Un sogno d’amore

A. Cremona, Sogno d’Aldonza, Siracusa, Edizioni dell’Ariete, 1989, pagg. 77, L. 10.000. 

Non è facile imbattersi in un libro così agile come questo Sogno d’Aldonza di A. Cremona, agrigentino, alla sua prima esperienza di «teatro in musica», ma con un solido retroterra culturale e artistico. Basta solo ricordare la sua militanza nel campo della poesia (Occhi antichi, 1957, L’odore della poesia, 1980, per citare alcuni dei titoli più importanti) per renderci conto come questo lavoro sia «teatro di poesia» o, meglio, teatro dettato dall’animo sensibilissimo di un poeta di tutto rispetto. 

Partendo da un fatto realmente accaduto in Val di Noto,nella Sicilia orientale, Cremona ci dà una prova di scavo psicologico e di grande umanità, perché alla base della vicenda pone il sogno d’amore di Aldonza Santapau, bella nobildonna innamorata del marito, Antonio Piero Barresi, barone di Militello in Val di Catania. 

L’azione, con struttura circolare, si svolge in due tempi. Oltre ai protagonisti, come personaggi, troviamo un Mimo, alcune Voci e delle Donne. Nel primo tempo, come se la tragedia si fosse consumata, la condanna e poi la commutazione della pena di Barresi, mentre Aldonza, inizialmente incoraggiata dalle donne, si prepara ad un duetto che, se a prima vista può sembrare un canto d’amore, ha in sé oscuri presagi. 

Aldonza «Mi parli, nel vento, la tua voce. La brezza sparge ossute spine, lungo il sipario degli ontàni… 

Barresi In ciclo rocca – dove uomini-nibbi si scavano nidi – infrange il sole, nuvole, nel vento» (pag. 41). 

Ma ai sogni di Aldonza, tutti rivolti al marito, s’intrecciano altri sogni, si sciolgono e s’intrecciano per giungere all’epilogo. L’idillio dei due è minato dalla malvagità propria degli uomini che non finiscono di tramare oscuri complotti. Nel secondo tempo, dopo un crescendo sempre più marcato, l’entrata in scena e l’annuncio del Segreto, poi la furia punitrice di Barresi, accecato da una folle gelosia che lo rode. A predominare e ad imporsi non è Antonio Barresi, ma Pietro Caruso, il Segreto, che rivela una forte personalità, tanto coraggio e un amore sofferto, nascosto sino allora nel profondo del suo intimo. 

«Segreto – (con i polsi legati) Qualunque cosa vi dica, il mio destino è fatto; l’avete composto voi, con la vostra ira. Così, voi – che potete tutto – vi trovate in mio potere. Credete di avere scolpito meglio il mio destino – la mia fine – con la vostra ira; ma proprio la vostra ira – contemporaneamente, insieme – vi devia il destino: l’affida a me, alla risposta che mi chiedete, e siete voi stesso a chiederla. A determinarla, in modo che vi ferisca; che a sua volta, vi uccida. Più misero di me vi vedo, potentissimo signore. La verità (scandisce) che non vi ho offeso. Ma – a questo punto – se lo avessi fatto, come – voi – volete credere, con acuminata ostinatezza: qui vi dico, tra le fustigazioni brucianti – e la ruota che taglia l’anima – e le vostre tenaglie, tremende, in punto di morte vi dico – se l’avessi fatto – l’unica cosa sensata sarebbe tornare a farlo» (pag. 71). 

Sergio Campailla, nell’Introduzione, ha bene identificato nel Segreto Cremona stesso che non può non dire la sua a difesa di questa giovane, attratto, appunto, dai sentimenti profondi che ancora la legano, nonostante tutto, al marito. 

Questo di Cremona è un amore nell’amore, un sentimento forzatamente 

represso per paura di offendere lei, Aldonza Santapau, nella bellezza e nel suo sentire. 

