C. MESSINA, SOLIDITAS, PALERMO-SAO PAUW, 1999, PAGG. 116.

Un libro di poesie è sempre accetto, specie se l’autore è un nome noto che è stato seguito passo passo nell’evolversi della sua opera di letterato, storico e narratore. 

Ma Calogero Messina con questo suo nuovo libro non s’improvvisa poeta dall’oggi al domani. Messina è un poeta che ad un certo punto della sua esperienza di vita e di arte ha preferito far macerare a lungo le sue creature quasi per caricarle di maggiore pregnanza. Ed ecco perché, dopo più di un decennio di silenzio poetico (le prime sue composizioni antologizzate in Motivi del nostro tempo risalgono al 1978), viene allo scoperto proprio ora con Soliditas, un libro dettato da esperienze di vita e di cultura, ricco di emozioni e di incontri, quali possono essere dati dalla vista di una donna o di un paesaggio o, ancora, dal silenzio notturno che avvolge uomini e cose, mentre un treno avanza sbuffando nella notte. 

Il bello di questa poesia è che a distanza di tempo segna un continuum con l’altra anzitempo pubblicata, sia per il suo andare prosastico con il ricorso alle figure retoriche, sia per l’ispirazione sempre pronta a cogliere le intime esigenze dell’anima e a tradurre in sentimenti nobilissimi i palpiti della vita. Esempio, Quando mi nasce un libro, oppure A Lorenzo Panepinto, l’uno e l’altro componimenti abbastanza sentiti che rivelano l’uomo e il poeta con le sue aspirazioni e la fiducia in una ritrovata umanità più sana e più giusta. 

Da “Spiragli”, anno XIV, n.1, 1999 – 2002, pag. 60.




C. Messina, Jordanus non est conversus retrorsum, Roma, E.I.L.E.S., pagg. 170.

 C. Messina con questo suo lavoro rende omaggio all’illustre suo concittadino, San Giordano da Santo Stefano, ripercorrendo le tappe della vita fino al martirio, restituendoci l’uomo, con la sua bontà e carità, e il santo, con la sua dedizione a Dio e agli uomini, per i quali non risparmiò fatiche e sofferenze. 

Nello stile che gli è proprio, l’Autore consolida le sue qualità di scrittore e s’afferma ancora di più nel vasto panorama della letteratura italiana del nostro tempo. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno IX, n.2, 1997, pag. 61.




C’è in questa poesia, da parte del suo autore, il volere affidare alla pagina scritta la sua interiorità, che è amore di Dio e degli altri, un guardare nel proprio intimo e un volgere al tempo stesso lo sguardo a tutto ciò che lo circonda. 

Masia trae ispirazione dal sacro e dal profano, un binomio che ha la sua ragion d’essere nel bisogno di amore (“Amore/sfiora le mie labbra./Ho sete di te.”) tanto sofferto e sentito. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno IX, n.2, 1997, pag. 61




ANTONIO LICARI, Giovani di 300 anni fa e d’oggi, Club Unesco, Marsala, 2007.

Le distanze tra i giovani e gli adulti, come quelle tra padri e figli, sono state sempre incolmabili e così sarà, fin quando non prevarrà la piena consapevolezza di agire nel rispetto dell’uomo, sia pure un giovane. Il prepotere che gli adulti esercitano sui giovani, il servirsene per i propri esclusivi interessi, senza considerare bisogni né esigenze altrui, l’escluderli, senza peraltro rinunciare al loro sfruttamento, il decidere su ciò che riguarda loro spesso senza consultarli, sono motivi di continui attriti e di astio senza fine. 

Il saggio di Antonio Licari, medico, interessato ai problemi dell’adolescenza e scrittore, attivo e impegnato nella ricerca, mette a confronto i giovani di 300 anni fa che, magari, abitavano la splendida e ricca Mozia e quelli di oggi, facendoci notare come i giovani soffrano e come, anche nel silenzio, rinchiudendosi in sé, rigettino le decisioni degli adulti prese senza averli consultati, arroganti e spesso prepotenti. 

«La presa di coscienza che l’adolescente è una persona a tutti gli effetti», scrive A. Licari, «con peculiarità specifiche, può aiutare la nostra società ad evitare conflitti fra giovani e adulti (ne parlava già Platone), a ridurre le morti di tanti giovani d’oggi che, come al tempo dei Fenici, per una sorta di analogia psicodinamica, vengono sacrificati sull’altare di Moloch.» 

