Il mio intervento sarà di natura eminentemente pratica.
Il nostro è un Sindacato come si sa “sui generis”, diverso certamente da tutti gli altri. Negli altri sindacati ci sono ruoli ben definiti delle parti in causa, e linearità del contenuto e della materia del contendere: il datore di lavoro, il lavoratore dipendente, l’interesse preciso e generale da difendere, l’arma dello sciopero come strumento di pressione e di persuasione.
Nel nostro sindacato, invece, i ruoli delle parti in causa sono poco circoscritti, più indeterminati: o per lo meno non così strettamente collegati tra loro e molto più complessi: perché il datore di lavoro quasi non esiste, confuso spesso con la stessa struttura della società. prevalentemente nelle sue parti più carenti; il lavoratore quasi mai è un lavoratore dipendente: la materia del contendere è così multiforme e sfuggente che investe le più clamorose contraddizioni della stessa organizzazione dello Stato e della società: il lavoratore non ha quasi mai la possibilità di usare l’arma dello sciopero come elemento di pressione e di persuasione. Da qui discende l’enorme difficoltà di trovare la via giusta da seguire nelle lotte e nelle rivendicazioni. Bando perciò alle facili critiche ed alle inevitabili insoddisfazioni e invito alla ricerca responsabile e serena dei mezzi adatti e soprattutto ad una maggiore intesa e ad una maggiore solidarietà tra noi, senza di che, io penso, ogni sforzo potrebbe risultare vano.
Esistono due posizioni sulla fisionomia del Sindacato:
Avrebbero ragione i primi, se esistessero Organismi diversi dal Sindacato, capaci veramente di difendere gli interessi particolari. Avrebbero ragione i secondi, se tali Organismi non esistessero o dimostrassero di essere incapaci di difendere gli interessi particolari. Siccome non esistono tali Organismi capaci, io sono con quelli della seconda posizione, i quali ritengono che l’azione del Sindacato non dovrebbe escludere nulla che possa giovare agli iscritti. Del resto, ormai, in ogni Sindacato non è più così netta la distinzione tra interessi generali e particolari o individuali. Il suo impegno maggiore dovrebbe senza dubbio essere per le piattaforme rivendicative di carattere generale, ma dovrebbe esistere anche per le istanze di carattere particolare. Tra l’altro, per gli iscritti, spesso alcuni problemi particolari sono più importanti o importanti nella stessa misura di quelli generali. (Un trasferimento: una migliore utilizzazione del lavoratore sul posto di lavoro; una pressione, perché una certa pratica legata al suo rapporto di lavoro venga sollecitata, evasa, ecc. ecc.).
Non intendo qui riferirmi all’opera svolta dai vari “patronati”, di derivazione sindacale, che si occupano di tutti i problemi degli iscritti in quanto cittadini, anche al di fuori della loro qualità di “lavoratori” (Tale attività può esulare da quella del Sindacato). Ma non può essere esclusa quella, nel nostro caso, che investe i problemi relativi alla persona nella sua qualità di “scrittore” e non di semplice cittadino.
La riforma, ad esempio, delle nonne del diritto di autore (problema di carattere generale) è importantissima, ma potrebbe avere poco senso per quell’autore, che non avesse risolto prima, a monte, il suo problema legato alla edizione del libro, alla sua distribuzione, alla sua pubblicizzazione, e alla sua vendita. Perciò il Sindacato non può restare estraneo a problemi apparentemente di carattere particolare, ma in realtà di carattere generale, perché investono gli interessi di tutti.
Cosa può fare il Sindacato per affrontare questi problemi? Poiché il lavoratore-scrittore non ha, e lo abbiamo detto, come i lavoratori dipendenti, l’arma dello sciopero, bisogna trovare altre forme incisive di pressione. E qui scendo nel concreto.
