L’amara eloquenza del silenzio dello scrittore, così è stata intitolata una lettera che Nello Sàito inviò al «Manifesto» e alla redazione di «Spiragli» e fu pubblicata nel n. 1-4 del 2005. Quella lettera, che sprizza uno sviscerato amore per la Sicilia, sembrò premonitrice di qualcosa d’infausto che cercammo di fugare, pubblicando in quello stesso numero il saggio: Sàito narratore. Un omaggio all’uomo, per dire che non era solo e, soprattutto, un omaggio allo scrittore che nella parola scritta credeva e la professava.
Nello Sàito, uomo e scrittore, non sopportava la chiusura, il conformismo del senso comune e voleva che si ragionasse seriamente per assumere posizioni nette, precise, che facessero valere l’uomo nella sua individualità e nel suo essere profondo. Voleva che ci si battesse per ciò che nobilita la vita e rende veramente liberi da ogni asservimento cui la modernità spinge con insistenza. Utopia? Può darsi. Ma questo era l’ ideale della sua vita, il sogno per il quale lavorò fino all’ultimo e si batté, a costo di essere solo, di non essere ascoltato e seguito; sogno a cui, novello Bruno, fu abbastanza coerente, tanto da continuare nella sua amara eloquenza. Sì, amara, perché il suo eloquio, più che aprirlo, lo chiudeva, limitandone l’azione, e i molti, tesi solo all’utile, s’allontanavano e di Salvatore Vecchio gli chiudevano le porte, restii a pubblicare i suoi scritti, perché la verità fa male.
Eppure, nel suo silenzio, continuò a lavorare e a pubblicare (anche in proprio), diffondendo il frutto del suo ingegno tra quanti gli erano rimasti vicini e gli amici, che pure gli volevano bene, come fece con Lutero oggi, in cui riporta una puntuale traduzione di un saggio del riformista del 1545, sconosciuto in Italia. Così, indomito, portò avanti le sue battaglie, anche quando il dolore, che da tempo lo travagliava, non lo lasciava più un istante. Perciò, pochi giorni prima di morire, poteva scrivere: «La staticità della nostra esistenza è la nostra condanna. L’utopia anarchica è la nostra ancora di salvezza.» La caparbietà, che non lo fece scendere mai a compromessi, gli fu di aiuto nel perseguire il sogno di tutta una vita, quello di un nuovo rinascimento in cui l’uomo potesse realmente realizzarsi nella libertà e senza alcun condizionamento.
Di origine siciliana – il padre era di Licata (Agrigento), la madre di San Cataldo
(Caltanissetta) – Nello Sàito era nato a Roma nel 1920, ma si considerò sempre, come risulta dalle sue opere, siciliano, ultrasiculo, e non mancò occasione per tornare nella sua terra, sia che si trattasse di un convegno pirandelliano o di un esame di Stato. Portò la Sicilia nel cuore e nella mente, guai a parlargliene male! E andò contro quegli scrittori che, per avere credito tra i lettori, evidenziano sempre i lati brutti, contribuendo a dare di essa un’immagine falsa e stereotipa.
Laureatosi giovanissimo all’Università «La Sapienza», ottenne alcune borse di studio che gli permisero di andare a Berlino per perfezionarsi in lingua e letteratura tedesca; qui, nel 1942, ricevette la visita dell’amico Giaime Pintor, altro giovane promettente di quella triste stagione di guerra. Tornato in Italia, fu assistente di Natalino Sapegno a Roma, poi professore di lingua e letteratura tedesca all’Università «Tor Vergata».
Intensa fu l’attività di Nello Sàito in quegli anni. Pubblicò saggi e studi di letteratura tedesca (studiò Schiller, Goethe e i romantici tedeschi, ne tradusse altri, Brecht, Kleist, Lutero) e si diede al giornalismo che – come lui stesso scrive – aveva nel sangue. Ai primi anni ’40 risale la collaborazione a «Roma fascista» (cui collaborarono tanti altri che passeranno a sinistra o saranno considerati tali, come Giaime Pintor), a «Primato», a «Il mondo» di Mario Pannunzio e a vari altri giornali.
Come scrittore, Sàito esordì nel 1948 con il romanzo Maria e i soldati, che gli valse l’attenzione della critica e il «Premio Vendemmia». Questo romanzo, ripreso
e ritoccato, venne ripubblicato nel 1970, conservando quella novità e freschezza di invenzione che lo rendono originale, per non essere caduto nella mitizzazione della Resistenza in cui tanti incapparono, visto l’abuso che in campo letterario se n’è fatto.
Un altro romanzo, Gli avventurosi siciliani, è del 1954, pubblicato da Vittorini nella collana «Gettoni» di Einaudi. Se Elio Vittorini, da buon siciliano, vide bene in questo romanzo, spaesati si trovarono i critici, perché Sàito portava avanti un discorso a due angolazioni, per certi aspetti nuovo, ma tendente a dare della Sicilia un’immagine più rispondente al vero.