L’analisi condotta da Antonio Licari è corredata da pezze d’appoggio di carattere 

storico e scientifico convincenti. Ci riferiamo alla proiezione guidata dei simboli e ai casi clinici riportati: sia nella prima ricerca effettuata tra gli studenti di un liceo che nei casi clinici, i cui attori sono giovani, emerge il bisogno di dare un senso alla esistenza che non sia condizionato dagli altri, il volere operare veramente in un mondo libero da prevaricazioni in cui giochino un ruolo primario i sentimenti, al di là degli interessi che alzano steccati e tendono ad emarginare e a sottomettere. 

I giovani cercano certezze e fiducia per cooperare e realizzarsi, in poche parole, vogliono essere considerati alla pari e avere uno spazio per potere gestire al meglio la loro vita. «Essi cercano», scrive a conclusione Licari, «comprensione, affetto, speranza; verità rispetto all’ignoto, bellezza di fronte al degrado, libertà di fronte alla schiavitù, in un periodo della vita in cui si rivelano il mistero dell’esistenza e la caducità.» 

Un discorso convincente che è auspicabile arrivi ai giovani e agli adulti, perché se ne facciano carico e da ambo le parti con responsabilità si adoperino per un mondo più giusto e più buono, dove ogni individuo possa realizzarsi e dire in libertà e nella pienezza di sé sì alla vita. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XX n.2, 2008, pagg. 59-60.




 Antologia de Los poetas del 27 ( a cura di J. L. Cano), Madrid, Espasa-Calpe, 1988. 

Chi vuole avvicinarsi alla splendida stagione dei poeti spagnoli del ’27, può farlo con questo libro tascabile della Colección Austral della Espasa-Calpe, curato da José Luis Cano. 

Nella sua ampia Introducción, Cano, sostenendo le posizioni di Guillermo di Torre e di Damaso Alonso, parla di una generación de poetas, rigettando la tesi di Jorge Guillén e di altri, secondo cui dovrebbe meglio parlarsi di «un grupo de amigos». 

Singolarmente passa, poi, in rassegna i poeti di questa generazione (F. Villalon, P. Solinas, J. Guillén, G. Diego, V. Aleixandre, F. Garda Lorca, Damaso Alonso, E. Prados, L. Cernuda, R. Alberti, J. M. Hinojosa, M. Altolaguirre), evidenziando l’impegno umano e civile e l’attaccamento agli ideali di libertà e di vita democratica’ per i quali alcuni affrontarono la morte, altri il confino, le umiliazioni e la censura. 

La scelta antologica è preceduta da una bibliografia generale ed ogni autore da una breve notizia biografica e una bibliografia essenziale.

Da “Spiragli”, anno I, n.2, 1989, pag. 46.




Anna Vinci, La Terra senza (dramma in due atti), Palermo – Roma, Ila-Palma, 2010.

Una realtà tutta meridionale 

Cosa c’è di strano nell’abbandonare il luogo natìo per andare altrove, in una grande città o in uno sperduto paesetto di montagna? Niente – mi si risponde -, abituati, come si è al giorno d’oggi, a spostarsi da un capo all’altro dell’Italia o del mondo alla ricerca di un posto sicuro per lavorare e vivere. Più che strano, brutto è invece, lasciare il proprio paese per l’aria insopportabile che vi si respira, a causa della delinquenza organizzata che tutto soffoca e opprime. Non ci sono alternative, o adeguarvisi, e vedere e accettare l’illegalità imperante, o andarsene, perché la debolezza dello Stato rende deboli e impotenti i cittadini, costretti a far silenzio per non subire. 

Ludovico de La Terra senza di A. Vinci, dramma in due atti pubblicato da Ila-Palma, è dovuto andarsene dal suo paese perché non aveva avuto altra scappatoia, e lui non aveva voluto accettare una realtà così avvilente quale quella dei mafiosi che impongono il silenzio con l’arroganza e la forza delle armi. Non era per lui e non vi si riconosceva, dopo che il padre, per essersi ribellato, era stato malvisto dai paesani e considerato un pazzo, costretto a vivere in casa, e il suo amico migliore, Antonio il cantastorie, ucciso proprio per aver denunciato col canto uomini e misfatti nella pubblica piazza. Che vita sarebbe stata la sua, quali aspettative gli avrebbe potuto riservare un luogo che aveva fatto svanire le illusioni e le speranze della sua gioventù Una terra senza pace cosa avrebbe potuto offrirgli, se non di diventare come i peggiori dei disonesti? 

