziare quanti hanno contribuito all’affermazione della Rivista, ai relatori tutti (Accodo, Valenti, Romano) che hanno evidenziato le positività del nostro lavoro, mettendo anche in controluce quello che ancora dovremo fare per renderlo migliore. 

Ci auguriamo, pertanto, quanto prima, di dotarci di un sito per dare a tutti la possibilità di seguire i nostri lavori e consultare la rivista con i moderni mezzi di cui la tecnologia dispone. D’altronde è assurdo non adeguarsi ai tempi. Noi lo stiamo facendo, anche con ritardo. Ma se consideriamo che il materiale accumulato nel corso del ventennio è abbastanza vasto, questo giustifica in parte il ritardo. 

La volontà è di mettere a disposizione di tutti la serie completa di “Spiragli” una realtà ormai radicata negli ambienti culturali e quelli letterari, italiani e stranieri. 

Salvatore Vecchio 

Da “Spiragli”, anno XXII, n.1, 2010, pag. 2.




 Ventunesimo anno 

«Spiragli» entra nel 21° anno. Fondata nel 1998, la rivista continua, pur nelle difficoltà dei tempi, le pubblicazioni, con dignità e con orgoglio: con dignità, poiché non abbiamo elemosinato niente a nessuno, e con orgoglio, se l’abbiamo vista crescere portando avanti la sua linea editoriale in libertà di scelta. In questi anni abbiamo cercato di rispettare il programma che ci prefiggevamo, cioè, contribuire a dare un apporto di crescita culturale alla società, per ripristinare quei sani valori che danno fiducia nella vita. Per questo motivo, noi diamo valenza all’arte, alla letteratura, alle scienze umane, sicuri che da esse possiamo trarre linfa per costruire un vivere migliore. Scrivevamo allora: «Spiragli è una rivista libera, fuori da ogni condizionamento di parte e da fini di lucro. La motivazione che ci sostiene è prettamente culturale e nasce dall’esigenza di voler dire la nostra nel rispetto delle opinioni altrui. È, dunque, una rivista aperta a quanti sono animati da questi intenti che crediamo – nessuno escluso, operando nella buonafede – siano condivisi da tutti.» Crediamo di essere stati coerenti con gli impegni assunti, se da varie parti arrivano atte-stati di apprezzamento, con richieste di collaborazione, anche dall’ estero. E questo corrobora il proposito di continuare sulla strada intrapresa, dando voce a quanti, meritevoli, non necessariamente affermati, hanno qualcosa da dire in campo letterario, artistico e culturale. Ci prefiggiamo ora di incrementare la pe-riodicità delle pubblicazioni e la diffusione nelle scuole e nelle biblioteche pubbliche, e di ripristinare gli abbonamenti e la distribuzione nelle librerie specializzate. Con questi intenti e con tale spinta opere-remo: è un modo di dare senso alla nostra vita, facendo nostro quanto scrive il Poeta: si cresce in umanità, se si segue «virtute e canoscenza». Ringraziamo per il fattivo aiuto la prof.ssa Maria Di Girolamo, gli editori Renzo Mazzone e Donato Accodo, e quanti collaborano per rendere la rivista sempre più fruibile e interessante. 

Salvatore Vecchio 

Da “Spiragli”, anno XXI n.1, 2009, pag. 2.




 Perché questa Rivista 

Ancora una rivista, qualcuno dirà! E, in verità, le riviste sono così tante che è difficile farne una sommaria enumerazione. 

Eppure ognuna di esse ha la sua importanza per il fatto stesso che si viene a garantire la pluralità dell’informazione ed ognuna, nel rispetto delle idee e nel campo che le compete, dà alla società un apporto di crescita culturale. 

Non è nostra intenzione soffermarci sulle tante argomentazioni che si potrebbero, a tal proposito, affrontare. Ci preme solo dire che la cultura è elemento indispensabile della vita democratica di una società e, perciò, va incrementata e sostenuta, perché il pullulare delle idee è apertura, dibattito, continua educazione al sociale. 