Il Sindacato deve sviluppare la sua opera di penetrazione in tutte le direzioni. Ed io penso ci sia da fare molto in questo senso. Molti ambienti, statali, parastatali, pubblici, in genere economici e non economici, hanno spazi notevoli di espansione per il Sindacato Scrittori, nell’interesse dei suoi iscritti. Mi spiego con un solo esempio che può valere, però, di indicazione per tantissimi esempi dello stesso genere. Il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali esplica molte attività direttamente connesse alla nostra qualità di scrittori:
– stampa molte riviste, anche se di contenuto specializzato, con la collaborazione, per gli articoli, di esperti anche esterni;
– acquista libri, direttamente dagli autori o dagli editori, per la distribuzione gratuita a biblioteche private di ogni genere (di sindacati, di scuole, di parrocchie, di organizzazioni culturali, di istituti di pena, ecc);
– acquista libri, per la distribuzione gratuita alle biblioteche non statali aperte al pubblico;
– acquista libri (anche se per il tramite delle stesse biblioteche) per le Biblioteche statali;
– finanzia le Edizioni Nazionali;
– eroga premi di cultura agli autori;
– sottoscrive abbonamenti per riviste da destinare a persone giuridiche, in ambito nazionale ed internazionale;
– acquista libri da destinare ad Istituti culturali esteri, nell’ambito degli scambi internazionali previsti dai trattati bilaterali di natura culturale;
– concede premi a riviste di elevato valore culturale;
– concede contributi per Convegni di natura culturale;
– concede premi per la esportazione del libro italiano all’estero;
– concede mutui agevolati all’editoria libraria (praticamente senza interessi);
– assegna, in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione, diplomi e medaglie al merito culturale.
Tutte queste attività sono gestite da Commissioni, formate da funzionari interni, da esperti esterni, con la partecipazione dei Sindacati di categoria. A me risulta che. in molte di queste Commissioni, è presente l’Associazione Italiana Editori. Non so se sia egualmente presente il nostro Sindacato Nazionale Scrittori,
nell’interesse ovviamente della cultura e dei propri iscritti. Se non è presente, e laddove non è presente, è necessario premere, a tutti i livelli, perché faccia parte anch’esso di tali Commissioni. Ciò vale per il Ministero dei Beni Culturali, come per tanti altri Ministeri e Enti Pubblici. Certamente il nostro Sindacato è presente in tanti Organismi, come ad esempio, nella Commissione che assegna i premi di cultura presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Deve cercare di essere presente dappertutto. Tante attività non si conoscono. Sono certo che molti di noi non conoscono quelle attività, o almeno non tutte, che ho nominato per il Ministero per i Beni Culturali, come la maggior parte non conosce attività similari svolte da tanti Organismi Pubblici, a livello nazionale e locale (Presidenza del Consiglio, Ministeri, Enti Pubblici, Istituti Culturali, Enti locali. ecc.).
Tutti questi organismi possono essere anche interessati a non avere troppe voci esterne nel loro seno e spontaneamente potrebbero preferire anche il silenzio sulla possibilità della presenza dei Sindacati delle categorie interessate. Tale atteggiamento è comprensibile, perché la presenza dei Sindacati limita il potere discrezionale, che può diventare arbitrario, della Pubblica Amministrazione. Sono i Sindacati esclusi che devono prendere l’iniziativa, sia per conoscere in maniera capillare le attività culturali svolte a tutti i livelli ed in ogni zona, sia per ottenere la loro partecipazione responsabile alle scelte culturali.
Io suggerirei che, sia a livello nazionale che locale (regione, provincia, comune) vengano istituite, nell’ambito sindacale, commissioni permanenti (formate da iscritti che rivestano cariche sindacali, come da iscritti esperti o inseriti nei vari ambienti esterni) che studino il problema della partecipazione del Sindacato ai vari Organismi esterni e propongano agli Organi Sindacali responsabili le soluzioni da adottare di volta in volta.
Tali commissioni permanenti potrebbero occuparsi anche dello studio e delle proposte di soluzione anche di tutti gli altri problemi che interessano gli scrittori (il rapporto con le Case editrici per la pubblicazione dei libri, la distribuzione del libro. la vendita del libro, il rapporto con le librerie, l’opera di pubblicizzazione del libro stesso, ecc.).