Anna Vinci ha saputo calarsi con questo dramma nella realtà meridionale e siciliana, rimasta invariata fino agli ultimi decenni del secolo scorso. Non che ora sia cambiata, ma non c’è più quell’omertà che condizionava persino l’aria da respirare. In ogni caso, è un dramma ben riuscito, perché vero che trova linfa in quella realtà ma il suo sviluppo è nei personaggi, anzi in essi esplode e si realizza. 

Anche questi sono ben riusciti, e lo è Ludovico che, ritornato dopo tanti anni, quasi pronto a ripartire, una volta venduta la casa paterna, ha difficoltà ad accettare quella realtà e a riconoscervisi, tanto da venire in contrasto con Rosa, la sorellastra, che aveva atteso e desiderato la sua venuta; e quando gli chiede se è stanco, risponderà che più del viaggio è il ritorno a stancarlo. Lei, invece, accetta il passato nel ricordo dei giorni belli e fa di tutto per vivere il presente, anche se dentro le mura domestiche, perché sa bene che la gente è stata cattiva con tutti loro. Perciò si sforza di non pensarci, corroborata dalla fede che la sostiene nella solitudine e dall’affetto, anzi dall’amore che riversa sul figlio e su Ludovico. Con l’arrivo di Ludovico, atteso da chissà quanto, Rosa sperava di ricomporre in piccolo la famiglia. Ma il ritorno pesa come un macigno sulla testa di Ludovico a cui di tanto in tanto gli manca l’aria e ha fatica a respirare. 

Il dramma si gioca soprattutto tra questi due personaggi. Giacomo, il figlio di Rosa, fa la sua comparsa alla fine del primo atto e rimane in scena per buona parte del secondo. È come dice Ludovico, un “disincantato”. In effetti, egli rappresenta il nuovo, e il passato non lo conosce; non riesce a calarsi nello stato d’animo di Ludovico e nemmeno condivide quello della madre che pure vuole bene. 

L’ambiente, che è uno studio, permette di seguire da vicino ciò che si svolge attorno, mentre dal sottoscala alcune voci di donne s’intercalano alle scene. Molto interessanti e utili sono le didascalie che aiutano nella lettura e nella comprensione del testo, e quelle dell’inizio sono un’ottima introduzione al dramma. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XXII, n.1, 2010, pagg. 62-63.




A.V. Stallone – G. Accordo, G. Pantaleo, estratto da «Annali 2005-2006» dell’I.S.I.S. di Castelvetrano-Selinunte.

Un eroe siciliano dimenticato delle battaglie risorgimentali 

Giovanni Pantaleo (Castelvetrano 1831 – Roma 1879), nobile figura di uomo, di frate e di intellettuale, fu tra quelli che parteciparono, con senso di abnegazione 

e per il bene della Sicilia, al moto insurrezionale garibaldino che portò all’unificazione dell’Italia. Insieme con tanti altri (mentre la grande massa di picciotti non ebbe altra alternativa che seguire Garibaldi, perché – dietro preventivi accordi – quella era la volontà di baroni e mafiosi), fra’ Pantaleo sperò, abbattuto il Borbone, un riscatto che avrebbe portato migliorie socio-economiche dei ceti più umili e per questo lottò, brandendo la spada, senza abbandonare il Crocifisso. Fu un valido combattente e un convincente predicatore di sani valori e di principi liberali e solo all’ultimo, l’Italia unita, si rese conto che erano cambiati i sovrani ma erano rimaste immutate le realtà socio-politiche della Sicilia e di altre regioni, con un inasprimento della presenza militare, a causa delle proteste e delle rivolte sopravvenute. 

E tutto ciò perché non erano state mantenute le promesse. E la rivoluzione apparve agli occhi della moltitudine tradita. 

Se questa è la storia, che spesso viene sottaciuta per spirito patrio (ai Siciliani non so fino a che punto torni utile), è pure vero che uomini come fra’ Giovanni diedero e sacrificarono la vita per quello che allora era sembrato la soluzione dei tanti problemi. Per questo vanno ricordati e onorati uomini come Pantaleo, perché possano essere di spinta per il bene comune, che è la terra a cui apparteniamo. 