Spiragli vuole contribuire anch’essa al miglioramento della società. Il titolo è sintomatico sotto questo aspetto: e non ci chiudiamo egoisticamente nel nostro io, aspettando che siano gli altri a salvare il salvabile, e nemmeno critichiamo, addossando ad alcuni gli errori commessi. Come dice un poeta a noi tanto caro, tutti dobbiamo avere, invece, il coraggio di guardare. 

In un periodo in cui tutto sembra correre verso uno sfascio senza alternative, e la materialità è dilagante, si sente il bisogno di ripristinare quei sani valori di una volta che davano fiducia nella vita e la facevano amare. 

Nostra convinzione, e di quanti la pensano come noi, è che se l’uomo guardasse un po’ più dentro di sé, certamente ritroverebbe tante di quelle risorse positive, che ora sembrano del tutto assopite, e necessarie per cambiare in meglio lo stato in cui si trova. 

Consapevoli che bisogna adoperarsi, oggi più che mai, per perseguire il bene, non rimane che rimboccarci le maniche per recuperare il senso vero della vita: la famiglia, l’amicizia, il rispetto del prossimo… 

Questo è l’intento che anima i promotori e i sostenitori della Rivista, e per questo intento guardano fiduciosi alla letteratura, alle arti, alla scienza, alla scuola, ai problemi che li circondano, sicuri della loro importanza formativa e costruttiva insieme. 

Per questo diciamo che Spiragli è una rivista libera, fuori da ogni condizionamento di parte e da interessi di lucro. La motivazione che ci sostiene è prettamente culturale, e nasce dall’esigenza di voler dire la nostra nel rispetto delle opinioni altrui. È, dunque, una rivista aperta a quanti sono animati da questi intenti che crediamo – nessuno escluso, operando nella buona fede – siano condivisi da tutti. 

Con questi propositi, ringraziamo la Casa Editrice E.I.L.E.S. per il suo fattivo sostegno e rivolgiamo un caloroso saluto ai nostri Lettori che, come destinatari, invitiamo a collaborare con suggerimenti e con scritti, e a contribuire con abbonamenti, dando così segno tangibile della loro adesione. 

Ancora un sentito grazie e un saluto rivolgiamo a tutti i Collaboratori per aver accolto con tanto slancio l’iniziativa sicuramente interessante, ma irta di ostacoli e difficoltà, che possono essere rimossi soltanto dalla perseveranza nella schietta motivazione e dalla ferma volontà di riuscita. 

Il Direttore Responsabile 

Salvatore Vecchio 

da “Spiragli”, Anno I, n. 1, 1989, pagg. 3-4.




 Editoriale

La tentazione che spinge alcuni a voler predominare sui molti ha sempre costituito pericolo per la collettività. È risaputo: eppure, mentre i problemi da risolvere sono tanti e tali da richiedere interventi urgenti da parte dello Stato e soluzioni durature, questi pochi, ricchi solo di soldi e delle loro idee tornacontiste, vengono al contrattacco per imporre la loro presenza e impinguarsi ancora di più. 

La corsa alla concentrazione e all’accaparramento delle maggiori testate giornalistiche di coloro che detengono il monopolio economico non può che farci temere e, al tempo stesso, protestare energicamente perché ciò non avvenga mai. È un male pestilenziale che va affrontato senza alcun indugio e curato, se non si vogliono evitare ritorni all’indietro e tristi conseguenze. 

La facoltà di pensare e di generare sempre nuove idee, e manifestarle agli altri per confrontarci e insieme costruire, è quanto di più bello e sano ci possa essere. Diversamente potremmo fare a meno di parlare di democrazia, anzi non ce la sogneremmo affatto, perché – velatamente o non – ci vieterebbero di palesare le nostre opinioni, avendo interesse, quei pochi, a far marciare tutti a senso unico. 