Teatro di poesia, si è detto. Ed è, questa, un’opera di alta poesia, profondamente vissuta e sofferta, meditata in ogni parola, in ogni scansione, nel ritmo sapientemente dosato e orchestrato con rara efficacia e tanta abilità. 

Ugo Carruba 

Da “Spiragli”, anno II, n.2, 1990, pagg. 44-45.




Sicilia: mito e realtà a Trapani 

Dopo la grande e riuscitissima mostra Ori e argenti di Sicilia di un anno fa, Trapani, sempre a cura dell’Amministrazione provinciale, ospita un’altra grande manifestazione artistica che ha per titolo: Sicilia: Mito e Realtà. 

Si tratta di un’antologica di artisti siciliani che per affermare la loro arte, dalla fine dell’Ottocento ad oggi, hanno tentato la via del Continente, portando dentro di sé (e manifestandolo nelle opere) l’amore per la loro terra a cui sempre sono rimasti legati. 

Questa mostra è un’operazione culturale di grande respiro, se si considera che accoglie una cinquantina di artisti, la maggior parte dei quali solidamente affermati anche a livello internazionale. Ed è importante, perché porta a conoscenza del grande pubblico, in un quadro d’insieme, il lavoro silenzioso di questi artisti che, seppure lontani dalla Sicilia per esigenze di vita o, meglio, per potenziare di più la loro arte, hanno diffuso nel mondo un’immagine dell’Isola diversa da quella che di solito alcuni mass-media presentano. E il loro imporsi nel regno dell’arte acquista così una valenza culturale enorme, perché contribuisce a vedere nella Sicilia la terra di colore e di luce, quale effettivamente è, fatta di laboriosità, intrisa di accanimento, di fatiche mal ricompensate, di desideri inappagati. 

Così la mostra del museo Pepoli vuole essere, innanzitutto, un gesto di riconoscenza e di gratitudine verso questi artisti siciliani più o meno noti, e vuole anche dare una paronamica del loro percorso artistico sviluppatosi in un più ampio contesto, ricco di fermenti e ancor più, arricchito dei nuovi apporti che a lungo andare lo condizioneranno. E basta scorrere la lunga lista dei pittori presenti alla mostra per rendercene conto. A cominciare dai primi o, per meglio dire, sin da quelli che dalla fine dell’Ottocento in poi hanno tentato altri approdi per arricchire la loro arte e concrettizzarsi, perché – come è stato bene sottolineato da altri – è difficile volerli tutti enumerare: in ogni tempo e in ogni luogo troviamo sempre artisti (pittori o scrittori che siano) siciliani e meridionali in genere che, imponendosi, hanno detto la loro nel campo dell’arte. 

Uno di questi (ma ce ne sono altri che con la loro presenza in questa mostra arricchiscono il quadro: Catti, De Francisco, Minosi, Lojacono, Panebianco) che a cavallo tra Otto e Novecento ha portato altrove la solarità mediterranea propria della sua terra è l’Anonimo Letojanni, su cui particolarmente si è portati a fermare l’attenzione. Il mare aperto è visto tra la realtà e il sogno: il mare reale popolato di barche e di uomini intenti al lavoro, e quello che il pittore si porta dentro, fantastico, ricco di vegetazioni e di colori, che solo chi il mare ha nel sangue può dipingere. E quello che attrae è proprio la gradazione di colori che, poi, sono i colori dell’Isola, ora densi ora sfumati, ma sempre traboccanti di luce o, meglio, di una luminosità che, placando i sensi, fa riposare l’anima. 

Questa di Trapani è una mostra che bisogna vedere per farcene, se non altro, un’idea propria e per renderci conto come effettivamente in essa vi sia compendiata tutta l’arte del XX secolo, con i suoi percorsi e anche con i suoi ritorni. 