Lo scritto di Anna Vania Stallone e Giuseppina Accordo è meritorio e degno della massima diffusione specie tra i giovani, perché nel ricordo si perpetui la memoria di quanti patirono il carcere o morirono, e ci si adoperi sul loro esempio per una Sicilia riscattata, centro e non periferia, aperta e in competizione con i popoli vicini. Questo lavoro, frutto di un progetto scolastico veramente formativo (malgrado tanti progetti poco educativi. ma lucrativi, che una scuola seria non dovrebbe avallare), consta, a parte l’introduzione del preside Francesco Fiordaliso, di quattro capitoli che ripercorrono la vita e le opere di Giovanni Pantaleo, di un’appendice di lettere e documenti, e di due note delle curatrici. Abbastanza ricca è la bibliografia riportata, un valido aiuto per gli studiosi. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XVIII, n.1, 2006, pagg. 53-54.




 A Tararà, professionalità magistrale come progetto educativo, Marsala, Ed. La Siciliana. 

Un’opera certamente utile per quanti operano nel mondo della scuola elementare e materna e per chi si accinge a sostenere un concorso magistrale,. questa di A Tararà. 

Suddiviso in 10 capp., il libro presenta la figura del nuovo «maestro» nel contesto sociale, soffermandosi sulla necessità di professionalità, di cui oggi, più che mal, il docente ha bisogno per’ svolgere la sua azione didattico-educativa. Importanti sotto questo aspetto sono i capitoli: «Il maestro nella società italiana», «Professionalità e deprofessionalizzazione: assenteismo e presenza educativa»,«Verso il futuro». 

L’autore, esaminando i mali che affliggono la scuola, auspica ai docenti maggiore senso di responsabilità e attaccamento al dovere, senza i quali sarebbe assurdo, appunto, parlare di «professionalità magistrale». 

Il libro è ricchissimo di citazioni e annotazioni bibliografiche e, per questo, si presta bene all’aggiornamento di quei maestri che vogliono puntualmente documentarsi sullo sviluppo dell’azione educativa di questi ultimi anni. 

Ugo Carruba 

Da “Spiragli”, anno II, n.1, 1990, pag.74.




Dal poemetto inedito

«Panormus» di David Andrew Carrigan IL «GENIO» DI PALERMO in oblivionem Patriae Saintly eyes cast towards heaven, crown askew and beard tangled your faithful dog not here to save you only the benediction of water (the water that saves me too). O once beheaded Genius your pain so evident with that fat, coiled serpent clutched close to your breast biting deep; another Laocoon venom coursing in your now marbled blood all in full view of a sympathetic but disinterested public. Gli occhi ascetici rivolti al cielo, la corona storta e la barba aggrovigliata il tuo cane fedele non è qui a salvarti soltanto la benedizione dell ‘ acqua (l’acqua che salva anche me). O Genio dalla testa un giorno violata il tuo dolore così acceso con quel grosso serpente che si avvolge e ti si avvinghia al petto in un morso profondo; un altro Laocoonte nel tuo sangue ora di marmo sta scorrendo veleno per lo spettacolo di un indulgente ma disattento pubblico. Il wash my transgressions, not only my face The sacrifice you make in a city full of martyrs; wrong prices, domestic injustices, defiling corruption mother, brother, sorella, padre, zio blind justice is the sister to blind fortune. Each and everyone has paid before some never finishing, others only beginning a cycle without an end. By this means they are combined here is labor, and there is rest. lo lavo le mie trasgressioni, non solo la faccia Il tuo sacrificio in una città di martiri; prezzi sbagliati, ingiustizie domestiche, corruzione profanatrice madre, fratello, sorella, padre, zio giustizia cieca è sorella di cieca fortuna. Uno e tutti abbiamo pagato prima alcuni mai finendo, altri soltanto cominciando un ciclo senza una fine . In questo modo si combinano qui il lavoro, là il riposo. Pubblichiamo due «stanze» del poemetto inedito Panormus di David Andrew Carrigan, articolato in venti stanze e ispirato alla città da cui prende il titolo, città che il poeta ha scelto come tappa metaforica e, insieme, viva e mediterranea di un esilio volontario dalla sua terra d’origine, la Nuova Zelanda. La prima stanza è dedicata alla fontana del «Genio di Palermo», sita nella storica piazza Rivoluzione. (M.P.A.) NIψON ANOMHMATA MH MONAN OψIN Traduzione italiana di Maria Paola Altese da “Spiragli”, 2008, n. 2 – Antologia 




Per Aluysio Mendonça Sampaio 

di Caio Porfirio Carneiro 

La sera dell’11 aprile scorso, la nostra amica scrittrice Maria de Lourdes Alba ci ha dato da Sào Paulo per fax la triste notizia della fine di Aluysio Mendonça Sampaio, direttore della rivista «Literatura Brasileira». 