I detentori di capitali già ci condizionano abbastanza. Il consumismo, figlio di un progresso molto spesso apparente, servendosi di una pubblicità sfrenata e irriverente, ha modellato e informato i sistemi di vita e, incidendo moltissimo sulla personalità dell’individuo, ha creato valori così effimeri da farlo cadere in un vuoto senza fondo. Cosa avverrà se a questo, con la ventilata concentrazione dei maggiori organi di stampa, si aggiungerà un piatto conformismo mentale? 

Noi diciamo no a storture del genere e crediamo fermamente che le forze più genuine del nostro Paese siano contrarie ad un clima di stallo che non lascerebbe spazio ad alcuno e, tantomeno, gioverebbe allo Stato, venendo meno il dibattito dialettico, linfa salutare che nutre i suoi uomini migliori. E poi, che giovamento uno Stato trarrebbe da cittadini robot? Che senso avrebbe il costruire? E cosa costruire? Ancora, non sarebbe un ritorno indietro della democrazia, in un momento in cui i Paesi dell’Est europeo stanno finalmente assaporando i frutti delle libertà di comportamento e di pensiero? 

No, noi non crediamo che lo Stato possa permettere ad uno sparuto gruppo di persone di accaparrarsi il monopolio dell’informazione. Sarebbe come darsi una zappata sui piedi! Siamo convinti, invece, che debba esigere serietà e professionalità da tutti gli operatori del settore. La gente ha bisogno di conoscere i fatti come si verificano, non vuole menzogne e falsità, come quelle notizie che legge al mattino per sentirle screditate un’ora dopo. 

Alla base di tutto questo che non vuole per niente essere un discorso moralistico -la moralità prima di tutto è concretezza e obiettività – poggiavamo la motivazione che ci spinse a fondare Spiragli, convincendoci ancora di più che bisogna adoperarsi perché la libera informazione e la sana cultura, indispensabili elementi del vivere civile, siano patrimonio di tutti. 

Tenendo fede a quel programma e dando credibilità al simbolico nome della rivista, rinnoviamo il nostro impegno ad aprire nuovi orizzonti culturali, rivisitando con gli occhi della mente il passato per riscoprirlo e per meglio conoscere e spiegarci il presente. 

A tal proposito, rifiutiamo, quale sia la sua provenienza. il principio di autorità. Chiunque, nel rispetto delle idee altrui, deve esprimere le sue opinioni liberamente e senza condizionamenti, anche se possono cozzare con l’acquisito. Siamo convinti che l’uomo. venendo incontro alla sua sete di sapere, non può accettare passivamente quanto è stato via via sentenziato. Se è vero che bisogna essere disponibili a qualsiasi apporto, purché costruttivo, è anche vero che occorre avere il coraggio di mettere in discussione il discutibile. Vanno bandite, perciò, ogni sorta di «servilismo» e le assuefazioni culturali, in nome di una moralità capace di investire tutte le manifestazioni del nostro vivere sociale. Moralità che nel campo dell’arte trova sostegno nelle tradizioni, perché le innovazioni e le creazioni artistiche hanno bisogno necessariamente di un sostrato culturale che affondi le sue radici nel passato, se vogliono risultare credibili e resistere al tempo. 

Riscoprire il passato per spiegarci meglio il presente, dicevamo; e la società ha bisogno proprio di questo per migliorare. Nostro dovere è contribuire, affrontando i problemi e le questioni del momento con obiettività e determinazione, coerenti ai principi di umana solidarietà a cui tanto crediamo. 

Salvatore Vecchio 

Da “Spiragli”, anno II, n.1, 1990, pagg. 3-4.




 EDITORIALE 2

“Spiragli” riprende la sua pubblicazione, colmando un vuoto di due anni. A partire dal 2005 la rivista inizierà una nuova serie con orientamenti più marcatamente letterari. Ampio spazio sarà riservato alle recensioni, che saranno curate dallo scrittore e critico letterario Donato Accodo, mentre le rubriche “Notizie e Opinioni” e “Schede “, rispettivamente, da Salvo Marotta e Ugo Carruba. 