Sono note a tutti le difficoltà che incontra la soluzione di questi problemi. Le case editrici, la distribuzione, la vendita, la pubblicizzazione del libro rappresentano altrettanti ostacoli spesso insormontabili, che vanificano ogni nostro sforzo. Le leggi del mercato e del profitto mortificano spesso le nostre aspettative e ci trasformano in semplici oggetti di sfruttamento. quando va bene. Perché spesso, neppure dopo che siamo stati sfruttati, riusciamo ad avere la gioia di qualche successo, perché gli altri hanno deciso così: gli editori, i distributori, i venditori. Tutti, tranne noi, fanno il bello e il cattivo tempo: stampano i libri che vogliono, distribuiscono i libri che vogliono, vendono i libri che vogliono. in base a criteri discutibili, discriminanti, che di tutto tengono conto, tranne, nella maggioranza dei casi, del contenuto valido del libro. Siamo, nella politica del libro e della cultura, ai primordi dello sviluppo civile e storico, alla fase, direi, ancora di servitù della gleba, di feudalesimo il più retrivo. E non abbiamo la possibilità di reagire come gli altri lavoratori, al nostro, diciamo così, datore di lavoro, in senso ironico quasi e improprio, rappresentato, per noi, dall’editore, dal distIibutore, dal venditore.
Dobbiamo perciò rassegnarci al ruolo di vittime, senza possibilità di scampo? Io dico di no.
Ogni situazione, anche la più grave con l’in1pegno e la buona volontà, può trovare una via d’uscita.
Non potrebbe il Sindacato tentare di fare delle convenzioni, degli accordi, per i propri iscritti, con gli editori, con i distributori, con i venditori? E al limite, se ogni tentativo risultasse vano, non potrebbe il Sindacato affiancandosi a strutture solide già esistenti, ipotizzare la creazione di una propria casa editrice, di una propria rete di distribuzione, di proprie librerie, almeno nelle grandi città, con la partecipazione finanziaria e operativa dei propri iscritti? Indubbiamente sono problemi di enormi proporzioni che vanno esaminati a fondo, senza ingenuità, con senso di equilibrio e di realismo. Ma devono essere affrontati, pena il fallimento di tutta l’opera del Sindacato, che risulterebbe, diversamente, sterile. Senza dubbio, prima di arrivare a proprie strutture industriali, produttive, commerciali, bisogna tentarle tutte: nelle tesi preparatorie del precedente Congresso, si insisteva sulla iniziativa di cooperative di secondo grado.
Non ricordo bene come fossero strutturate, ma mi pare rientrassero nello spirito di ciò che sto dicendo io.
Nelle tesi si accennava anche ad un’altra idea interessante sull’intervento della mano pubblica nel settore dell’editoria, fino alla conseguenza più globale: alla istituzione di un Ente pubblico che gestisca in proprio l’attività culturale e, in senso stretto, quella concernente il libro nel suo iter completo: pubblicazione. distIibuzione, vendita, pubblicizzazione e promozione. Un Ente Pubblico, naturalmente, dove sia prevalente la presenza delle categorie interessate, compreso il nostro Sindacato.
Solo una struttura pubblica di questo genere potrebbe fare da contrappeso all’attuale prepotere del monopolio privato, a favore proprio di quegli autori che l’attuale sistema emargina o distrugge completamente. Si è fatto qualcosa in questa direzione?
Tutto è molto difficile, ma bisogna tentare tutto.
Si è fatto qualcosa sul contenuto di altre tesi dello stesso Congresso: Ristrutturazione ed efficienza dell’ENAP – abolizione della legge Bacchelli per interventi più radicali e definitivi – presenza degli autori nello staff dirigenziale delle case editrici – rapporti con gli altri Sindacati – attività vertenziale in difesa del contratto dell’autore in seno all’OLAF-SIAE percentuale del diritto d’autore degli scrittori decedudi da oltre un cinquantennio a favore degli scrittori viventi – penetrazione dell’oggetto libro nei supermercati e nei negozi di altro genere, ecc.
Un’altra cosa io ritengo molto importante: è una questione un po’ delicata, che va esaminata con attenzione, ma potrebbe anch’essa dare i suoi frutti. Sviluppare una maggiore conoscenza reciproca tra gli iscritti. A questo punto gli scopi di un sindacato si fondono con quelli di una Associazione e si integrano.
Rispettando la libertà di ciascuno. potrebbero essere messi a disposizione degli iscritti quei dati che i soci ritenessero di far conoscere spontaneamente, sulla posizione, che essi occupano nella società (case Editrici, Ministeri, Organismi pubblici e privati, nazionali e locali), perché tutti possano sapere, possano scambiarsi le esperienze, possano fornire quelle notizie e quelle conoscenze utili agli altri, in un clima di fraterna, serena, mutua solidarietà, senza pretese assurde.