Lo scrittore individua nuove strade e vi rimane coerente, tanto da ripercorrerle con maggiore sicurezza e maestria. Il romanzo Dentro e fuori (1970) è apparentemente diverso dal precedente, perché ne continua il tema ma lo svolge con più consequenzialità. La Sicilia acquista una fisionomia diversa, a seconda se si guarda da dentro o da fuori. Unanime fu il riconoscimento; finalista al «Premio Strega», sempre nello stesso 1970, ottenne il «Premio Viareggio».
Contemporaneamente alla narrativa, Sàito si diede anche al teatro. Già nel 1969 aveva scritto la commedia I cattedratici ed altre ne seguiranno. L’autore affronta il tema dell’Università in modo critico e accusatorio (Il maestro Pip, 1971), della morte (La speranza, 1978; Déjeuner sur l’erbe, 1980; Com’è bello morire, 1986), delle libertà negate (Copione, la rivoluzione è finita, 1971; Il Pinocchio studioso, 1991). Si tratta di temi attuali, svolti in modo distaccato, umoristico ma non cinico, perché la dolente umanità dell’autore si dipana e tende a nuovi approdi, all’utopia, sede di libertà e di piena realizzazione.
Quattro guitti all’ Università, pubblicato da Bulzoni nel 1994, è un romanzo che riprende il tema della scuola e degli studi accademici. Ancora una volta, lo scrittore va contro quei cattedratici che si chiudono in sé e non pensano alla funzione educativa dell’insegnamento. Sàito, che conobbe bene il mondo dell’Università, usa parole dure e ritiene i professori responsabili di tanto degrado in fatto di cultura e di società.
L’ultimo romanzo è Una voce, pubblicato da «Terzo Millennio» nel 2001 ed è, a parere nostro, il romanzo di una vita, perché c’è tutto Sàito, uomo e scrittore, fresco di inventiva, essenziale, profondo, convincente, sprizzante di utopistica anarchia e un sentito bisogno di rendere l’uomo più consapevole e responsabile, capace di puri sentimenti.
Nello Sàito se n’è andato il pomeriggio del 16 ottobre 2006, in un silenzio nel quale lo accompagnava l’autunno romano, mentre le foglie degli alberi, stremate dalla lunga calura dell’estate, resistevano senza fare rumore. E per la cronaca, mentre, per suo vivo desiderio e per la disponibilità dell’editrice I.l.a. Palma, andava in macchina una nuova edizione della sua frizzante pièce teatrale Il Pinocchio studioso, col vivace monologo finale Il Pinocchio avventuroso. Egli se n’è andato con la parola «Gesù» sulle labbra e la mano nella mano della moglie, come aveva desiderato. Così cessava di vivere la sua vita terrena il fustigatore dei cattedratici e dei politici, l’utopista anarchico, lasciando i suoi scritti e l’esempio di una dirittura morale irreprensibile, vera, con un ‘idea alta dell’uomo e della sua dignità.
Ora che Sàito non c’è più, venuta meno ogni remora, sarebbe il caso di rileggere le opere e di farle conoscere come una parte di noi che, emergendo, si accetta e si ama. La sua opera appartiene a tutti, per l’anelito di indipendenza e di libertà che trasuda, per l’aspirazione ad un bene condiviso, per il bisogno che è nell’uomo di farsi valere, al di là delle apparenze e delle mistificazioni che lo schiavizzano e rendono anonimo o insignificante. Essa tiene a precisare che la dignità è un bene da tutelare e difendere, a costo di fuggire o chiudersi nella solitudine, come fanno Enrico e Carla di Una voce, che fuggono da Roma cadente e decrepita, salvando sé stessi e la propria umanità, ritrovando il loro essere autentico e vivo.
Ma, a parte la sua significativa presenza nella letteratura e le prese di posizione nel dibattito politico-sociale, Nello Sàito fu un siciliano rispettoso della sua terra, sempre orgoglioso delle sue origini, pronto a difendere in ogni occasione e, al momento opportuno, altrettanto pronto a denunciare le negatività che oscurano l’immagine della Sicilia e la rendono refrattaria ai cambiamenti; e la sognava autonoma, spiritualmente indipendente, sovrana come nell’antichità, al centro del Mediterraneo, un’altra Svizzera, gestita da uomini non condizionati da politiche centriste ma da siciliani veraci e intelligenti. Questa la sua sicilianità, bella, sinceramente sentita e apertamente dichiarata.
Vorremmo che Nello Sàito venisse ricordato anche per questo, ma, prima di ogni cosa, che la sua opera fosse conosciuta, perché lo scrittore, il commediografo, il saggi sta, possano emergere nella vera luce e indicare ai lettori quei principi di indipendenza assoluta per cui valse (e vale) battersi una vita.
Salvatore Vecchio
Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 3-5.