Questo numero pubblica le relazioni deLL’incontro sul tema: «La cultura della guerra e il ruolo dell’intellettuale», tenuto a Marsala l’11 dicembre 2004 dal Centro Internazionale di Cultura “Lilybaeum“, che vuole così contribuire all’allargamento del dibattito su temi come questo tra persone di diverse estrazioni politiche o semplici cittadini, desiderosi di sentire o di esprimersi, di capire piuttosto che subire i continui martellamenti condizionanti dei media. Fermi nei loro propositi, essi ritengono più efficace, al di là di ogni altro mezzo, il dialogo, capace di risolvere le controversie, di avvicinare gli uomini e di restituire loro la pace, la solidarietà e il rispetto. Miracolo della parola che, a dire di Gorgia, pur con «un corpo picciolissima e invisibile compie le opere più divine». 

Salvatore Vecchio 




Editoriale

Il 22 Febbraio ’92 la Provincia Regionale di Trapani fu al centro di una giornata di studi di grande interesse che richiamò l’attenzione di uomini di scuola e della cultura. 

La manifestazione si svolse in due momenti, tra essi collegati, proprio come quando alla teoria vien fatta seguire la pratica. 

Nell’Aula Magna dell’Istituto tecnico Agrario A. Damiani di Marsala, gremita di un folto e scelto pubblico, proveniente da diverse parti della Sicilia, il prof. Davide Nardoni, dell’università di Cassino, teneva a battesimo il Centro Internazionale di Cultura “Lilybaeum”, sorto proprio a Marsala, soffermandosi nel suo discorso sullo stemma scelto (la “nave punica” contornata da scritta greca e latina) che rifà « nel toponimo di Marsala e nello stemma in stringata energica sintesi la storia di Marsala “, città che Cicerone definiva «“candidissima et ventosa civitas“, nei due attributi latinamente raccogliendo i dati della chorografia e dell’indole degli abitanti di Lilibeo >>. 

L’elogio cadeva su Marsala, ed evidentemente sulla sua Provincia, aperta ai richiami della cultura e dell’arte; di ciò bisogna dare atto ed essere riconoscenti. 

Il prof. Nardoni, dopo l’esordio, delineava le finalità del Centro: «In quella nave e nelle due scritte: la greca e la latina, racchiuso il messaggio del Centro pur mo’ nato: tutti i rami dello scibile devono aver stanza stabile nelle sue attività in una solida risonanza di accordi e comunanza di intenti per una più ampia diffusione della cultura e dell’arte; i problemi dell’Isola, della Provincia di Trapani, della Città di Marsala e dei Lilibetani devono aver la preminenza su tutti gli altri come si addice a Voi tutti che amate la vostra Città quanto più non si potrebbe”. Un modo, questo, perché – concludeva « i cittadini di Marsala vadan fieri di questa città, vaso e paniere di “romanità”, come una volta i “cives Romani” andavano fieri di Lilybaeum>>. 

La prolusione inaugurale, dal tema: Letteratura e vita“, è stata tenuta dal prof. Calogero Messina, dell’università di Palermo. 

Il relatore esordiva mostrando la difficoltà (spesso è facile cadere nell’errore) di una definizione della letteratura e i suoi legami con la vita. 