La grande stagione del realismo è degnamente rappresentata da Guttuso e Migneco: il Guttuso dai colori accesi, passionali, dettati da quell’impegno umano e sociale che caratterizza la sua arte, e il Migneco che dai volti dei suoi personaggi in movimento sprigiona la rabbia dovuta alle precarie condizioni in cui sono costretti a vivere. E il dolore e la sofferenza sono qui una denuncia silenziosa, fatta di ostinazione e di accanita perseveranza. 

La luce diventa armonia nelle sculture di E. Greco, e di G. Mazzullo, artista della forma sinuosa e gentile, e aggraziata e pura il primo, poeta raffinato e interprete della sua gente di Sicilia il secondo. Pure folta è la presenza in questa mostra di artisti che hanno contribuito, facendo proprie certe istanze che venivano da fuori, ad ampliare in Italia il concetto stesso di arte, intesa come momento liberatorio di intima e personale riflessione, che rompe i ponti con la tradizione. 

L’artista dà campo libero alla propria creatività e sprigiona in una simbiosi di linee e di colori il suo mondo che è, appunto, quello dell’astratto e dell’informale. Pietro Consagra, Carla Attardi, Antonio Sanfilippo ed altri, che questa strada hanno intrapreso e sono significativamente rappresentati, dimostrano già dal 1947, anno di nascita di Forma 1, che il colore e l’immagine avulsa dalla realtà spesso dicono l’indicibile e parlano al cuore e alla mente un linguaggio diverso e, al tempo stesso, familiare. 

Ma altri artisti sono presenti a palazzo Pepoli: tutti con un proprio bagaglio artistico-culturale, tutti con qualcosa di pregnante che emoziona e fa riflettere. È il mondo che ognuno di essi ha dentro di sé che trova nell’arte, in maniera assai diversa nell’uno o nell’altro, il mezzo per esteriorizzarsi. 

Degni di attenzione sono i dipinti di Piero Guccione, l’artista degli spazi e dei silenzi profondi. È come se avesse formato sulla tela le immense distese di mare e di sabbia (Riflesso sul mare), un mare calmo che dolcemente carezza spiagge incontaminate, dal colore oro là dove l’acqua non le tocca, scurite e pregne di liquido quelle che appena sfiora. Nella pittura di Guccione spira un’aria di evasione, e non si vede anima viva. È il silenzio che domina e si fa luce intensissima, e quasi esplode. 

L’arte contemporanea – dicevamo- è fatta anche di ritorni, come quello di U. Attardi che, abbandonata l’arte informale, si rifà ad un realismo pregno di una raffigurazione vigorosa della condizione umana, oppure, come l’altro di F. Pirruca, con cui l’artista va indietro nel tempo alla ricerca di immagini umanamente più vere che vivono la loro esistenza a dimensione d’uomo, scevre della vita stressante dei giorni nostri. 

Sarebbero da ricordare tutti gli artisti presenti a questa mostra: Mirabella, Franchina, Trombadori, Maugeri e gli altri. Ma non facciamo torto a nessuno se diciamo che tutti, indistintamente, esprimono e testimoniano il travaglio esistenziale che stiamo vivendo e il loro apporto costruttivo va al di là del semplice fatto artistico. 

Ugo Carruba 

Da “Spiragli”, anno III, n.2, 1991, pagg. 41-43.




Scuola e riforma (a cura di L. Nicastro), voll. 3, Caltanissetta, Terzo Millennio Ed., 2004. 

Per la collana “Scuola del Terzo Millennio” è stata pubblicata una trilogia (Scuola dell’infanzia e Riforma; Scuola primaria e riforma; Scuola secondaria di I grado e Riforma) che vuole essere strumento valido di conoscenza nel momento particolare segnato dall’ entrata in vigore della riforma. 

I tre volumi, oltre a presentare la specifica normativa della scuola dell’infanzia, della primaria e della secondaria di I grado, sono corredati di un commento che ne agevola molto la comprensione e chiarisce aspetti che tuttora sono oggetto di contestazione (la figura del Tutor, ad es.) da parte di chi nella scuola, e in sintonia con la riforma, deve operare. 