Alla sua memoria dedichiamo questo breve profilo, allestito per noi da Caio Porfirio Carneiro, segretario dell’Unione Brasiliana Scrittori pualista, esprimendo insieme il nostro cordoglio alla signora Esther Cremaschi, che con Aluysio condivise la vita familiare e il lavoro giornalistico. E salutiamo l’amico scomparso con i suoi stessi versi, qui posti in epigrafe: un significativo haical sul senso della vita, pubblicato nella penultima pagina di «Spiragli» /2007. 

Naviga la mia nave solitudini 
nel mare senza fine 
verso orizzonti che non hanno approdi. 

A.M.S. 

L’11 aprile abbiamo perduto Aluysio Mendonça Sampaio, uno dei nomi eminenti del Sergipe, dove era nato; della Bahia, dove studiò e si laureò in giurisprudenza; di Sao Paulo, dove lavorò e mise su famiglia; del Brasile intero, per l’orma che ora lascia nel campo delle lettere, del diritto, della cultura in generale, e pure delle arti figurative. 

La mia amicizia con Aluysio veniva dagli inizi degli anni ’60, quando lui cominciò a frequentare l’U.B.E., coprendovi cariche direttive e lavorando con impegno. 

Fu uomo semplice, di-cultura vasta e convincente, dal campo giuridico al filosofico, dal sociologico allo storico, all’artistico-letterario. Fermo nelle sue idee e nei principi, pur senza fame proselitismo, aperto com’era a qualunque discussione, non assumeva arie dottorali. Amava pure gli scambi di battute allegre e le girandole aneddotiche, ma senza spirito bohémien, disciplinato com’era nei suoi doveri e nelle espressioni di vita. 

Uomo attivo e innovatore, instancabile studioso, era soprattutto un artista, nel senso ampio della parola. Faceva tutto con serietà e determinazione, con un tocco d’arte e con un pizzico di dolore sul piano creativo. Iniziò nella magistratura del lavoro nel 1957, sino alla quiescenza nel 1991, col grado di giudice togato del Tribunale regionale. Autore di alcuni saggi giuridici, fondò e diresse per dieci anni la «Rivista di diritto del lavoro» (Editora Revista dos Tribunais), in campo letterario scrisse poesie, racconti, romanzi e memoriali. Il suo libro Os anonimos meritò il prestigioso premio «Afonso Arinos» dell’ Academia Brasileira de Letras (Rio de Janeiro). La sua scrittura, accurata ed eccellente anche in chiave critica, spicca in alcuni titoli: Senhores e escravos, A escravidiio do indigena no Brasil, in materia storica; Jorge Amado, o romancista, uno degli studi più completi sul grande scrittore nazionale; Noite azul, poesia (che ebbe come editori due poeti: Clovis Moura e Wolney Milhomem). 

Merita anche attenzione la prova di Aluysio nelle arti figurative, suo hobby preferito, cui seppe dare forme in pregevoli quadri e disegni , che sono stati apprezzati in varie esposizioni. 

Andato in quiescenza dal lavoro professionale, fondò la rivista «Literatura Brasileira», in cui cercò di mettere in luce le nuove espressioni della poesia e della narrativa brasiliana, regione per regione, lavoro poco agevole e molto impegnativo che ha permesso alla rivista di imporsi sul piano nazionale. 

A questo impegno ho collaborato con amore, ed è stato un attento lavoro di indagine, rilevamento e mappatura della produzione letteraria, creativa o critica, non esclusa la ricerca di tanti lavori, per così dire, archiviati o riposti nei cassetti senza aver visto la luce. Lavori poi trasformati in due antologie corpose e di rilievo nazionale. 

Come autore e come operatore culturale, Aluysio Mendonça Sampaio fu anche valido traduttore dall’ inglese. Ricordiamo in particolare O Corvo, la sua versione del poema universale The Raven di Edgar Allan Poe, cui l’avevano motivato certe imprecisioni nelle varie traduzioni esistenti. 

Nato ad Aracaju il29 settembre 1926, fu attivo nel lavoro letterario sino alla fine. Il suo ultimo libro, Luomo col sigaro, del 2007, è una scelta di racconti che avevano superato il vaglio di critici letterari come Tristao de Athayde. 

Lascia la moglie Esther Cremaschi e quattro figli e nipoti. 

Un abbraccio, Aluysio. Tu non te ne sei andato. Sei rimasto e rimarrai con noi. 

Porfirio Caio Carneiro

Da “Spiragli”, anno XX n.1, 2008, pag. 53-54.