Il prof. Messina affrontava, poi, l’interessante tema dei rapporti tra letteratura e storia. La letteratura, meglio delle carte di archivio, è un documento aperto, palpitante di vita, di cui non si può fare a meno, specie quando si vuole delineare bene un quadro di un’epoca. Ma di una cosa metteva in guardia, e cioè che la letteratura non deve essere mai strumento di condizionamento della vita degli uomini. « C’è gente – diceva – che tutto sacrifica alla moda, rinuncia persino al proprio gusto, indossa un vestito che non è di suo gradimento, si rassegna alle scomodità, accetta le cose che fanno male alla sua salute, solo perché quel vestito, quelle scomodità, quelle cose son di moda: che direbbe la gente?>> 

E così c’è gente che si fa anche impressionare dalla letteratura, sbagliando, perché la vita offre e presenta sempre qualcosa di nuovo, di imprevisto, di diverso. «Nella letteratura, però, – concludeva Messina – l’uomo potrà sempre trovare una compagnia, tante spiegazioni, e potrà ricavare da essa una carica ideale>>. 

Si passava, così, alla seconda fase della serata, a quella operativa, con la presentazione, a esempio di quanto si era detto, di unafigura rappresentativa della scena letteraria e culturale del nostro tempo: Romano Cammarata, la cui opera è frutto di una vita ‘vissuta” e, pertanto, è letteratura nel senso più nobile del termine, e poesia. 

Se nella letteratura l’uomo dovrà cercare «una carica ideale>>, l’opera di Romano Cammarata è una miniera inesauribile di risorse morali e sociali, è fonte di arricchimento spirituale, ma è anche poesia che eleva gli animi in una dimensione di umana dignità e fa apprezzare la vita, nonostante gli affanni e le miserie di questo mondo. 

A distanza di un anno, il Centro Internazionale di Cultura “Lilybaeum”, che già si proponeva di raccogliere i lavori di quella giornata, ne assolve l’impegno (grazie a Spiragli, divenuta ormai suo strumento di divulgazione culturale), pubblicando le relazioni e gli interventi, integrati da prose e poesie edite e inedite e da testimonianze che mettono a fuoco la portata umana e artistica di Romano Cammarata. 

Le illustrazioni, riproducenti alcuni suoi lavori in rame sbalzato, contribuiscono ancor meglio a dare risalto alla poliedricità dell’artista siciliano. 

Così dedichiamo questo numero alla figura e all’opera di Romano Cammarata, rendendo omaggio non al dirigente della Pubblica Istruzione ma allo scrittore, al poeta e all’abile cesellatore o, meglio, dedichiamo questo numero al funzionario di Stato Romano Cammarata che, nonostante l’impegno profuso nello svolgere il suo non facile lavoro, riesce anche a trovare il tempo per dare sfogo con la sua creatività al mondo che si porta dentro, offrendoci il meglio di sé in opere di alto valore umano e poetico. 

Salvatore Vecchio

Da “Spiragli”, anno IV, n.3, 1992, pagg. 5-6.




1989-1999

Dieci anni non sono pochi per una rivista che si pubblica senza scopo di lucro, con amore e tanta dedizione. Mario Pomilio, in una lettera dell’8 settembre 1989, poco prima di morire così mi scriveva: <<Caro Salvatore Vecchio, ho ricevuto ed esaminato (con un po’ di ritardo, dato il periodo estivo) il primo numero di “Spiragli”, e mi affretto a ringraziarla per l’omaggio della rivista, sulla quale, si sa, non potrei per il momento che dire poche parole provvisorie, dato che una rivista si definisce sempre cammin facendo, anche se le intenzioni iniziali sono chiare. A lei, ai suoi collaboratori, auguro intanto buon lavoro, e molto coraggio, ché ce ne vuole per far durare simili imprese>>. 

Ci vuole molto coraggio! Ed è quello che ancora mi auguro di avere, perché la rivista “Spiragli” venga pubblicata e diffusa tra quanti la conoscono e l’apprezzano, in Italia e all’estero. 

Con la nuova serie, oltre alla copertina che in parte sarà diversa, “Spiragli” cambierà volto. Si interesserà più da vicino di letteratura italiana e straniera e darà più spazio alle recensioni e alle schede. 

Ringrazio gli amici della redazione (Accodo, Salucci, Contiliano), i collaboratori tutti e quanti ci seguono e vogliono il bene della rivista. 

SalvatoreVecchio