È una pubblicazione indispensabile per gli operatori scolastici, i docenti, le amministrazioni e quanti vogliono documentarsi sul cambiamento in atto nella scuola per conoscerla e per seguire, ognuno nel ruolo che riveste, il processo educativo e formativo degli alunni. 

Ugo Carruba




SALVATORE ZARCONE, LA COSCIENZA MALATA (GIUSEPPE ANTONIO BORGESE), PALERMO, ANNALI DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA DDELL’UNIVERSITÀ, 1985, PAGG. 221.

Questo saggio critico contribuisce notevolmente a far meglio conoscere la figura e l’opera di Giuseppe Antonio Borgese, che tanto rilievo ebbe nel suo tempo. Ma non solo. Zarcone gli riconosce il merito di avere enormemente contribuito a svecchiare la cultura italiana, aprendola all’Europa e al mondo. 

Salvatore Zarcone si rivela un abile indagatore, riuscendo a cogliere nel segno lo scrittore, il suo spessore e l’incidenza che tuttora ha nella cultura e nella letteratura dei nostri giorni. 

Per fare questo, il critico passa in rassegna la grande mole di scritti di Borgese (e su Borgese), e vi si sofferma per costruire tutto il mosaico di idee che furono del Polizzano, a partire dalle prime opere, fino alle Poesie, ai romanzi e ai drammi. Unico filo conduttore: la “costruzione” dell’Uomo. 

Il libro, La coscienza malata (Giuseppe Antonio Borgese), suddiviso in tre parti (1.- Borgese e la “crisi” primonovecentesca; II- Tra sradicamento e sperimentazione: le “Poesie”; III.L’Ottocento “edificante”), ripercorre le tappe del viaggio umano e artistico di Borgese, tappe ricostruite con competenza ed acume critico che, vuoi o no, rimandano il lettore a leggere ed apprezzare l’opera di questo siciliano che seppe imporsi con la sua presenza variegata e aperta alla modernità. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XIV, n.1, 1999 – 2002, pag. 61.




La Sicilia rurale nell’inchiesta agraria di Abele Damiani

Salvatore Ierardi, con la sua sensibilità di storico attento e puntiglioso, ci dà un quadro della Sicilia rurale di fine Ottocento molto distaccato e obiettivo, anche se ha da fare i conti con carte spesso unidirezionali e faziose. 

Le inchieste, che fino a quel tempo erano state fatte, cercavano di attutire e giustificare i disagi della massa contadina e mineraria, nel nome del benessere collettivo, per cui poco importava se a farne le spese erano i più umili e i deseredati. 

Su questa linea d’onda era anche l’inchiesta Damiani che, per difendere la classe padronale di appartenenza, non dà peso alla triste condizione di miseria della povera gente e non tiene in alcun conto la schiavitù a cui erano soggetti carusi e donne. 

A niente, per lui come per il governo di allora, erano valse le denunce di Sonnino, Franchetti e Cavalieri, ed altri, autorevoli e lungimiranti, che avevano messo il dito sulla piaga e accusato di indifferenza e immobilismo la classe dirigente. 

Ierardi, servendosi dell’inchiesta Damiani, mette in risalto questo, sottolineando che i mali potevano e possono, allora come ora, essere evitati o, perlomeno, attutiti, per mezzo di una politica più attenta, non rivolta all’interesse dei pochi, e desiderosa d’un benessere allargato, che restituisca a tutti fiducia e dignità proprie di uomini liberi. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XIV, n.1, 1999 – 2002, pag. 61.