Sarebbe un male, ad esempio, che tutti conoscessimo l’intera opera dei colleghi scrittori, per dare una mano quando è possibile, per fare, anche se in piccolo, opera di propaganda quando capita l’occasione? Sarebbe un male, se il Sindacato potesse rivolgersi con fiducia a quelli di noi inseriti nelle strutture pubbliche e private e che potrebbero facilitare la partecipazione del Sindacato alle Commissioni di cui parlavo prima? Sarebbe un male, se la conoscenza della nostra posizione sociale potesse rappresentare un punto di riferimento, per il
Sindacato e per gli iscritti, per la conoscenza di quelle iniziative culturali esistenti ai vari livelli e che spesso ignoriamo, per la utilizzazione, almeno, delle provvidenze esistenti che non conosciamo, per una più facile presa di contatto con tutti quegli Organismi pubblici e privati che interessano la nostra attività di scrittori?
Io non ritengo che sia un male. Sono anche convinto che ciascuno di noi utilizzerebbe con discrezione e senso della misura ogni possibilità di solidarietà umana. Ma anche se non fosse. chi impedirebbe a ciascuno di noi di dire con sincerità e senza risentimento al collega troppo pressante: “abbi pazienza, stai esagerando”?
Io sono convinto che gli aspetti positivi di questa iniziativa siano più numerosi di quelli negativi e che ogni azione umana comporti sempre qualche rischio, al quale, se vogliamo agire, non possiamo sottrarci.
Forse sto abusando della vostra pazienza. Vorrei terminare con due parole soltanto sulla organizzazione del Sindacato. Data la molteplicità e la complessità dei compiti che il Sindacato è chiamato a svolgere, se non vuole fare solo opera di vuota accademia. deve rafforzare, è la mia impressione, le sue strutture a livello centrale e periferico.
Ritengo che il Sindacato debba disporre di maggiori mezzi finanziari: che le persone investite di certe cariche, richiedenti notevole disponibilità siano adeguatamente retribuite. Non so cosa accada attualmente in proposito: che la rivista Produzione e Cultura venga potenziata per periodicità e contenuti, con la inclusione anche di una rubrica destinata alla divulgazione dell’opera degli scrittori soci; che vengano istituite commissioni permanenti. come detto prima. per l’approfondimento pratico dei problemi e per la indicazione delle soluzioni opportune; che a livello di segreteria nazionale. regionale e provinciale. funzioni un centro di raccolta di dati e notizie che interessano gli scrittori; di dati e notizie che riguardino l’opera degli iscritti; una specie di anagrafe generale di tutto ciò che può interessare; che in ogni struttura pubblica e privata, dove lavora qualche iscritto, venga nominato un rappresentante del Sindacato, che faccia da tratto di unione, da organo di tutela degli interessi degli scrittori soci che lavorino nello stesso ambiente e di tutela di quelli che non lavorino negli stessi ambienti, ma che potrebbero partecipare alle iniziative culturali promosse dalle stesse strutture.
Se non insistiamo di più sui problemi concreti come questi e su altri ancora che potrebbero venir fuori, rischiamo di fare opera, come detto innanzi, di inutile accademia.
Giovanni Salucci
*. In vista del Congresso del Sindacato Nazionale Scrittori, si stanno tenendo in tutta Italia riunioni e assemblee. Riteniamo mollo utile. per le sue indicazioni concrete, l’intervento effettuato dal pro] Giovarmi Salucci alla riunione tenuta presso la sezione del Lazio il 15-2-1991.
1) alcuni ritengono che esso debba limitarsi al sindacalismo puro; alla difesa, cioè, degli interessi generali degli iscritti, per demandare ad Organismi diversi dal Sindacato, a specifiche associazioni, il compito di occuparsi di interessi particolari, individuali;
2) alcuni invece ritengono che il Sindacato debba preoccuparsi sia della difesa degli interessi generali che di quella degli interessi particolari e individuali.
Da “Spiragli”, anno III, n.1, 1991, pagg. 45-51