Realtà e Fantasia

Conoscevamo Mario Tornello come pittore e poeta, ma, a considerare questo nuovo libro, la sua versatilità di artista va ben oltre. Il signor Piazza ed altri racconti ci dà la prova tangibile di uno scrittore che è sulla via giusta da seguire per ottenere risultati ancora migliori. Certo, in mezzo alla babele in cui ci troviamo in fatto di produzione libraria (e non solo in questa), dobbiamo dire che Tornello ci ha regalato un libro di buona fattura, e sarebbe riuscito meglio nel suo intento se avesse evitato alcuni ritorni di vocabolo che, a lungo andare, stonano e rompano l’armonia della pagina. 

Il signor Piazza è il racconto più corposo che dà il titolo al libro. È una patetica figura di uomo che, però, nasconde una forte personalità. Artigiano nato, creatore di statue religiose in un momento di crisi dell’attività che fino ad allora si erano tramandata da padre a figlio, Piazza abbandona tutto e tutti e va, da clandestino, Oltremare in cerca di fortuna. Non vuole altro che uscire dallo stato di solitudine, dare una svolta alla vita che niente sembra prospettargli e vincere la malinconia delle giornate asfittiche e sempre uguali. 

Il lettore si renderà bene conto che non è la ricchezza la molla che spinge .il professore., come viene chiamato dalla gente il protagonista, bensì la mancanza di un affetto sicuro, di un amore che gli spazzi via la solitudine che si porta dentro. Teresa, ex meretrice sua compagna, niente dice all’uomo che scompare senza alcun commiato. E quando, malgrado i soldi e la posizione che s’era fatta, gli verrà meno Elisabeth, la donna per cui era sembrato rinascere, il signor Piazza non saprà più reagire; .si senti improvvisamente estraneo in quella terra, come calatovi da una mano misteriosa. Ebbe più grave il complesso del clandestino e percepì la sua estraneità in quel luogo. (pag. 37). 

Apparentemente il protagonista subisce, ma – dicevamo – c’è in lui una personalità complessa, anche se spesso repressa, pronta, però, a venir fuori e ad imporsi, esplodendo ogni qualvolta vede calpestata la sua dignità: reagirà, volendo punire quell’America che gli si è mostrata ingrata, e ucciderà don Salvatore Aquino per vendicare, più che ogni altra offesa, l’oltraggio all’onore. Questo omicidio, vero che lo riscatterà agli occhi della gente, ma lo farà chiudere col mondo. quel mondo a cui aveva tante volte teso le mani, a costo di abbandonare il quartiere dove era nato, la .Vuccirìa». e i volti amici. e volutamente finirà i suoi giorni da barbone, ai margini della città che sempre aveva portato dentro di sé, specie durante il soggiorno americano. È il suo, un gesto di rigetto, un ribellarsi al destino che risolutamente si era accanito contro di lui. 

Bella è la descrizione iniziale e indicativi sono i tratti descrittivi che fanno da sottofondo alla figura tormentata di quest’uomo. 

Gli altri racconti (La trappola, Salvatore, carissimo cane, Il paese dell’anima, Kusna, il nano) sviluppano temi che ad una prima impressione potrebbero sembrare a se stanti, ma che poi, riflettendoci bene, tutti sono riconducibili all’uomo, visto nelle varie sfaccettature e con i suoi problemi. 

Sempre curata è l’affabulazione. E Tornello non si perde in lungaggini, anzi, gli bastano poche battute per presentarci una situazione o uno stato d·animo. Le frasi sono come piccole pennellate, sicure e incisive. Il pittore dà una mano allo scrittore. e la prosa è piacevole. con punte squisitamente letterarie. 

“Il paesaggio va imbiancandosi; la neve caduta durante la notte ha disteso i suoi bianchi lenzuoli ed il silenzio antico è stracciato da un’auto rabbiosa che sale in direzione di un villaggio dove è attesa” (pag. 56). 

È un passo della Trappola che a tendere, stavolta, è la natura, volendo punire certi uomini per la loro malvagità. La fuga in montagna, dopo una rapina e un conflitto a fuoco da cui uscirà fuori un morto, si rivelerà inutile a causa della neve e di una bufera che costringeranno i due banditi a trovare rifugio dove rimarranno intrappolati e stretti da una morsa di freddo e di ghiaccio. 

In Salvatore, carissimo cane c’è, invece, tutta la generosità e la fedeltà dell’animale, non sempre ripagate, come in questo caso, dall’uomo che al momento opportuno fa di tutto per liberarsene. Il cane è il vero personàggio del racconto, Salvatore. per aver salvato il figlio del vecchio zio Filippo, ed ora, incurante del male subito, gli riporta la giacca che aveva dimenticato. 

Kusna, il nano ripropone l’antica sempre nuova aspirazione dell’uomo a volare. Kusna, quasi per un dono di natura che, a sua volta, lo aveva fatto nano e brutto, vola sfiorando le nuvole e il mare, godendo l’ebbrezza dello stare in alto, al di sopra pure della malvagità degli uomini, i quali mai si erano interessati a lui se non in quella occasione, rosi dall’invidia e desiderosi di emularlo. Ma la bontà è negli animi sensibili. 

“Kusna compì una larga virata verso la costa, ormai illuminato nella mente dall’amore immenso per i suoi bimbi cui si legava ogni giorno di più. Non avrebbe potuto rinunciarvi, sarebbe stato come spezzare l’unico filo …” (pag. 114). 

Questi racconti – dicevamo – sono tutti legati tra loro dal filo sottile che porta alla nostra misera umanità. Ed è quanto di più vero e di più nobile l’Autore ci possa dire, quasi a conforto e ad indicarci che, in fondo, sta a noi condurre il mondo verso una vita migliore, e che ci vuol poco per rendere felice chi sta peggio di noi. Tornello dice questo più col cuore che con le parole, perché non ha tanta fiducia negli uomini. Piuttosto preferisce rivolgere la sua attenzione alle piccole creature indifese, o guardare indietro nel tempo e ritrovarsi bambino. Come nel Paese dell’anima, dove con soffusa nostalgia va alla ricerca delle proprie origini che, poi, sono le nostre. 

È per questo che il libro non solo è interessante, ma è utile, perché scava, come gli acquazzoni, sui nostri io frastornati dalle tante sollecitazioni quotidiane, e ridimensiona, facendoci scoprire una sensibilità che sembra appartenga ormai ad altri tempi. 

Da “Spiragli”, anno III, n.3, 1991, pagg. 73-75.




P. Russo, Siculospirina (45 compresse di purissimo siciliano), Palermo, Flaccovio, 2010.

 Lingua, altro che dialetto!

Libri come questo dovrebbero essercene tanti, persino incentivati e voluti dalla Regione Sicilia che dovrebbe tutelare il siciliano come lingua del popolo e, ancora, attivarsi perché sia insegnato alle giovani generazioni e usato, ricorrendo ad ogni mezzo, anche legislativo, pur di raggiungere questo l’obiettivo. Ma la Sicilia non ha trovato l’uomo che faccia attuare lo Statuto e continua ad avere un’autonomia che non ha niente a che vedere con quella auspicata dai padri propugnatori!

Ritornando al libro, Russo esamina alcuni vocaboli (Accùra, canzìati, mòviti, ammuccàri, spirtìri, ecc.) e fa notare l’equivoco di cui sono carichi o il significato pregnante che difficilmente troviamo in un’altra lingua. Il tutto tra il serio e il faceto, con una scrittura che coinvolge e spinge alla lettura. Parafrasando il sottotitolo, il libro è composto di 45 vocaboli, presi in esame così come si prendono le compresse che sono sempre prescritte in dosi, senza l’assillo di ingoiarle col pericolo di procurarsi il male.

Il “medico” Pippo Russo prescrive una lettura che aiuta ad assaporare la ricchezza, la complessità ma anche la bellezza e, quindi, la dolcezza di questo linguaggio che, prendendo come l’ape da fiori che si sono radicati (tanti quante le culture e le dominazioni) nel corso dei millenni in terra di Sicilia, dice più di quanto non si parli.

L’ultima delle otto sezioni del libro è dedicata alle osservazioni-riflessioni che noi, tenendo conto dell’incipit di questa scheda, inviamo ai deputati regionali e ai detentori del potere perché possano intervenire a tutela del patrimonio linguistico-culturale che è traccia delle nostre migliori tradizioni e invidiabile vestigia dell’antichità.

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno XXII, n.2, 2010, pag. 63.




P. Marrone, Mafia (Guida bibliografica), Trapani, Cartigraf, 1993, pagg. 101.

 Il prof. Paolo Marrone, attento osservatore delle realtà sociali, con questo libro ha voluto mettere a disposizione degli studiosi del fenomeno “mafia” uno strumento indispensabile che, se offre una panoramica di quanto si è scritto sul tema fino al 1993, aiuta nella ricerca, avendo selezionato ben 1750 pubblicazioni, suddivise in: Repertori bibliografici, Inchieste e Atti parlamentari, Opere generali sulla Sicilia, Questione meridionale, Articoli di riviste e periodici, Saggi e opuscoli, Narrativa, poesia, teatro e varia. 

L’Autore nell’introduzione tiene a sottolineare che l’opera non ha altro interesse se non di essere di ausilio a quanti si accingono a studiare l’argomento, qualsiasi sia l’aspetto che si vuole approfondire. Qui sta, secondo noi, l’importanza del libro che, in modo agile e sistematico, offre .un bilancio il più completo possibile dei risultati cui oggi sono pervenuti la pubblicistica e la storiografia sulla mafia, anche attraverso l’indicazione di opere che non sembra abbiano legami diretti con l’argomento in questione, ma la cui conoscenza può indubbiamente facilitare un approccio sempre più critico ed organico nei confronti del fenomeno della criminalità mafiosa-. 

Maggiore merito acquista l’opera se si considera nata nell’ambito dell’istituzione scolastica, nel nostro caso, del Liceo Scientifico “P. Ruggieri” di Marsala, sensibile alle istanze della vita sociale e culturale della collettività. È un esempio di come la scuola può ancora essere al servizio della società, offrendo dei risultati che, al di là delle parole, testimoniano una operosità altamente formativa e qualificante. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno VII, n.1, 1995, pagg. 61-62.




P. Hoffmann, La mia Libia, Marietti, Casale Monferrato, 1990, pagg. 261.

La Libia che l’autrice descrive è quella dell’infanzia vissuta in terra africana, rimasta nella sua memoria e nel suo cuore. 

Rientrata in Italia, subito dopo la guerra, come tanti altri che laggiù lasciarono averi e lavoro, Paolo HofImann si considererà un’estranea e guarderà sempre con nostalgia la Libia, con la natura ancora incontaminata, tra palme e signore con cappelli e ombrellini, e il ricordo del padre, un romantico pieno di iniziative e ricco di avventure. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno II, n.4, 1990, pagg. 54-55




P. Handke, Falso movimento, Modena, Guanda, 1991, pagg. 104.

È il viaggio verso la scrittura di Wilhelm Meister, l’alter ego dello scrittore austriaco. Apparentemente Handke racconta di un viaggio (il giovane scrittore Wilhelm si aggrega ad un gruppo di quattro persone e percorre la Germania, dal Nord fino alle Alpi Bavaresi) che, poi, si rivela falso, mentre quello vero è l’andare indietro nella memoria e scavare in sé. 

Lo scrittore raggiunge la condizione necessaria allo scrivere quando alla vita di tutti i giorni abbina la vita interiore, quella che effettivamente ci appartiene di più e ci spinge ad agire come a scrivere. 

Ugo Carruba

Da “Spiragli”, anno III, n.1, 1991, pag. 61